Archivio per la categoria ‘e-book’

Care amiche, cari amici,

   permettetemi di lanciare uno spot pubblicitario su una gara letteraria a cui partecipo. So che non è una cosa molto elegante da fare in un blog, perciò prometto che questo annuncio non sarà ripetuto in futuro.

   Il fatto è che in famiglia hanno insistito così tanto che mi hanno convinto, per la prima volta nella mia vita, a partecipare a un torneo indetto dalla piattaforma Kobo, uno dei principali concorrenti di Amazon. Così, un mese fa, mi sono iscritto all’iniziativa "6 libri in cerca di un autore" realizzata dal Kobo Store in collaborazione con Mondadori Retail e Passione Scrittore e oggi sono pronto a sottopormi al giudizio di chi visiterà la pagina web dedicata alla tenzone fra autori auto-pubblicati:

Torneo di Self-publishingA

   Si tratta di una gara molto particolare che non prevede premi in denaro e nemmeno assicura un contratto di pubblicazione: il solo scopo è quello di dare a uno scrittore che da qualche tempo ha già auto-pubblicato un proprio libro su una piattaforma (nel mio caso, Amazon) la possibilità di godere, se rientra fra i  finalisti del torneo, di un pizzico di visibilità in più su un’altra piattaforma (Kobo Store, partner di Mondadori) dove il proprio romanzo verrà ripubblicato e rimesso in vendita. La locandina parla di 12 finalisti perché ci sono in ballo due gare separate, una che valuta 6 opere mai pubblicate prima e l’altra, 6 opere già auto-pubblicate da tempo ed è proprio di quest’ultima che vi parlo e a cui sto partecipando.

   L’idea è intrigante, visto che è proprio la visibilità ciò che manca a noi autori che ci auto-pubblichiamo (cioè che, per mille e una ragione, abbiamo deciso di evitare le case editrici tradizionali). Infatti, nell’infinito mare del web e nell’intero mondo letterario italiano e straniero, quanti sono al corrente che un certo Nicola Losito ha pubblicato uno o più libri? Tolti i parenti stretti e gli amici, praticamente non lo sa nessun altro. Quindi, ben vengano iniziative di questo genere che cercano di dare una (piccola ma importante) spinta a noi, emeriti sconosciuti.

   Termina qui il mio pistolotto introduttivo.

   Adesso, velocemente, vi spiego cosa deve fare chi vuole farmi entrare nella rosa dei 6 autori finalisti.

  – Il primo fondamentale passo da compiere è registrarsi gratuitamente nel sito Kobo-Mondadori:

 https://it.kobo.com/writinglife

   Ci si può registrare sia con il proprio account Facebook (come ho fatto io), oppure con l’account Google, oppure si può crearne uno nuovo gratuito su Kobo. Solo al termine della procedura di accreditamento è possibile continuare.

– Una volta registrati, potete visitare la pagina dedicata al concorso, cliccando su questo indirizzo:

https://www.kobo.com/it/it/p/Torneo

  – Compare la videata:

 Torneo di Self-publishingDTorneo di Self-publishingC

  Qui trovate le locandine di tutti i libri (circa un centinaio, per la cronaca) che partecipano alla gara. Sono previste 7 sezioni (Gialli e thriller, Romanzi d’amore, Narrativa e letteratura, Romanzi storici, Fantascienza, Fantasy, Young adult) su cui fare la scelta. Io partecipo nella sezione Narrativa e letteratura con il romanzo Io e Agata:

NuovaCopertinaAgata1

   – Sul Kobo Store potete scaricare gratuitamente l’e-book, però, attenzione, questo contiene unicamente un’ampia sinossi del libro ed è proprio la sinossi che si deve leggere, commentare e valutare con le stelline direttamente sul sito che gestisce il concorso, cliccando sull’immagine del libro stesso.

– Una volta letta la sinossi, selezionando con il mouse la scritta "Scrivi la tua recensione", si ottiene la videata:

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  A questo punto siete pronti a esprimere la vostra opinione. Tutti campi presenti in questo form sono obbligatori, pena l’annullamento della scheda. Le sinossi dei libri che partecipano alla gara sono sottoposte a una “Recensione Collettiva” che si svolge nel periodo che va dal 21 dicembre 2016 al 20 febbraio 2017. Se qualcuno conosce la sinossi e ha già letto l’intero libro in gara, ovviamente, potrà esprimere il suo giudizio con maggiore cognizione di causa.

