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    L’autore dell’immagine è Graziano Origa, Origafoundation – Opera propria, CC BY-SA 3.0

Care amiche e amici,
confesso che da tempo immemorabile avevo deciso di ignorare del tutto i libri di Charles Bukowski, uno scrittore famoso per l’eloquio sboccato e per gli argomenti quasi sempre sopra le righe con cui amava scandalizzare il mondo letterario a lui contemporaneo.

Su Wikipedia, infatti, si legge: "Henry Charles "Hank" Bukowski Jr. (Andernach, 16 agosto 1920 – San Pedro, 9 marzo 1994), nato Heinrich Karl Bukowski (noto anche con lo pseudonimo Henry Chinaski, suo alter ego letterario) è stato un poeta e scrittore statunitense di origine tedesca che ha scritto sei romanzi, centinaia di racconti e migliaia di poesie, per un totale di oltre sessanta libri. In questi tratta della sua vita, caratterizzata da un rapporto morboso con l’alcol, da frequenti esperienze sessuali (descritte in maniera realistica e senza troppi eufemismi) e da rapporti tempestosi con le persone. La corrente letteraria a cui spesso viene associato è quella del realismo sporco."

Qualche mese fa un amico mi ha regalato diversi libri di Bukowsi in formato ebook e, così, mi sono deciso finalmente ad affrontare quest’ostico scrittore tanto disprezzato da molti quanto amato da molti altri.
Il primo libro che ho scelto di affrontare è stato "Scrivo poesie solo per portarmi a letto le ragazze", colpito dal titolo davvero originale e, al contempo, parecchio auto-ironico.

Si tratta di una raccolta di racconti quasi tutti autobiografici in cui Bukoswki non smentisce la sua volontà di essere il più possibile sgradevole per il comune lettore, rivelando una sincerità al limite del masochismo (cioè consapevole di essere uno sporcaccione per nulla pentito) e riuscendo, in questo modo, ad accaparrare la simpatia di tutti coloro che riescono a digerire il turpiloquio altrui pur non professandolo mai personalmente. Tra i tanti racconti di questo libro ce ne sono alcuni godibilissimi, diversi troppo realistici sull’argomento sesso, altri molto profondi sulla scrittura e sugli scrittori di prosa e di poesia e sul rapporto conflittuale tra autori ed editori, questi ultimi, quasi sempre, incapaci di riconoscere il vero talento ma attenti unicamente al guadagno che uno scrittore di successo può procurare. Tra i brani che mi sono piaciuti ne ho scelto uno da proporvi perché esprime concetti condivisibili da chi, come il sottoscritto, non molti anni fa, si è calato (scioccamente) anima e corpo nel difficile mondo degli scrittori che sperano di raggiungere la fama con le loro opere letterarie, uscendone – per fortuna – senza essersi fatto troppo male. La casa degli orrori, per inciso, è l’ambiente dove uno scrittore vive e dove esercita la sua passione.

A presto.

Nicola

La casa degli orrori di Charles Bukowski

     Parlare di scrittura è come parlare d’amore o di fare l’amore o di vivere d’amore: se ne parli troppo puoi farlo svanire. Senza cercarli, ho, per mia disgrazia, incontrato molti scrittori, sia di successo che d’insuccesso – mi riferisco alla loro arte. Come esseri umani sono un branco di cattivi, un branco da disprezzare, lamentosi, egocentrici, perfidi. Una cosa che hanno quasi tutti in comune: ognuno di loro pensa che la sua opera sia grandiosa, forse la migliore. Se hanno successo prendono la cosa come scontata e dovuta. Se falliscono sentono che gli editori, le case editrici e gli dei sono contro di loro. Ed è vero che molti pessimi scrittori sono spinti e manipolati finché non raggiungono la cima, qualunque sia il motivo. È anche vero che molti bravi scrittori sono morti di fame, o sono quasi morti, o si sono suicidati, o sono impazziti, e così via, per essere riscoperti in seguito come talenti eccelsi (seppur morti). Questo dato storico infonde coraggio allo scrittore scadente. Gli piace immaginare che il suo (di lei o di lui) fallimento sia dovuto a una moltitudine di cose che esulano dal semplice fatto di avere scarso talento. Be’, ce ne sono tanti così.

