INTERVISTA AL SIGNOR LOSITO NICOLA
I coniugi Losito in vacanza a Capalbio (GR)
I: le volevo chiedere una sua breve presentazione, quello che lei ritiene importante.
SIG. LOSITO: provengo da una famiglia modesta ma che, facendo grossi sacrifici, invece d’immettermi nel mondo del lavoro al termine delle scuole medie, come si usava allora, mi diede l’opportunità di proseguire gli studi. Nel 1968 mi sono laureato in ingegneria elettronica a Bologna. Quel pezzo di carta, oggi così poco valutato, mi ha permesso di espletare, durante la mia vita lavorativa, tre tipologie di attività molto diverse fra loro. Attualmente sono in pensione.
I: andiamo un pochino più a fondo. Mi parli del suo primo lavoro.
SIG. LOSITO: appena finita l’Università fui assunto a Milano dalla General Electric, una multinazionale, diretta concorrente della IBM, che iniziava proprio allora la distribuzione in Italia dei primi computer da tavolo per aziende e banche. Dopo un corso di sei mesi venni impiegato come esperto software al servizio “Time Sharing” che permetteva a piccole e medie aziende di sfruttare la potenza di calcolo di grossi elaboratori dislocati nelle principali città d’Italia, utilizzando piccoli terminali, solo in parte intelligenti, collegati al “Mainframe” centrale tramite linea telefonica. Nel Comune di Milano realizzammo le prime elezioni amministrative praticamente in tempo reale. Dopo un anno di lavoro in quell’azienda, forte di un buon stipendio, mi sposai e nacque la mia prima figlia. Non molto tempo dopo, la General Electric, divisione informatica, venne acquistata dalla Honeywell, un’altra multinazionale del settore computer. Non sempre queste operazioni cadute dall’alto avvantaggiano i dipendenti al primo impiego…
I: immagino che siano nati malumori, incomprensioni.
SIG. LOSITO: esatto. Nella nuova società capii ben presto che non c’erano prospettive di una veloce carriera, perciò accettai la proposta di mio suocero, corredata da un congruo aumento di stipendio, di entrare nella sua piccola azienda cartotecnica, produttrice di buste e sacchetti per corrispondenza col compito di informatizzare l’amministrazione e le vendite.
I: e siamo al suo secondo lavoro.
SIG. LOSITO: la ditta di mio suocero aveva una sessantina di addetti tra impiegati e operai. Nel giro di sei mesi portai a termine l’incarico per cui ero stato assunto, con la sgradita sorpresa, subito dopo, di trovarmi senza più nulla d’interessante o importante da fare a livello dirigenziale o commerciale. Dovetti quindi scegliere fra l’opzione di cercare di rientrare nell’azienda informatica che avevo lasciato poco tempo prima o individuare, nella ditta di mio suocero, un diverso utilizzo dei miei talenti. Siccome si era sempre in affanno per soddisfare gli ordinativi della clientela, mi fu proposto di dedicarmi all’incremento della produzione. Per me fu una vera sfida, perché dovevo immergermi in un campo a me del tutto sconosciuto, ben lontano da quello che avevo studiato all’università. In un modo abbastanza traumatico, dallo studio e dall’utilizzo di software, cioè strumenti teorici, finii per mettere le mani, letteralmente sporcandomele, in mezzo a pulegge, pompe, motori e macchine di trasformazione della carta, come taglierine, fustellatrici, confezionatrici di buste da lettere, quaderni, eccetera. In pochi anni da informatico mi trasformai in ingegnere meccanico specializzato in macchine da produzione di buste di carta, esperto in colori da stampa, colle. Oltre alle funzioni di direttore di fabbrica dovetti imparare a gestire le maestranze e a dirimere tutte le questioni sindacali che erano all’ordine del giorno negli anni ’70. Attività che nessuno mi aveva insegnato e che appresi direttamente sul campo. Vinsi la mia sfida e per venticinque anni riservai tutte le mie energie a un’attività che si rivelò inaspettatamente congeniale alle mie capacità.
I: è stato fortunato quindi…
SIG. LOSITO: beh, non proprio. Purtroppo i beni di consumo di uso molto specifico sono soggetti all’evoluzione del progresso tecnico: di colpo possono diventare maturi o obsoleti. In seguito all’avvento del fax e all’utilizzo massiccio della posta elettronica come mezzo di comunicazione delle aziende e delle banche, nel giro di un anno la vendita di buste da corrispondenza subì un vero e proprio tracollo. Centinaia di piccole e medie aziende cartotecniche furono costrette a chiudere i battenti e noi fummo fra queste.