   Non vorrei influenzarvi (bugiardo! Occhiolino), ma l’unica valutazione di questo libro  ricevuta su Amazon, dove tutte le mie opere sono in catalogo, è stata lasciata da Viola Veloce autrice del noto romanzo Omicidio in pausa pranzo (ed. Mondadori) e ha questo tenore:

   Agata è una psicologa psicotica. Simpaticissima. La storia suona vera, e deve esserlo sul serio – da qualche parte – perché la sua personalità spumeggiante è come quella di uno di quei vini che escono dalla bottiglia per le troppe bollicine.
  Asciutto il linguaggio, pulito, senza tutti quegli aggettivi che a volte appesantiscono la narrazione.
   Ti fa pensare a quello che sarà il destino degli anziani folli.
   Ma ce n’è qualcuno di sano?

  Alcuni amici (virtuali) su WordPress hanno già letto e recensito “Io e Agata”, pubblicamente nel loro blog o personalmente via mail e di questo li ringrazio di cuore, comunque spero che mi sostengano ancora, riproponendo un loro giudizio sul sito del torneo.

Importante

  Per ringraziare tutti coloro che dedicheranno un po’ del loro prezioso tempo e donarmi così un po’ di visibilità sul Kobo Store, invierò gratis l’e-book con il testo completo del romanzo. Basta che mandiate la vostra richiesta a n.losito@alice.it e mi diciate quale formato del libro preferite (.mobi per Kindle, .epub per Kobo e tutti gli altri lettori elettronici, .pdf per chi intende leggerlo sul computer).

   Un cordiale saluto a tutti.
   Nicola

    Post Scriptum

   Notizia di oggi è che, a mio parere, c’è già un vincitore conclamato del torneo. Lo affermo perché, a differenza di tutti gli altri partecipanti (me compreso) che hanno zero o pochissime recensioni, c’è una scrittrice che partecipa con un libro autobiografico di 190 pagine sulla madre che, piangendo per i suoi guai, cantava che la vita è meravigliosa e che ha già ricevuto più di trenta valutazioni a 5 stelle. In pratica ha ormai staccato di infinite lunghezze tutti gli altri autori in gara, mettendo in paniere una seria quanto concreta possibilità di vittoria nella gara letteraria in corso.

  Avere così tante critiche entusiastiche significa che a) il libro è davvero stupendo, b) l’autrice dispone di tantissimi parenti, amici compiacenti e lettori anonimi soddisfatti che la sostengono a spada tratta.
  Nel caso a) mi tolgo tanto di cappello e m’inchino alla bravura della scrittrice.
  Nulla da contestare anche nel caso b) perché riuscire a coinvolgere un numero così grande di persone che hanno letto e apprezzato un libro e si prendono la briga di dichiararlo per iscritto in una gara fra autori sconosciuti, è un fatto veramente straordinario.

  E’ cosa straordinaria perché, pur avendo io numerosissimi parenti e una gran pletora di amici che frequento da anni e che, di sicuro, sanno che ho auto-pubblicato dei libri, nessuno di loro si è mai impegnato per commentare in Rete una qualsiasi delle mie opere, regalandomi visibilità o innestando il passa-parola. Spero vivamente che lo facciano ora… Sorriso Occhiolino

Ad maiora!

GiacomoTrasparente1

Il Signor Giacomo

Ogni fine anno è la stessa storia! Inesorabilmente le Feste arrivano e non si può fare nulla per evitarle. Scappare in qualche luogo, il più lontano possibile dal mondo civilizzato, non serve a nulla. Arrivano anche lì. L’età che mi ritrovo sul groppone consiglierebbe sentimenti ben più pacati sul Natale, sulla Fine del Vecchio Anno e sull’arrivo del Nuovo, ma tant’è…

Sentimenti contrastanti che fanno a pugni fra di loro cominciano a procurarmi il mal di testa già a metà novembre quando mia moglie mi placca in un angolo e mi costringe a fare l’elenco degli amici e dei parenti a cui fare un regalo e a decidere il budget su cui contare per questa bisogna. Quello che mi fa venire i fotoni è il fatto che, purtroppo, non si tratta di un elenco lineare ma di un albero genealogico ramificato che partendo da una coppia di amici/parenti si estende ai loro figli e, adesso, anche ai loro nipoti… Poi c’è il regalo per la collaboratrice domestica straniera che dà una mano a mia moglie in casa per tre ore alla settimana e che, naturalmente, ha tre o quattro figli (quando gli italiani ormai ne hanno uno al massimo…); c’è da far felice il portiere, la donna delle pulizie condominiali, la vicina di casa single (quella che ti chiede sempre il sale o lo zucchero perché le scoccia andare al super per così poco) e, di sicuro, mi dimentico di qualcuno. Ma non dispero, Chicca (la mia signora) ha tutto il tempo per aggiornare il lungo elenco.