     In più, quando penso agli scrittori che conosco, per lo più poeti, noto che sono sostenuti da altri – mogli, quasi sempre madri che si fanno carico del sostentamento economico di quelli che conosco. E vivono anche abbastanza agiatamente con televisori, frigoriferi pieni e appartamenti o case in riva al mare – quasi tutti a Venice o a Santa Monica, e prendono il sole di giorno, sentendosi sull’orlo della tragedia, questi miei amici (?) e poi di sera, magari una bottiglia di vino e un panino al crescione, seguito da una lettera piagnucolosa sulla loro indigenza, la loro grandezza indirizzata a qualcuno da qualche parte. Qualsiasi cosa pur di scrivere, lavorare, creare, buttare giù parole. Be’, credo che sia sempre meglio che lavorare a una punzonatrice. Le mogli e le madri lavoreranno alla punzonatrice, non preoccupatevi di quello. E i poeti, non avendo vissuto nel mondo là fuori, nel mondo reale, non avranno nulla su cui scrivere, ma scriveranno comunque con un ego grande così e tantissima noia.

     È praticamente impossibile scrivere sulla scrittura. Mi ricordo che una volta dopo avere tenuto un reading di poesia ho chiesto agli studenti: “Ci sono domande?”. Uno di loro mi ha chiesto: “Perché scrive?”. E io gli ho risposto: “Perché lei porta quella maglietta rossa?”.
     Essere scrittore danna l’anima ed è difficile. Se hai talento può lasciarti per sempre in una notte di sonno. Ciò che ti fa andare avanti nel gioco non è facile a dirsi. Troppo successo è distruttivo; la mancanza di successo è distruttiva. Un piccolo rifiuto può fare bene all’anima, ma il rifiuto totale crea bisbetici e pazzi, stupratori, sadici, ubriaconi e poeti mancati che picchiano le mogli. Tanto quanto fa il troppo successo.

     Anch’io sono stato fuorviato dal concetto romantico della scrittura. Da giovane ho visto troppi film sul grande Artista, e lo scrittore era sempre un tizio tragico e dannatamente interessante con un bel pizzetto, occhi lucenti e verità profonde che gli scaturivano continuamente dalla bocca. Che bello sarebbe essere così, pensavo, ah. Ma non è così. Gli scrittori più bravi che conosco parlano pochissimo, voglio dire, quelli che scrivono bene. Infatti, non c’è niente di più noioso di un bravo scrittore. Tra la gente o anche con solo una persona, è sempre occupato (nel subconscio) a registrare qualsiasi dannata cosa. Non gli interessa fare discorsi o essere l’Essenza della Festa. È avido, risparmia benzina per la macchina da scrivere. Parlando puoi allontanare l’ispirazione, con la bocca puoi distruggere il genio donatoti da Dio. L’energia arriverà fino a un certo punto. Anch’io sono avido. Bisogna esserlo. Le uniche energie a cui si può rinunciare, l’unico tempo che si può donare è il tempo per l’Amore. L’amore dà forza; distrugge odi innati e pregiudizi. Rende la scrittura più completa. Ma tutte le altre cose devono essere risparmiate per il lavoro. Uno scrittore dovrebbe effettuare quasi tutte le sue letture da giovane; mentre comincia a formarsi, la lettura diventa distruttiva – toglie la puntina dal disco.

     Uno scrittore deve continuare a scrivere, a colpire nel segno, o si ritroverà nei bassifondi. E non c’è modo di risalire. Perché dopo qualche anno dedicato alla scrittura, l’anima, la persona, la creatura non riesce più a operare in nessun altro campo. È inutilizzabile. È uccello in una terra di gatti. Non consiglio mai a nessuno di diventare scrittore, a meno che lo scrivere sia l’unica cosa che gli impedisca di impazzire. A quel punto, forse, ne vale la pena.

Fine

Contributi: Il racconto di Charles Bukowski è stato estratto dal libro Scrivo poesie solo per portarmi a letto le ragazze edito da Feltrinelli nella collana Universale Economica e a cui vanno le mie più sentite scuse per il furto perpetrato al solo scopo di informare i miei amici lettori. Un ringraziamento va anche a Wikipedia da cui ho estratto informazioni su Bukowski.

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Keep attention, people, oggi si parla d’amore!

A mio parere, sbaglia chi dice che l’amore ha sempre fretta, che tutto, in amore, deve essere consumato subito.
Quando nei film/nella realtà vedo un uomo e una donna che corrono in casa o in albergo baciandosi e spogliandosi a vicenda per consumare immediatamente la grande passione che li avvince, state sicuri che, qualche tempo dopo, i due si lasceranno tirandosi i piatti dietro e pronunciando cattive parole.
Non sempre accade così, ovvio, perché nulla in ambito sentimentale è catalogabile a priori, salvo, forse, il pensiero che la grande passione amorosa si spegne rapidamente, mentre l’amore (quello vero e profondo) può persino durare tutta la vita.
Sono in molti a dire che sapere aspettare il momento giusto è la formula vincente per creare le basi di un amore duraturo e anch’io credo a ‘sta cosa. Ma qual è il momento giusto, care amiche e amici, in grado di ottenere lo splendido risultato di cui sopra? Qui, purtroppo, casca l’asino, cioè io.
Non sono un esperto di arte amatoria e non ho nessuna dritta da segnalarvi per far sì che l’amore per il vostro partner/la vostra partner viva in eterno, ciò che, con questo breve post, volevo sottolineare è di non dare retta ai vari guru che cercano d’intortarvi con le loro formulette magiche, ma di cercare da soli il modo migliore per tenervi stretto per sempre l’uomo/la donna che vi siete scelti, usando quei pochissimi attrezzi che tutti possediamo:

•    L’intelligenza (cioè capire che nessuno a questo mondo è perfetto)
•    La pazienza (cioè mettersi ogni volta nei panni dell’altro/altra)
•    Il perdono (cioè dare una seconda possibilità a chi ha sbagliato)

Solo così agendo è quasi sicuro che nella prossima puntata la donna/l’uomo della vostra vita ci sarà ancora.
Termino il post odierno con alcuni pensieri e considerazioni sull’amore che frullano nella testa del Signor Giacomo, un ometto simpatico che ha sempre avuto qualche problemino con le donne:

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Arrivederci alla prossima puntata.

Nicola

P.S. La bellissima immagine del bradipo l’ho scovata su Internet. Allo sconosciuto autore va tutto il merito.

Dal mio romanzo incompiuto Io e Agata estraggo un capitolo e, nel porlo alla vostra attenzione, vorrei segnalare due cose: primo, che Agata era una psicoanalista molto sui generis in quanto curava i suoi pazienti con l’aiuto delle piante che, a mo’ di foresta incolta, riempivano il suo studio e, secondo, che l’Io del titolo non sono io. Ma è soltanto un simpatico tipetto a cui mi sono ispirato nell’ideare questo romanzo che spero di terminare prima di passare a miglior vita.

Buona lettura!

Nicola 

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shih-tzu

I cinque cani e la seduta psicoanalitica

Dopo circa un anno di matrimonio, tra me e Marta era sorto un problema che non riuscivamo a risolvere con le nostre forze e che rischiava di far saltare la nostra unione. Al sesto mese di gravidanza, per colpa di un maledetto virus che aveva attaccato la placenta di Marta e aveva impedito al feto di respirare, perdemmo il nostro primo figlio maschio. Dopo l’aborto terapeutico, resosi necessario per evitarle pericolose infezioni, mia moglie, pensando di essere in qualche modo responsabile della morte del bambino, entrò in depressione e, ben presto, l’atmosfera in casa divenne cupa e invivibile.
Appena fu possibile riprendemmo a fare l’amore, sbagliando, però, approcci e metodi. Ci assoggettammo a vere e proprie maratone, avendo come unico scopo la procreazione, dunque con preliminari ridotti al minimo, cioè con divertimento e piacere completamente assenti. Facevamo sesso senza quel contorno che rende tale attività speciale per la mente e il corpo. Forse per questo arrivai al punto di odiare il momento di andare a letto per assolvere un dovere coniugale ormai ridotto a una mera ripetizione di penetrazioni. Siccome i nostri sforzi non stavano dando i frutti desiderati, Marta, accortasi della mia crescente insoddisfazione, pretese un maggiore impegno da parte mia e, di conseguenza, cominciai a sentire il peso di una situazione che tardava a sbloccarsi. Sempre più delusi e amareggiati ci recammo da diversi medici specialisti e questi, dopo averci sottoposto ai test più avanzati sulla nostra idoneità a procreare, ci assicurarono che eravamo fisicamente a posto e che dovevamo soltanto avere “pazienza”.
In queste condizioni di acuto stress psicologico, era impensabile che Marta rimanesse incinta e, dopo alcuni mesi di quella frenetica attività sessuale, il desiderio di fare l’amore con lei cessò del tutto. Mi buttai a capofitto nel lavoro, evitando in tutti i modi possibili di affrontare la questione che ci assillava. Marta interpretò il mio atteggiamento sfuggente come mancanza d’interesse nei suoi confronti e quando prese a stigmatizzare la mia appannata aspirazione di avere un figlio, tra noi sorsero dei violenti screzi. Non era vero che avessi rinunciato alla paternità, in realtà mi ero semplicemente stancato di essere considerato alla stregua di un animale da monta, diventato inetto a procreare. Arrivati assai vicini a un punto di rottura, senza avvertirmi dei suoi piani, Marta decise di rivolgersi a Agata nella speranza che lei risolvesse il nostro problema.
Prima di proseguire, a questo punto, devo aprire una breve parentesi sulla fauna di cui Agata amava circondarsi quando abitava ancora a Milano in Corso Sempione.
Forse per colpa della sua disastrosa disavventura con lo studio medico Rolli in cui aveva perso gran parte delle sue sostanze, Agata aveva deciso di abbandonare l’università, pur mancandole pochissimi esami alla laurea e, per mantenersi, aveva allestito uno studio nel suo appartamento: lì riceveva una clientela che, aiutata dal passa parola sulla sua bravura, si stava facendo via via più numerosa. In pochi anni si era risollevata finanziariamente e aveva ripreso a condurre una vita dispendiosa, spesso permettendosi acquisti di necessità assai dubbia. A un certo punto si era convinta che due gatti e cinque costosissimi shih-tzu nani, tre maschi e due femmine, avrebbero lenito le sue sofferenze di donna tradita negli affari e negli affetti da persone che credeva amiche.
Quei cinque cani giapponesi, destinati a rimanere nella dimensione di cuccioli per tutta la vita, si chiamavano Kazu, Suke e Hiko, i maschi; Hara e Kasa, le femmine. Non so come Agata facesse a riconoscerli dal momento che avevano tutti la stessa corporatura e lo stesso colore del folto manto. Per distinguerle dai maschi, sul capo delle femmine aveva legato un ciuffettino di peli con un nastrino rosa.
Non posso dire molto sui due gatti perché non amavano gli estranei e perciò vivevano sempre nascosti da qualche parte in luoghi ben protetti dell’appartamento.
Chiusa parentesi.
Un giorno di giugno del 1970, Agata invitò Marta e me a pranzo nel suo appartamento milanese per farci conoscere i suoi cani. Pur essendo di razza molto pregiata e ricercatissima in quegli anni, se devo essere sincero, trovai quelle curiose matasse di pelo in perenne movimento, decisamente odiose, tranne una.