Il mercato non era più in grado di assorbire tutto ciò che la nostra fabbrica era in grado di produrre.
Questa mia seconda esperienza lavorativa finì malamente, malamente nel senso che non fu possibile, per troppa specializzazione, spostare la produzione su altri articoli: l’unica possibilità di evitare il fallimento fu quella di chiudere velocemente l’azienda e di accompagnare economicamente gli operai più anziani alla pensione dando a quelli giovani il tempo di trovare lavoro altrove.
I: arriviamo così alla sua terza e ultima attività.
SIG. LOSITO: all’epoca avevo cinquantadue anni, cioè ero troppo “vecchio” per trovare un impiego dirigenziale che mi assicurasse lo stesso livello di stipendio a cui ero abituato e, allo stesso tempo, troppo “giovane” per considerare conclusa la mia capacità d’intraprendere. Avendo tre figli all’università, abbastanza prossimi alla laurea ma non ancora indipendenti finanziariamente, non potevo permettermi di andare in pensione anzi tempo. Insieme a mia moglie decidemmo d’impegnare la mia liquidazione aprendo un negozio in franchising con un’azienda che distribuiva prodotti fiscali, software per aziende, cancelleria e oggetti di largo consumo per gli uffici. Fu una scelta sofferta (da dirigente d’industria mi riducevo a semplice commerciante) ma necessaria per concludere in qualche maniera, più o meno brillante, la mia attività lavorativa. La “Punto a Capo di Nicola Losito” (così chiamammo emblematicamente la nostra impresa commerciale), si dimostrò una scelta vincente per diverse ragioni. Mia moglie palesò impensabili doti di approccio con la clientela, cioè cortesia e autorevolezza femminile nel gestire le vendite al banco. Io misi in campo tutta l’esperienza di conduzione di un’attività produttiva appresa nell’azienda di mio suocero, acquistando macchine fotocopiatrici all’avanguardia, computer potenti e creando all’interno del negozio un reparto in grado di soddisfare le piccole e grandi esigenze di stampa degli studi professionali della zona. In pochi anni, partendo da zero, riuscimmo a creare un piccolo ma agguerrito punto vendita con una clientela locale di buon livello che da noi trovava assistenza negli acquisti, professionalità nella risoluzione di pratiche fiscali e di stampa digitale di brochure tecniche o pubblicitarie.
I: come mai a un certo punto ha scelto di andare in pensione?
SIG. LOSITO: scelto? Andare in pensione è quasi sempre automatico. Ci si va per ragioni anagrafiche se si è un lavoratore dipendente. Essendo un libero professionista, io avrei potuto decidere autonomamente quando smettere ma, nella vita, le cose non vanno quasi mai come si pianificano.
Verso la fine del 2004 i nostri figli si erano più o meno sistemati nel mondo del lavoro, era dunque arrivato per mia moglie e per me il momento di tirare i remi in barca e pensare a cosa avremmo fatto in futuro.
Avevamo in progetto di cedere l’attività al miglior offerente e spendere il ricavato in lunghi viaggi all’estero, dedicando il tempo rimanente a tutto ciò che, per mille ragioni, ci era stato impedito di fare in passato. Purtroppo il nostro piano venne sconvolto dalla notizia che allo scadere del dodicesimo anno il proprietario dei locali del negozio non ci avrebbe rinnovato il contratto di affitto. Ciò voleva dire che non avremmo più potuto vendere con profitto ad altri la nostra attività, anzi avremmo dovuto, al più presto, cercare una nuova sede in una zona diversa della città e ricominciare daccapo lì. Da qualche mese avevo raggiunto i limiti di anzianità necessari per ottenere la pensione e così decisi che nel 2006, cioè alla scadenza del contratto di affitto, avrei smesso definitivamente il lavoro attivo. Durante quel lunghissimo periodo di agonia del negozio, mi passò del tutto l’entusiasmo con cui avevo iniziato e portato avanti quella mia ultima iniziativa e caddi in una specie di malsano torpore, fatto di malumori e di recriminazioni per la sorte avversa che continuava a ostacolare ogni mio progetto di vita. Passavo le giornate al computer navigando in Internet, disinteressandomi dell’andamento delle vendite. Lasciai praticamente la chiusura dell’attività nelle mani di mia moglie, mentre io mi affannavo a cercare un nuovo equilibrio psichico.