Sta di fatto che, ogni anno che passa, il budget per i regali di Natale cresce esponenzialmente mentre la mia pensione è ferma al valore di dieci anni fa. Quando faccio presente questo banale particolare, vengo subito tacciato di avere il braccino corto e mi tocca abbozzare.

Una volta deciso a chi fare un presente non è che è finita lì per il sottoscritto, sarebbe troppo bello, bisogna controllare nella lista dell’anno precedente cosa si è regalato a chi per evitare di rifargli lo stesso dono, anche se ci sono amici che da una vita mi fanno lo stesso regalo… Chicca non ammette la ripetizione pedestre perché, a suo dire, questo significherebbe fare un antipatico sgarbo a chi da te si aspetta la dovuta considerazione.

Ovviamente, in questa prima fase non è possibile decidere cosa regalare a chi, infatti solo di qualcuno si ha già un’idea precisa e questi, in genere, sono i propri figli (io ne ho tre). A Michele occorre un materasso perché quello vecchio è sfondato, a Luisa e Emanuela un divano nuovo. Alle mie proteste per l’enormità della spesa, vengo tranquillizzato con la frase: “Naturalmente questi doni sono fuori dal budget natalizio, sono cose di cui hanno un assoluto bisogno per le loro case. A Natale, in compenso, per loro tre compreremo delle sciocchezzuole di poco conto…”. Una bugia spudorata che mi viene condita pari pari ogni anno. Per me è previsto uno spazzolino da denti elettrico e per Chicca un bel vestito per le feste.

La cosa tragica è che per tutti gli altri soggetti in lista, i regali bisogna cercarli nei negozi, e io odio andare in giro per negozi, accidentaccio!

Il fatto è che per negozi, volente o nolente, sono costretto ad andarci insieme a Chicca per la semplice ragione che, se non ci fossi io a calmierarla, lei, per evitare di fare brutte figure, spenderebbe, per ogni singola persona, cifre spropositate. Il concetto del pensierino mirato ma di poco prezzo a lei non passa neanche per l’anticamera del cervello! Lei sceglie un dono non guardando al prezzo ma con la convinzione che la persona a cui è diretto lo apprezzerà. Questo modo di pensare e agire è encomiabile ma porta via un sacco di tempo nei negozi! E non c’è verso di farle capire che buona parte dei regali che riceviamo seguono unicamente la regola del piccolo pensiero, e tacendo, per dirla tutta, dei doni che ci arrivano e che cestiniamo subito in quanto sono chiaramente riciclati dall’anno precedente perché ritenuti troppo di cattivo gusto da chi li aveva ricevuti in passato…

Infine, odio le Festività di Fine Anno perché, a furia di festeggiare a casa mia o in casa di amici, in dicembre ingrasso di almeno due chili, giusto quei due chili che, per perderli, ci avevo impiegato nove mesi, (il tempo di dare alla luce un bambino) ammazzandomi di ginnastica a corpo libero in palestra, di cyclette, di bicicletta, di camminate nei campi e mangiando quasi sempre cibi poveri di grassi e del tutto insipidi…

Pur con tutto ciò, nel mio cuore riesco a trovare dell’amore per le Festività di Fine Anno.

Le amo perché, per un certo periodo di tempo, mi fanno pensare a quando, da bambino, credevo a Babbo Natale e non vedevo l’ora che nascesse il Bambinello per avere finalmente il permesso di aprire i regali messi con estrema cura sotto l’albero dalla mia mamma, anche se sapevo in partenza, viste le nostre modeste condizioni economiche di allora, che sarebbero state piccole cose, ma ero anche sicurissimo che lì dentro c’era compreso tutto l’amore che mia madre e mio padre avevano per me e per la mia sorellina.

Amo le Festività di Fine Anno perché in giro per la città ci sono tante luci e tutte le vetrine sono addobbate al loro meglio, e perché, in questo frangente, si respira un’atmosfera di una stranezza tutta particolare, un’atmosfera che non si ritrova in nessun altro momento dell’anno. Anche se non è assolutamente vero, in questi quindici giorni tutte le persone sembrano più allegre e più buone. Giuro che lo penso davvero ed è proprio questo pensiero che, per quindici giorni all’anno, mi fa sopportare la cattiveria, la prepotenza, le ingiustizie che vedo intorno a me.