Kazu, il più nervoso della combriccola, non smise di abbaiarmi dietro per tutto il tempo che rimasi in casa, Suke si attaccò con le gambe anteriori al mio polpaccio destro ed ebbe con questo ripetuti e soddisfacenti approcci sessuali, Hara dopo avermi annusato per qualche minuto decise che il mio odore non era di suo gradimento e se andò via disgustata. Hiko, sin dal mio ingresso in casa, mi guardò dal basso verso l’alto con scostante sufficienza come se fossi l’uomo più brutto e sgradevole della terra. In realtà non vidi davvero quello sguardo disgustato ma lo percepii intenso e discriminante dietro la lunga chioma che gli copriva completamente occhi e muso. Non fece neppure la mossa di avvicinarsi per annusarmi ma, sculettando, se ne andò a pomiciare con Hara.
A Kasa, invece, piacqui da subito. Mi venne incontro sulla porta e, con le zampette protese verso di me, diede chiari segni di volere essere presa in braccio. L’accontentai e rimase accoccolata sul mio grembo sia durante il pranzo sia dopo, nel prosieguo della visita in casa della sua padrona.
Non desiderando far sapere a Agata che il mio matrimonio era in crisi, feci di tutto per mostrami allegro e collaborativo, ma risultai ben poco credibile. Finito di pranzare, infatti, Agata disse che doveva parlarmi e, stranamente, mi fece accomodare nello studio dove riceveva i clienti,  “ordinandomi” con un tono tra il serio e il faceto di rilassarmi mentre lei e Marta sparecchiavano la tavola.
Chiusa la porta dello studio, non più intento a difendermi dagli assalti passionali di Suke e con le orecchie non più martoriate dall’abbaio insistente di Kazu, seguito solo dalla scodinzolante Kasa, mi accomodai sulla poltrona in vimini con il poggia piedi in stoffa colorata (quella destinata ai pazienti). Di colpo la tensione accumulata negli ultimi mesi si allentò e da lì a poco mi addormentai con Kasa adagiata sulla pancia. Merito dell’ottima colazione offerta da Agata, del leggero e musicale russare della bestiola e del gradevole calore del suo corpo. Merito, soprattutto, della verde foresta tropicale che imperava attorno a me e che, appena entrato nella stanza, mi aveva stordito con i suoi profumi.
Agata interruppe il mio sonno un quarto d’ora dopo per sottopormi, di sicuro dietro sollecitazione di Marta, a una serie di domande sulla mia vita privata. Senza averglielo chiesto, ero diventato un cliente con un problema da curare.
Di quella seduta psicoanalitica ricordo poco o nulla. La sonnolenza postprandiale, l’aria pregna delle essenze odorose provenienti dalle piante che incombevano fin sopra la mia testa, avevano reso il parlare pacato di Agata una melodiosa nenia per le mie orecchie.
Molto probabile che discutemmo del mio matrimonio in pericolo, della depressione di sua nipote e di come fare per superare queste difficoltà. Stranamente, pur essendo una donna di larghe vedute, non mi parlò di unguenti magici o di strane posizioni Kāma Sūtra che potessero rinfocolare la mia passione amorosa ormai spenta per Marta. Invece ricordo molto bene che, alla fine del colloquio, disse: «Seppellire una persona cara non significa dimenticarla, perciò il vostro bambino nato morto riposerà in pace solo quando avrà ricevuto una degna sepoltura “anche” nella vostra mente e, solo allora, tu e tua moglie sarete in grado di affrontare, nel modo giusto, una nuova gravidanza.»
Non so se furono queste parole a darmi la scossa benefica che da tempo desideravo, fatto sta che, uscendo dallo studio, ero in uno stato di benessere tale da considerare inezie superabilissime le tensioni che ultimamente si erano accese fra me e Marta. Ero così felice e rilassato che accettai, senza protestare troppo, di portare a passeggio lungo i marciapiedi di Milano i cinque cani di Agata. Mentre ero sulla porta, vidi Agata e mia moglie entrare nello studio. Sicuramente anche Marta stava per essere sottoposta a una seduta psicoanalitica analoga alla mia.
Uscito in strada, mi aspettava una missione quasi impossibile.
Sfido chiunque a portare in giro, senza impazzire, con un guinzaglio a più corde, cinque infernali bestiole ognuna con in testa una diversa direzione di moto. Hara e Hiko (i fidanzatini) tiravano a destra, Kazu, rinculando, continuava imperterrito ad abbaiarmi addosso, Suke e Kasa volevano andare a sinistra. Stanco di tutto quel bailamme, mi misi davanti a quel gruppo di cani indisciplinati e li trascinai di peso dove volevo io, cioè nel giardinetto a trecento metri dalla casa di Agata. Lì c’erano degli alberi a disposizione e un bel prato su cui scorrazzare e così, finalmente, potei lasciarli liberi. Per fortuna trovarono altri loro simili e per un po’ si disinteressarono di me. Aspettai che tutti facessero i loro bisogni e poi, con la stessa identica fatica dell’andata, li riportai a casa dove trovai Agata e Marta che mi aspettavano in cucina, chiacchierando allegramente.
Marta aveva il volto disteso e dagli occhi usciva un bagliore speciale come non ricordavo da mesi. In tutta evidenza anche a lei la seduta psicoanalitica aveva fatto un gran bene.
Fantastica Agata!
Con un estemporaneo colloquio a quattrocchi aveva compiuto lo stesso miracolo su due persone ormai prossime alla separazione.
Tornati a casa ci bastò un’occhiata complice, assai significativa e, senza bisogno di profferire parola, Marta e io ci spogliammo e facemmo l’amore con la stessa partecipazione e intensità di due sposini in viaggio di nozze. Non saprei dire con precisione se accadde quella notte o la seguente ma, in una o l’altra di queste due occasioni, Marta rimase incinta della nostra prima figlia.
E nei successivi anni mise al mondo altri tre bambini.