I: nella decisione della chiusura dell’attività, la famiglia ha influito?
SIG. LOSITO: anche mia moglie non aveva gradito la notizia che l’affitto del negozio non ci sarebbe stato rinnovato, ma l’aveva presa con molta più filosofia di me. Lei aveva condiviso la mia scelta di cominciare da zero una nuova attività, per alcuni anni si era persino divertita ad affrontare insieme a me problematiche a entrambi del tutto sconosciute, ma non credo si sia mai sentita a suo agio nei panni di commerciante, per cui cessare quell’attività non fu un dramma. Per me, invece, buttare all’aria un’impresa che, al pari della precedente, stava funzionando bene, rappresentava un ulteriore insuccesso nella mia esistenza. A farmi superare quel brutto momento contribuì la facilità con cui riuscii a spingere la mia mente a pensare ad altro. Proprio allora cominciai a scrivere una serie di racconti autobiografici sulle vacanze estive passate da bambino presso i nonni in Puglia. L’incontro con una giornalista, nostra cliente da tempo, che lesse e apprezzò quelle mie prime prove letterarie fu la molla che mi spinse a mettere da parte i malumori di una vita lavorativa che stava finendo in modo deludente e a farmi capire come avrei potuto utilizzare in futuro il mio tempo libero di pensionato. Fu lei a spingermi a frequentare un suo corso di scrittura creativa e a dotarmi di tutti gli strumenti per migliorare i miei scritti artigianali. Mia moglie, avendo compreso quanto ormai i miei interessi fossero rivolti altrove, si assunse l’onere di chiudere il negozio. Lo fece senza farmi sentire in colpa o recriminare sulla mia “lontananza”, anzi fu ben felice che io avessi già trovato un hobby che sembrava adatto a vincere la mia momentanea depressione.
I: i figli hanno influito?
SIG. LOSITO: direi di no, anzi apprezzarono molto che mia moglie ed io potessimo finalmente dedicarci alle cose che ci piacevano. Non avevamo problemi economici. Il nostro investimento aveva già dato i suoi frutti e la chiusura, seppure dolorosa e non prevista, del negozio non provocò grossi danni alle nostre finanze.
I: e gli amici?
SIG. LOSITO: ci fu sincera compartecipazione alla mia rabbia per la chiusura di un’attività ancora remunerativa in tempi in cui molte aziende erano in difficoltà per scarsità di ordini o per incapacità dirigenziali. Nelle loro parole era evidente anche un po’ di sana invidia per chi, come me, andava in pensione sapendo già come ammazzare il tempo.
I: il pensionamento cosa le ha comportato?
SIG. LOSITO: sono subito ingrassato! Fu il primo macroscopico inconveniente del passaggio da una vita attiva alla tranquillità di ore spese senza eccessivi patemi d’animo. Ripresi a leggere, anzi, a divorare libri, a scrivere per ore al pc, a progettare viaggi in Italia e all’estero e a navigare in Internet, cercando distrazioni, nuove amicizie con cui scambiare opinioni. All’inizio le giornate erano lunghe da passare. Poi, una volta messo a punto il nuovo ritmo, le cose sono molto migliorate. Anzi, adesso, il tempo scorre rapidamente, è fin troppo veloce. A sera ho come la sensazione di non avere realizzato tutto ciò che avevo in mente.
I: la sua giornata tipo?
SIG. LOSITO: ormai sono a riposo da quattro anni e molte cose sono cambiate dai primi giorni del pensionamento. L’entusiasmo, o la paura, per la nuova condizione di vita, quella che mi portava a sperimentare di tutto e di più per riempire giornate che altrimenti sarebbero risultate vuote o sprecate, sono un po’ scemati. Sarà perché alla mia età mantenere ritmi frenetici è difficile, ma oggi mi comporto molto diversamente da come facevo due o tre anni fa. In un certo senso ho imparato a gestire il mio tempo con più discernimento. Adesso privilegio la famiglia, ho ripreso a colloquiare con moglie e figli, sono meno egoista, molto più tranquillo. In altre parole, mi sto godendo serenamente questo periodo della mia vita.