Amore e odio, dunque, si compensano e fanno sì che, ogni anno a dicembre, non vedo l’ora che arrivino le Festività… anche perché sono sicuro che il 6 gennaio del Nuovo Anno, cioè oggi, arriva la Befana e tutte le Feste vanno via. A bocca apertaSecchioneSorriso

Nicola

 

Carissime amiche e carissimi amici,

con questa puntata delle mie avventure il Signor Giacomo si prende una lunga pausa per poter passare con i suoi cari il Santo Natale e tutte le Feste di Fine e Inizio anno. Colgo, quindi, io l’occasione per fare i miei più sentiti auguri a voi che da tanto tempo mi seguite con affetto: auguri, naturalmente, da estendere alle vostre famiglie.

Il blog riapre (forse) dopo la Befana 2017 che, come è noto, tutte le feste porta via.

Baci, baci.

Betta

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e, per finire…

Buone Feste 2016

Buone Feste a tutti, con la speranza che il 2017 sia un anno di pace in tutto il mondo.

Nicola

Bukowski-by-origa

    L’autore dell’immagine è Graziano Origa, Origafoundation – Opera propria, CC BY-SA 3.0

Care amiche e amici,
confesso che da tempo immemorabile avevo deciso di ignorare del tutto i libri di Charles Bukowski, uno scrittore famoso per l’eloquio sboccato e per gli argomenti quasi sempre sopra le righe con cui amava scandalizzare il mondo letterario a lui contemporaneo.

Su Wikipedia, infatti, si legge: "Henry Charles "Hank" Bukowski Jr. (Andernach, 16 agosto 1920 – San Pedro, 9 marzo 1994), nato Heinrich Karl Bukowski (noto anche con lo pseudonimo Henry Chinaski, suo alter ego letterario) è stato un poeta e scrittore statunitense di origine tedesca che ha scritto sei romanzi, centinaia di racconti e migliaia di poesie, per un totale di oltre sessanta libri. In questi tratta della sua vita, caratterizzata da un rapporto morboso con l’alcol, da frequenti esperienze sessuali (descritte in maniera realistica e senza troppi eufemismi) e da rapporti tempestosi con le persone. La corrente letteraria a cui spesso viene associato è quella del realismo sporco."

Qualche mese fa un amico mi ha regalato diversi libri di Bukowsi in formato ebook e, così, mi sono deciso finalmente ad affrontare quest’ostico scrittore tanto disprezzato da molti quanto amato da molti altri.
Il primo libro che ho scelto di affrontare è stato "Scrivo poesie solo per portarmi a letto le ragazze", colpito dal titolo davvero originale e, al contempo, parecchio auto-ironico.

Si tratta di una raccolta di racconti quasi tutti autobiografici in cui Bukoswki non smentisce la sua volontà di essere il più possibile sgradevole per il comune lettore, rivelando una sincerità al limite del masochismo (cioè consapevole di essere uno sporcaccione per nulla pentito) e riuscendo, in questo modo, ad accaparrare la simpatia di tutti coloro che riescono a digerire il turpiloquio altrui pur non professandolo mai personalmente. Tra i tanti racconti di questo libro ce ne sono alcuni godibilissimi, diversi troppo realistici sull’argomento sesso, altri molto profondi sulla scrittura e sugli scrittori di prosa e di poesia e sul rapporto conflittuale tra autori ed editori, questi ultimi, quasi sempre, incapaci di riconoscere il vero talento ma attenti unicamente al guadagno che uno scrittore di successo può procurare. Tra i brani che mi sono piaciuti ne ho scelto uno da proporvi perché esprime concetti condivisibili da chi, come il sottoscritto, non molti anni fa, si è calato (scioccamente) anima e corpo nel difficile mondo degli scrittori che sperano di raggiungere la fama con le loro opere letterarie, uscendone – per fortuna – senza essersi fatto troppo male. La casa degli orrori, per inciso, è l’ambiente dove uno scrittore vive e dove esercita la sua passione.

A presto.