Fine

Premessa
Tempo fa, più o meno nel 2005, convinsi una mia amica single, a iscriversi insieme a me a un social network che all’epoca andava per la maggiore. Quel sito web era frequentato da parecchia gente in tutto il mondo e aveva un buon numero di utenti anche in Italia. Ogni iscritto, una volta creato gratuitamente il proprio profilo, aveva a disposizione un blog, cioè uno spazio personale dove pubblicare foto, poesie, racconti, articoli, poteva commentare gli altri utenti ed essere commentato, così come avviene oggi su WordPress o Facebook. In più aveva diritto a tenere un Libro Ospiti a vista (cioè leggibile da chiunque) e dove chiunque poteva lasciare messaggi di saluto o, nella peggiore delle ipotesi, lanciare invettive contro il padrone di casa o contro i suoi amici.
Oggi, dopo l’espansione travolgente di Facebook, quel vecchio sito è decisamente in declino, ma qualche utente affezionato non cede ancora alle lusinghe dei nuovi must del web e continua a frequentarlo. Anche se abbiamo abbandonato quel social network da diversi anni, il mio profilo e quello della mia amica (entrambi sotto fantasiosi nickname) sono ancora visibili  ed è possibile leggere  tutti i nostri vecchi post. Gli utenti di quella piattaforma virtuale sono catalogati per fasce di età allo scopo di favorire incontri e conoscenze fra persone anagraficamente compatibili, cioè giovani con giovani e anziani con anziani. Naturalmente c’era chi sgarrava nel dichiarare i propri anni (e anche il proprio sesso) e quindi spesso succedevano pastrocchi, fraintendimenti e liti furiose. Tra l’altro lì era facilissimo rimorchiare donne e uomini (questa era l’attività più in auge…) perché oltre a una messaggistica alla luce del sole, c’era un servizio istantaneo di posta sul sito e una chat che permettevano di contattare chiunque accettasse uno scambio privato di informazioni.
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Avatar di MissCecilia