All’inizio del pensionamento la mia giornata tipo era decisamente convulsa, la depressione mi spingeva a buttarmi a capofitto nella scrittura perché pensavo di avere tantissime cose da raccontare, cose che credevo d’interesse generale e che, se ben scritte, avrebbero potuto procurarmi quel successo e quelle gratificazioni che il lavoro attivo non mi aveva donato in passato. Frequentavo la scuola di scrittura una sera alla settimana, realizzavo velocemente i compiti che mi venivano assegnati e dedicavo il resto del mio tempo a pubblicare i miei testi in un blog che avevo aperto in un noto social network su Internet e a rispondere ai commenti che m’inviavano i tanti amici e amiche che mi ero fatto in rete. Ci fu un momento in cui il mio blog letterario ebbe un successo così grande da tenermi impegnato al computer tutta la giornata fino a notte fonda: la rete era diventata una specie di droga che mi teneva sveglio, sovraeccitato, oltre il dovuto e che mi fece quasi perdere il contatto con la realtà famigliare. Oltre ai miei, correggevo e pubblicavo testi dei tanti amici virtuali che mi ero fatto. Indissi persino un paio di concorsi letterari a tema che furono molto seguiti. In poco tempo avevo costruito una specie di rivista letteraria in rete in cui facevo tutto io, redazione, editing, postfazione, risposte ai commenti e alle mail che mi arrivavano. Lo sforzo intellettuale per non deludere coloro che seguivano il mio blog, ben presto, divenne insostenibile; di colpo sentii la fatica di quell’impegno quotidiano e fui costretto ad abbandonare tutto. Nel giro di un anno da esperienza gratificante, quasi un gioco, frequentare quel social network era diventato un lavoro vero e proprio da cui però non ricavavo alcun corrispettivo in denaro o un successo letterario tangibile per le mie opere. L’obbligo di essere sempre presente e attivo in rete aveva alterato il mio equilibrio psichico, agendo malamente sul mio carattere e sul mio umore. Divenni irascibile, indisponente, costantemente in preda a un delirio di onnipotenza. In quel periodo ero arrivato a pensare che scrivevo non tanto per il piacere di farlo, ma per dimostrare agli altri di essere il più intelligente, il più bravo, il più creativo di tutti. Quando mi accorsi che il mondo virtuale che mi circondava non mi premiava come mi aspettavo, un attimo prima di cadere in paranoia, con una repentina quanto salutare presa di coscienza dei miei limiti, abbandonai di colpo e per sempre quella che era diventata la mia seconda vita e così riuscii a salvarmi.
I: e ora qual è il suo stato d’animo?
SIG. LOSITO: lasciata la rete, ho trovato finalmente il tempo per scrivere il mio primo lungo romanzo, traccia su carta di quell’anno passato pericolosamente nel mondo virtuale, e sto riuscendo, al contempo, a conciliare la scrittura con la vita famigliare e persino a progettare e realizzare bellissimi viaggi all’estero. Ora il mio umore è migliorato perché non mi aspetto più dagli altri una gratificazione per le cose che faccio. Evito di impelagarmi in imprese superiori alle mie forze, scrivo per il piacere di farlo e non ne faccio una malattia se non ottengo immediati riconoscimenti. Come tutti m’inorgoglisco se qualcuno apprezza ciò che scrivo, ma ho imparato a evitare l’euforia dei complimenti, cioè quella sensazione di eccitazione che nasce, a mio parere, per sopravvalutazione delle proprie capacità personali. So bene che un’eccitazione accesa e continuata (la cosiddetta euforia perpetua, individuata e approfondita dal saggista francese Pascal Bruckner) può trasformarsi in patologia e procurare danni irreversibili alla psiche. Ho imparato a prendere ciò che viene con filosofia evitando di estremizzare le mie sensazioni sia quelle positive che quelle negative.
I: la sua vita lavorativa le manca?
SIG. LOSITO: come ho detto all’inizio, la mia vita lavorativa non mi ha dato grandi soddisfazioni, perciò non mi manca per niente. Non rinnego le scelte che ho fatto in passato, anzi cerco di ricordare i momenti positivi che ho avuto e ciò che di buono ho realizzato col mio lavoro.
I: cosa sente di avere guadagnato andando in pensione?
SIG. LOSITO: sicuramente mi sono appropriato del mio tempo. È fantastico sapere di averlo tutto a mia disposizione. Il problema sta nell’impiegarlo nel modo giusto.
I: cosa vuol dire per lei impiegarlo nel modo giusto?