Nicola

La casa degli orrori di Charles Bukowski

     Parlare di scrittura è come parlare d’amore o di fare l’amore o di vivere d’amore: se ne parli troppo puoi farlo svanire. Senza cercarli, ho, per mia disgrazia, incontrato molti scrittori, sia di successo che d’insuccesso – mi riferisco alla loro arte. Come esseri umani sono un branco di cattivi, un branco da disprezzare, lamentosi, egocentrici, perfidi. Una cosa che hanno quasi tutti in comune: ognuno di loro pensa che la sua opera sia grandiosa, forse la migliore. Se hanno successo prendono la cosa come scontata e dovuta. Se falliscono sentono che gli editori, le case editrici e gli dei sono contro di loro. Ed è vero che molti pessimi scrittori sono spinti e manipolati finché non raggiungono la cima, qualunque sia il motivo. È anche vero che molti bravi scrittori sono morti di fame, o sono quasi morti, o si sono suicidati, o sono impazziti, e così via, per essere riscoperti in seguito come talenti eccelsi (seppur morti). Questo dato storico infonde coraggio allo scrittore scadente. Gli piace immaginare che il suo (di lei o di lui) fallimento sia dovuto a una moltitudine di cose che esulano dal semplice fatto di avere scarso talento. Be’, ce ne sono tanti così.

     In più, quando penso agli scrittori che conosco, per lo più poeti, noto che sono sostenuti da altri – mogli, quasi sempre madri che si fanno carico del sostentamento economico di quelli che conosco. E vivono anche abbastanza agiatamente con televisori, frigoriferi pieni e appartamenti o case in riva al mare – quasi tutti a Venice o a Santa Monica, e prendono il sole di giorno, sentendosi sull’orlo della tragedia, questi miei amici (?) e poi di sera, magari una bottiglia di vino e un panino al crescione, seguito da una lettera piagnucolosa sulla loro indigenza, la loro grandezza indirizzata a qualcuno da qualche parte. Qualsiasi cosa pur di scrivere, lavorare, creare, buttare giù parole. Be’, credo che sia sempre meglio che lavorare a una punzonatrice. Le mogli e le madri lavoreranno alla punzonatrice, non preoccupatevi di quello. E i poeti, non avendo vissuto nel mondo là fuori, nel mondo reale, non avranno nulla su cui scrivere, ma scriveranno comunque con un ego grande così e tantissima noia.

     È praticamente impossibile scrivere sulla scrittura. Mi ricordo che una volta dopo avere tenuto un reading di poesia ho chiesto agli studenti: “Ci sono domande?”. Uno di loro mi ha chiesto: “Perché scrive?”. E io gli ho risposto: “Perché lei porta quella maglietta rossa?”.
     Essere scrittore danna l’anima ed è difficile. Se hai talento può lasciarti per sempre in una notte di sonno. Ciò che ti fa andare avanti nel gioco non è facile a dirsi. Troppo successo è distruttivo; la mancanza di successo è distruttiva. Un piccolo rifiuto può fare bene all’anima, ma il rifiuto totale crea bisbetici e pazzi, stupratori, sadici, ubriaconi e poeti mancati che picchiano le mogli. Tanto quanto fa il troppo successo.

     Anch’io sono stato fuorviato dal concetto romantico della scrittura. Da giovane ho visto troppi film sul grande Artista, e lo scrittore era sempre un tizio tragico e dannatamente interessante con un bel pizzetto, occhi lucenti e verità profonde che gli scaturivano continuamente dalla bocca. Che bello sarebbe essere così, pensavo, ah. Ma non è così. Gli scrittori più bravi che conosco parlano pochissimo, voglio dire, quelli che scrivono bene. Infatti, non c’è niente di più noioso di un bravo scrittore. Tra la gente o anche con solo una persona, è sempre occupato (nel subconscio) a registrare qualsiasi dannata cosa. Non gli interessa fare discorsi o essere l’Essenza della Festa. È avido, risparmia benzina per la macchina da scrivere. Parlando puoi allontanare l’ispirazione, con la bocca puoi distruggere il genio donatoti da Dio. L’energia arriverà fino a un certo punto. Anch’io sono avido. Bisogna esserlo. Le uniche energie a cui si può rinunciare, l’unico tempo che si può donare è il tempo per l’Amore. L’amore dà forza; distrugge odi innati e pregiudizi. Rende la scrittura più completa. Ma tutte le altre cose devono essere risparmiate per il lavoro. Uno scrittore dovrebbe effettuare quasi tutte le sue letture da giovane; mentre comincia a formarsi, la lettura diventa distruttiva – toglie la puntina dal disco.