MissCecilia, essendo una donna di grande verve e una scrittrice di valore, nel giro di pochi mesi seppe creare, su quel sito, un blog letterario aperto a collaborazioni esterne (Il Salotto di Cecilia) che fece epoca per il grande numero di frequentatori (in genere scrittori alle prime armi) che si mettevano in fila per pubblicare in quel blog le loro opere (soprattutto racconti, ma anche poesie) e ottenere così una certa visibilità in rete. Il successo – come è noto – comporta sempre grane e scocciature da parte di ammiratori e ammiratrici troppo insistenti: ben presto, infatti, la mia amica venne sommersa da messaggi privati con avances più o meno esplicite. Cecilia, per cautelarsi dai mosconi presenti a bizzeffe in Rete, si era premurata di presentarsi nelle vesti di un’attempata signorina single, perdutamente innamorata del suo capo, l’Ingegner Nando, il quale era sposato e che, pur sapendo di essere l’oggetto del suo acceso desiderio, restava fedelissimo alla moglie.  Bene, questo è l’antefatto.
Un giorno Cecilia fu bloccata in chat da un utente (che fosse un uomo che si fingeva donna o donna davvero, non saprei dirvi) il cui nickname era Blunotte e che la costrinse a una serrata conversazione che, una volta postata in Rete, ebbe un numero impressionante di letture e di commenti. La riporto nel mio blog perché ritengo questo vivace colloquio ancora attuale e sintomatico di un comportamento molto in voga sui social network.

La chat che vi propongo si svolse otto anni fa. Otto anni sono un’eternità per una società in rapida evoluzione come la nostra. La domanda che mi pongo e che pongo a voi, è: “MissCecilia è un prototipo di donna che oggi esiste ancora, oppure adesso l’universo femminile si è del tutto emancipato come Blunotte?”

Se non volete rispondere a questa domanda, provate a dare una risposta a quest’altro quesito: “Chi ha vinto la tenzone ideologica fra due donne così agli antipodi fra di loro?”.

La discussione potrebbe essere parecchio interessante per noi maschietti… Winking smile