     Uno scrittore deve continuare a scrivere, a colpire nel segno, o si ritroverà nei bassifondi. E non c’è modo di risalire. Perché dopo qualche anno dedicato alla scrittura, l’anima, la persona, la creatura non riesce più a operare in nessun altro campo. È inutilizzabile. È uccello in una terra di gatti. Non consiglio mai a nessuno di diventare scrittore, a meno che lo scrivere sia l’unica cosa che gli impedisca di impazzire. A quel punto, forse, ne vale la pena.

Fine

Contributi: Il racconto di Charles Bukowski è stato estratto dal libro Scrivo poesie solo per portarmi a letto le ragazze edito da Feltrinelli nella collana Universale Economica e a cui vanno le mie più sentite scuse per il furto perpetrato al solo scopo di informare i miei amici lettori. Un ringraziamento va anche a Wikipedia da cui ho estratto informazioni su Bukowski.

Carissime amiche e carissimi amici,

eccomi di nuovo qui per raccontarvi le mie peripezie giornaliere in famiglia e fuori casa. Avete passato delle belle vacanze? Mi auguro di sì. Presto vi racconterò le mie avventure estive: abbiate solo un po’ di pazienza, sto facendo il punto della situazione. Molte cose nuove sono avvenute o stanno per avvenire in casa. Seguitemi e saprete tutto per filo e per segno.

Un bacione a tutti dalla vostra bellissima, simpaticissima, spiritosissima e… modestissima Betta.

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Arrivederci alla prossima puntata.

Betta

Care amiche e cari amici,

si avvicina l’estate e presto partirò per le vacanze. Purtroppo sono felice a metà. Da un lato sono contenta che la scuola sia finita, ma so che mi aspetta un nuovo ciclo scolastico di sicuro più pesante delle elementari dove, come sapete, ho avuto ottimi risultati. Da un altro lato, sono triste perché, forse, perderò di vista Marco, il mio filarino ufficiale, ma, (chi può dirlo?) l’estate potrebbe essere l’occasione per incontrare ragazzi nuovi e altrettanto carini…

Con questa puntata termina il racconto delle mie prime avventure, ma vi do appuntamento a settembre per riallacciare il nostro colloquio che, per quanto mi riguarda, è stato molto, molto interessante. Con parecchi di voi, infatti, si è accesa una bella amicizia e mi piacerebbe conservarla anche per il futuro.

Un grande bacio a tutti.

Betta

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Arrivederci a settembre!

Il Signor Giacomo, però, ci sarà ancora mercoledì prossimo. Lui vi aspetta numerosi perché ha una cosa da comunicare.

Baci, baci.

Betta

Care amiche e cari amici,

ecco una nuova puntata delle mie avventure! Questa volta vi parlerò un pochino di Marka, il cane che mi è stato regalato dai genitori con la speranza che dimenticassi Marco: poveri illusi! L’otto di maggio è stata la festa della mamma e avrei dovuto festeggiare la mia con un regalo, ma, siccome avevamo appena bisticciato, le ho dato solo due bacini e ho continuato a tenerle il muso. Come mai che con il mio papà bellissimo non ho quasi mai dei problemi? Con lui è molto più  facile andare d’accordo. Evidentemente tra bellissimi ci si capisce al volo…

Baci, baci.

Betta

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Buona settimana!

Betta

Care amiche e cari amici,

il tempo scorre velocemente e noi piccoli cresciamo andando incontro a novità grandi e piccole che concorreranno a formare il nostro carattere. Da poco è finito il mio primo ciclo scolastico, ciclo che ho superato brillantemente (ovvio, no?) e mi sto preparando per le vacanze estive. Chissà perché sono un po’ giù…

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Arrivederci alla prossima puntata!

Betta

Per la gioia di amici e detrattori, riprende, nel 2016 da poco iniziato, il racconto della mia vita in famiglia e fuori casa. Spero che tutti abbiate passato delle buone feste e abbiate ricevuto dei fantastici regali. Durante il mese di dicembre io mi sono comportata benissimo in casa e a scuola: zero capricci, ho studiato, fatto i compiti, ho mangiato sempre le verdure (bleah!) senza fare una piega, ma, a quanto pare, non è servito granché.

A sentire mamma, io sono già grande e devo accettare che Babbo Natale e la Befana non esistano, però a me non importa se queste due speciali persone sono un’invenzione consumistica oppure no, basta che qualcuno nelle festività a loro dedicate mi faccia dei regali bellissimi, di buon gusto e… costosi. Quest’anno non è andata molto bene: i miei genitori e gli amici sono stati decisamente tirchi e ho ricevuto poco o niente. Mamma, con scarsissima fantasia, mi ha regalato un maglione; papà (dimostrando che anche i papà bellissimi, a volte, non sanno che pesci pigliare) due libri (Piccole donne e Piccole donne crescono); Marco, un borsellino rosa per le monete; le compagne di scuola, forse perché non siamo ancora entrate in amicizia, nulla.

Volete sapere se io ho fatto dei regali? Ovviamente, dato che la mia paghetta settimanale è modesta, ho dovuto tenere un profilo piuttosto basso. A mamma, ho donato due pattine da cucina, comprate al mercatino rionale; a papà, un mio disegno colorato e firmato; a Marco, un tris di baci perugina, nella speranza che capisca il messaggio sottinteso… e si svegli un po’ di più.

A voi, cari amiche/amici di Rete, regalo cinque mie nuove (dis)avventure con la speranza che vi piacciano e vi facciano sorridere almeno un pochino.

Baci e abbracci a tutti.

Betta

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Arrivederci alla prossima puntata!

Betta

NicPerùR

Puntuale come un orologio svizzero, alla fine di un lungo riposo estivo, eccomi di nuovo qui nel mio amato blog per riprendere, con tutte le amiche e gli amici che mi hanno seguito in passato, il colloquio interrotto alcuni mesi fa. Il terribile caldo che ha imperversato sul nostro paese finalmente è finito e il mio cervello (quei due neuroni che mi sono rimasti) ha ripreso a funzionare quel tanto da permettermi di raccontarvi ciò che ho fatto durante la mia assenza dalla Rete.

Essenzialmente ho cercato di rimettermi in salute ma non sono stato sempre fermo nella mia casa di campagna. Ho fatto una breve puntata in montagna a Pinzolo e un’altrettanta toccata e fuga al mare di Rapallo sempre in compagnia di cari amici: qualche scarpinata su sentieri ombreggiati o tutti al sole, alcuni bagni in acqua salata e un po’ di piscina in campagna, giusto per sopravvivere alla calura di questa torrida estate.

In questi mesi ho letto 3 soli libri: La conquista del Perù di W.H. Prescott, Storia della bambina perduta di Elena Ferrante e Uomini senza donne di Murakami Haruki.

Il primo l’ho affrontato per documentarmi sulla storia degli Inca (scoperti e brutalmente sottomessi dagli spagnoli nella prima metà del quindicesimo secolo) per potere incontrare con un minimo di informazioni in testa i loro attuali e simpaticissimi discendenti  nel mio recentissimo viaggio in Perù. Il libro in questione è una rarità: pubblicato nel 1847 nella New England (Stati Uniti), tradotto in italiano e stampato nel 1959 dalla Editrice Le Maschere, l’ho trovato nella fornitissima biblioteca dei miei defunti suoceri. Oggi quest’impegnativo e interessante tomo, ristampato qualche anno fa da Newton Compton, non è più reperibile nella nostra lingua. Esiste, però, ancora in inglese e si può ordinare su Hoepli.it, la grande libreria on line.

Il secondo l’ho letto per curiosità: il fatto che l’autrice (o l’autore) fosse un nom de plume e, tra l’altro, fosse nella rosa dei probabili vincitori del premio Strega, mi ha spinto ad acquistare l’ultimo volume della quadrilogia. Nel seguito del post ve ne parlerò diffusamente.

Il terzo, essendo io un appassionato cultore di Murakami Haruki, non potevo assolutamente perderlo: leggere quei sei pregnanti racconti mi ha ulteriormente confermato che questo scrittore giapponese è uno dei più grandi autori di questo secolo. Vi consiglio, perciò, di acquistare Uomini senza donne! 

Dunque, quest’estate ho letto poco. In verità, non sono stato il solito fancazzista: gran parte del tempo libero l’ho dedicato all’ideazione e alla preparazione del mio secondo libro a fumetti (il primo, come ben sapete, è quello con protagonista Il Signor Giacomo che ha dato il titolo al presente blog). In questa nuova pubblicazione (ora in vendita su Amazon) racconto graficamente 100 avventure di Betta e del suo papà bellissimo. Coloro che mi seguono con assiduità conoscono già questa terribile/spiritosa ragazzina: infatti le prime 14 strisce sono visibili nei due post pubblicati prima della parentesi estiva. Comunque, la prossima settimana vi racconterò vita morte e miracoli di questo nuovo personaggio.