Buona lettura

Nicola

Un amore di chat
Blunotte: Ciao!
MissCecilia: Buonasera!
Blunotte: Come va?
MissCecilia: Molto bene. Stavo guardando il suo profilo in Rete.
Blunotte: Le piace?
MissCecilia: Parecchio. Soprattutto perché allontana scocciatori e perditempo.
Blunotte: Di uomini me ne basta uno… il mio amante… gli altri mi crescono, marito compreso.
MissCecilia: Uhm, entriamo subito nel privato…
Blunotte: Non vado oltre… a meno che non mi venga richiesto.
MissCecilia: Io invece sono ancora signorina.
Blunotte: Peccato… spero che il suo essere signorina non l’abbia privata di alcune delizie della vita.
MissCecilia: Se avesse letto il mio profilo, saprebbe com’è la mia situazione sentimentale.
blunotte: Abbastanza confusa, direi.
MissCecilia: Sono innamorata, da sempre, di un uomo sposato.
Blunotte: Pure io lo sono e ne sono follemente innamorata.
MissCecilia: Ma il mio è FSC (Fedele nei Secoli come un Carabiniere).
Blunotte: Anche il mio mi è fedele… tanto più che lo assecondo in tutti i suoi desideri.
MissCecilia: Io no.
Blunotte: Questa è una grossa colpa.
MissCecilia: Dice?
Blunotte: Una donna che ama non ha niente più di suo, è lei stessa proprietà dell’uomo.
MissCecilia: Non sono d’accordo. Io sono ancora mia.
Blunotte: È vero amore il suo?
MissCecilia: Sono innamorata del mio Capo da più di 30 anni.
Blunotte: Cosa non è funzionato?
MissCecilia: Il Suo essere fedele e io una sciocca.
blunotte: Fedele alla moglie?
MissCecilia: Certo.
Blunotte: Pure io lo ero a mio marito, poi 9 anni fa ho conosciuto lui… un vero pervertito, ma che è stato capace di aprirmi gli occhi, farmi vedere la vita in un altro modo… Io sono tornata a vivere, dopo 14 anni di letargo, 9 anni fa.
MissCecilia: E suo marito non sospetta nulla?
Blunotte: Non m’interessa affatto cosa pensa lui…
MissCecilia: Cara Blunotte, rimango un tantino perplessa…
Blunotte: Non mi separo da lui soltanto perché l’altro, che è più grande sia di me sia di mio marito, ha una moglie.
MissCecilia: La storia si complica.
Blunotte: Per niente… fila via in un modo stupendo da 9 anni.
MissCecilia: Certo che gli uomini sono proprio ciechi.
Blunotte: Posso chiedere perché lei è rimasta fedele a una persona che non ha compreso il dono che lei era pronta a offrirgli?
MissCecilia: Una domanda mica male. Lavoriamo fianco a fianco da 30 anni, mi basta.
Blunotte Avrebbe dovuto chiederselo lei… se e quanto ne valesse la pena.
MissCecilia: Ha presente il faro che illumina la notte?
Blunotte: Sì… e la capisco.
MissCecilia: Bene, mi fa piacere.
Blunotte: A me è successa la stessa cosa… ma lui ha preso ciò che gli offrivo con amore: il mio cuore… la mia mente… i miei pensieri… il mio corpole mie lacrime e le mie gioie.
MissCecilia: La lussuria non è nelle mie corde, da giovane ho studiato dalle suore Orsoline.
Blunotte: Ciò che lei chiama lussuria non è altro che amore.
MissCecilia: Non scherziamo su queste cose. So la distinzione.
Blunotte: Non sto scherzando.
MissCecilia: Secondo me lei ha fatto confusione.
Blunotte: Prima avevo confusione… ora vedo tutto chiaro.
MissCecilia: Sono sconcertata. Lei mi fa arrossire.
blunotte: Ripeto… quanto è valsa la pena dire di no? Che prezzo ha dovuto pagare? Che parte della sua vita ha dovuto soffocare? Ma soprattutto ora, queste scelte, l’hanno resa felice?
MissCecilia: Non ho dovuto dire no e non ho pagato nessun prezzo. So cosa posso chiedere. L’ho vicino a me tutto il giorno. Come un marito. Come un amante. Più della moglie.
Blunotte: Io credo che lui non sia né uno né l’altro.
MissCecilia: Dice? Io la penso diversamente. Una carezza per me è sufficiente.
Blunotte: È il suo modo di confidarsi che mi fa pensare così. Una carezza la si dà a un bimbo, non a una persona che si ama.
MissCecilia: Avevo e ho dei principi. Il sesso per il sesso non m’interessa. È la sua testa che voglio.
Blunotte: Se ne è convinta, fa bene.
MissCecilia: Credo di esserlo.
Blunotte: Ma ora cosa l’è rimasto?
MissCecilia: Sono tuttora la sua segretaria. Sono vicina a Lui sempre.
Blunotte: Un’impiegata… ma come donna, come si sente vicino a una persona che la rifiuta?
MissCecilia: Non mi rifiuta assolutamente. Tra noi due c’è un patto d’amore.
Blunotte: E quando cesserà di essere la sua segretaria che farà?
MissCecilia: Da come vanno le cose in questo mondo, non finirà. Noi donne siamo più longeve.
Blunotte: D’accordo, la vita fisica può durare di più. Ma la vera vita… quella che riempie le giornate, le notti… l’ha mai vissuta?
MissCecilia: Come posso farle capire che la mia vita è stata piena? Piena d’affetto, di considerazione.
Blunotte: Se così fosse, non ci dovrebbero essere lamento e rassegnazione ma solo gioia.
MissCecilia: Rassegnata io? Perché? Lui è vicino a me ogni giorno.
Blunotte: Ha detto giusto… vicino e basta.
MissCecilia: Capisco cosa vuole dire. Ripeto, il sesso dura cinque minuti… quando va bene.
Blunotte: Scherza? L’amore non è solo l’atto…
MissCecilia: Lo so, leggo i giornali, m’informo. Cosa crede? L’atto in sé per me è niente, è tutto il resto che è bello.
Blunotte: Come può giudicare una cosa che non conosce?
MissCecilia: In questo ha ragione. Ma non sono vecchissima, ho ancora tempo.
Blunotte: Forse lei è rimasta solo donna, sopprimendo la parte di femmina che era in lei… Non può giudicare certe cose se mai le ha conosciute. Sono stata donna per 34 anni ora sono femmina da 9.
MissCecilia: La parola “femmina” detta da lei, sa di trasgressivo.
blunotte: In natura ci sono maschi e femmine.
MissCecilia: Io penso alla dolcezza di essere donna, alle carezze, ai sorrisi.
Blunotte: Si danno ai bimbi e agli anziani queste cose… L’amore è altro.
MissCecilia: Non ricominci con questa storia. Non mi convince nemmeno sotto tortura. L’amore è dolcezza.
Blunotte: Me ne guardo bene dal volerla convincere…
MissCecilia: Grazie.
Blunotte: I fumatori, i drogati, gli alcolizzati rispondono nello stesso modo sa?
MissCecilia: Siamo in un vicolo cieco. Lei da una parte e io dall’altra.
Blunotte: Non esistono vicoli ciechi… basta avere la voglia e la forza di cercare la strada.
MissCecilia: Dove dice lei c’è il baratro. La mia strada è segnata, è ben diritta, mi creda.
Blunotte: Si vede che è stata educata dalle suore, la classica educazione cristiana… bigotta… falsa.
MissCecilia: Lo ammetto. Ne porto ancora i segni sulle mani. Però io non sono affatto bigotta!
Blunotte: Comunque per vivere ci deve essere la consapevolezza di essere felice delle proprie scelte.
MissCecilia: Ecco, brava. Adesso ci siamo!
Blunotte: Se è felice, mi fa piacere… perché io lo sono, e sapere che anche gli altri stanno bene mi dà gioia.
MissCecilia: Vede che poi non siamo tanto distanti? Felice lei, felice io.
Blunotte: Io non ho rimpianti… Lei?
MissCecilia: Sì, uno. Avere incontrato l’Ingegner Nando quando era già sposato.
Blunotte: Posso farle una domanda indiscreta? Può anche non rispondere se vuole.
MissCecilia: Certo.
Blunotte: Se lui l’avesse voluta… gli si sarebbe donata o avrebbe rifiutato?
MissCecilia: La domanda è ipotetica. Se me lo avesse chiesto, forse avrei detto sì. Ma non ne sono certa.
Blunotte: Non si è mai chiesta se lui la vedeva solo come una segretaria e non come una donna?
MissCecilia: In verità non ero una semplice segretaria, ero la sua assistente.
blunotte: Una lavorante e basta… Si ricorda se qualche volta l’ha guardata con desiderio?
MissCecilia: Una lavorante? Scherza? Comandavo io in fabbrica, cara Blunotte. Il potere era nelle mie mani.
Blunotte: Non le ho fatto questa domanda… Le ho chiesto un’altra cosa.
MissCecilia: Mi scusi, mi ero distratta. Credo che Lui mi ami.
Blunotte: Come fa a esserne sicura?
MissCecilia: Siamo donne, lo capiamo al volo. Non sto certo io a insegnarglielo.
Blunotte: Come mai allora non le ha chiesto nulla? Chi ama non può non desiderare il partner.
MissCecilia: FSC, ricorda?
Blunotte: Non si metta a giocare con le sigle… sia onesta una volta tanto con se stessa, la smetta di mentire.
MissCecilia: Ho capito. Lei mi ritiene una stupida.
Blunotte: No assolutamente… Ingenua, sì molto ingenua. Una donna stupida non scriverebbe come lei.
MissCecilia: Allora mi creda sulla parola. Ingenua io? Può essere.
Blunotte: E penso abbia molta paura del mondo, della vita… di vivere… ecco perché si rifugia in un amore impossibile per giustificare la mancanza di vere scelte.
MissCecilia: Del mondo di oggi, un pochino ho paura. Provengo da famiglia nobile ma decaduta, da essa ho avuto un preciso indirizzo.
Blunotte: La prego non se ne abbia a male… ma vorrei aiutarla.
MissCecilia: Strano. Pensavo spettasse a me darle una mano.
Blunotte: Ne ha molto più bisogno lei, mi creda.
MissCecilia: Sentiamo cosa ha da suggerirmi.
Blunotte: Di avere il coraggio di guardarsi dentro… di smettere di mentire a se stessa… di cercare scuse assurde… di fare finalmente delle vere scelte… di aprire le finestre e fare entrare nuova aria e sole, di sbagliare anche… nella vita capita… ma sbagliano le persone che vivono non quelle che vegetano come lei.
MissCecilia: Cara Blunotte, questo lo faccio ogni giorno della mia vita. C’è gioia dentro di me. Vitalità, allegria. Io sono in pace con me stessa.
Blunotte: Allora ho sbagliato tutto, mi scuso.
MissCecilia: Perché scusarsi?
Blunotte: Così…
MissCecilia: Si sta soltanto parlando del più e del meno, da buone amiche…
Blunotte: Mi piacerebbe comunque poterla aiutare.
MissCecilia: Ancora? Ma allora Lei è peggio delle suore!
Blunotte: Cambiamo discorso…
MissCecilia: Adesso è tardi. Devo salutarla.
Blunotte: Il mio nome è Nadine.
MissCecilia: Il mio è Cecilia, piacere. Buonasera.
Blunotte: Buona serata, signorina Cecilia.
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