Adesso, invece, ecco alcune osservazioni sull’ultimo libro di Elena Ferrante:

FerranteStoriaBambinaPerduta

 

Dico subito che ho letto velocemente questo romanzo e mi è persino dispiaciuto che sia terminato lasciando insoluti due misteri. Aggiungo che è scritto benissimo e con un ritmo tale da far perdonare alcune ripetizioni necessarie per chi, come me, non aveva letto le prime tre parti della storia dell’amicizia tra due donne durata, fra liti e riappacificazioni, un’intera vita. I personaggi sono ben delineati e caratterizzati con maestria.

Premesso ciò, a questo punto dovrei esprimere un giudizio positivo sul libro che narra la maturità e la vecchiaia delle due protagoniste: Elena, la scrittrice e Lila, la sua amica geniale. Purtroppo non è così.

Se vado a considerare azioni e pensieri delle due donne e di tutti gli altri personaggi della saga che si svolge in una Napoli degradata e povera dove, per sopravvivere, molti sono costretti a compiere fatti e misfatti di ogni genere, sono costretto a dire che il libro mi ha deluso e amareggiato. Nessuno dei personaggi, comprese le due protagoniste principali, si salva da un giudizio morale estremamente negativo.

Le donne passano con scarso o nullo pentimento da un letto a un altro e lo stesso dicasi degli uomini: essere sposati o meno non fa alcuna differenza. Il sesso in un ambiente di sinistra (estrema, in taluni casi, fortemente critica verso lo stato e le istituzioni) dove interagiscono gli attori della storia è decisamente libero e viene considerato alla stregua di merce di scambio per ottenere vantaggi economici e posizioni privilegiate nella società. Il concetto di famiglia tradizionale, a cui io sono ancora legato, è completamente stravolto: i figli generati in questo bailamme di relazioni più o meno clandestine vengono spesso e volentieri lasciati in mano a nonni, suoceri, ex suoceri, ex mariti, amici che, bontà loro o obtorto collo, se ne prendono cura, salvo poi essere costretti a leggere disquisizioni filosofiche sui migliori metodi per educare la prole. Tutto questo comportamento “libero” è giustificato dal fatto di potersi “realizzare” nelle rispettive professioni. Bell’esempio di società da presentare ai lettori!

Elena e Lila sono due personaggi molto complessi ma decisamente riusciti, ma, a causa della loro scarsa moralità, non sono riuscito ad amarli, pur non essendo io un bacchettone. Nel quartiere degradato di Napoli, sfondo principe del romanzo, si finisce per giustificare tutto e il contrario di tutto, fino a proteggere la fuga e la latitanza di un terrorista rosso pluriomicida, e a guardare quasi con benevolenza la sua fermezza quando, catturato dalle forze dell’ordine, non esprimerà mai una parola di pentimento per tutto ciò che ha compiuto combattendo con le armi lo Stato, mentre la sua compagna di vita (che in prigione collaborerà con la magistratura) verrà considerata una bieca traditrice della causa anarco-marxista professata da entrambi in passato.

Non mi esercito a raccontarvi la trama di questo quarto volume non solo perché i personaggi e gli intrecci famigliari sono un vero zibaldone (all’inizio del quarto volume per fortuna c’è l’elenco delle famiglie, dei mariti, degli amanti, degli ex mariti e di altri personaggi coinvolti nei tre precedenti capitoli della saga, alcuni dei quali già morti, finiscono per essere solo un coro alle avventure/disavventure delle due amiche.

Ciò detto, capisco che parecchi altri lettori, non avendo le mie idiosincrasie politiche-moralistiche, possano amare questa complessa saga e possano considerare Elena Ferrante una grande scrittrice, essendo lei riuscita, con indiscutibile bravura, a creare una trama corposa piena di colpi di scena e mai noiosa.

L’ultima considerazione, tutta personale, che mi sento in dovere di fare è la convinzione che a scrivere questo ponderoso, approfondito affresco della Napoli dal dopoguerra fino ai nostri giorni, non è stata una sola donna ma un gruppo affiatato di scrittori (uomini e donne), nati e vissuti a Napoli, i quali hanno riunito le loro indubbie competenze e conoscenze della città per creare una saga tutta di sinistra e che hanno usato il nom de plume “Elena Ferrante” per raccontarla in italiano a un pubblico in grado di apprezzarla senza condizionamenti di alcun genere.

Sbaglierò, ma io la penso così.

Nicola