SIG. LOSITO: di sicuro non andando a bivaccare ai giardinetti o al bar come vedo fare da tante persone della mia età. Ma cercando di realizzare ciò che non mi è stato possibile fare durante la vita lavorativa attiva. Se uno ha dei nipoti può dedicare a loro una parte del proprio tempo. C’è chi va all’Università della terza età per seguire corsi di varia cultura, chi si dedica al sociale, alla vita politica di quartiere, insomma ci sono infiniti modi di impiegare bene il tempo a disposizione. A me piaceva leggere, scrivere, viaggiare e, non avendo potuto farlo prima, a queste attività reputo giusto dedicare adesso le mie energie.
I: quindi lei s’immaginava una vita da pensionato esattamente così?
SIG. LOSITO: quanti libri, in passato, non ho potuto leggere per mancanza di tempo o per troppa stanchezza? Quanti viaggi non ho potuto fare sia per mancanza di tempo sia per mancanza di denaro? Ci si doveva sempre accontentare di quindici giorni di vacanza al mare, o in montagna, in località italiane all’altezza del mio reddito. Scrivere in prosa? Già da ragazzo amavo farlo. Smontando la casa dei miei genitori, ho ritrovato romanzi epici alla Walter Scott scritti a mano mentre frequentavo le scuole medie. Dunque, da anziano e con buone disponibilità finanziarie, dedicarmi alla scrittura, leggere, viaggiare, non sono state forzature, ma naturali realizzazioni di desideri pregressi.
I: negli ultimi anni è cambiato il modo di andare in pensione?
SIG. LOSITO: oggi una condizione di benessere economico più estesa e capillare nella popolazione, invita a guardare la pensione sotto una prospettiva diversa, meno deprimente. Si è portati a vivere questo periodo della propria esistenza come un’opportunità di ulteriore crescita personale e non come mortificazione del proprio io.
I: secondo lei è diverso il passaggio dal lavoro alla pensione tra uomini e donne?
SIG. LOSITO: sono convinto che per le donne questo passaggio sia meno traumatico. Generalizzare è sempre sbagliato, però io penso che la donna viva il pensionamento meglio dell’uomo. Per mia moglie, comunque, è stato così. Le ragioni possono essere tante, diversità di ruoli, di attitudini, di sopportazioni, tra uomo e donna. Non ultimo, c’è l’amore atavico della donna per la propria casa.
I: ci sarebbe un modo per aiutare le persone ad affrontare questo passaggio?
SIG. LOSITO: aiutare, in questo caso, mi sembra un verbo non troppo felice, sa di incapacità di decidere autonomamente il proprio futuro. In linea di principio, questo passaggio dovrebbe essere un momento di assoluta libertà di scelta. Per “aiutare” questo passaggio, bisognerebbe pubblicizzare di più le opportunità che le istituzioni, la società civile in genere, offrono a chi va in pensione e lasciare che ognuno scelga liberamente ciò che gli è più confacente. Non vedo, però, la pagina dell’anziano sui quotidiani che vanno per la maggiore…
I: come mai ha deciso di avvicinarsi e approfondire la scrittura?
SIG. LOSITO: come ho già accennato, a spingermi a rispolverare la mia passione giovanile per la scrittura è stato un disagio esistenziale sopravvenuto due anni prima della chiusura della Punto a Capo. Scrivere in queste condizioni, cioè quando si sta male, è quasi certo che non porta a grandi risultati artistici ma è un’ottima terapia per guarire e riprendere coscienza di se stessi. Io ho iniziato scrivendo cose autobiografiche del mio passato: è stato un modo come un altro per metabolizzare eventi del presente più o meno sgradevoli. Questa introspezione è stata una base di partenza fondamentale per affrontare le mie successive opere letterarie.
I: quali altri esiti riscontra nella scrittura?
SIG. LOSITO: partecipando ad alcuni corsi di scrittura ho conosciuto gente nuova, molto più giovane di me. Confrontandomi con loro sono stato costretto a rivedere certi miei atteggiamenti derivanti dal concetto che le persone anziane sono più sagge per definizione. Invece ho trovato ragazzi e ragazze molto in gamba, alcuni persino con più cultura e più idee di me. Insomma ho fatto un salutare bagno di umiltà che, alla fin fine, mi è servito per migliorare il carattere. E la mia scrittura se n’è avvantaggiata.
I: lei trova benessere nella scrittura?
SIG. LOSITO: Attualmente scrivo per il piacere di farlo e in quei momenti sto bene con me stesso e col mondo. Godo se qualcuno mi apprezza come scrittore e, allo stesso tempo, sopporto molto meglio di prima stroncature o critiche non del tutto positive.
I: qual è il rapporto tra scrittura e pensione?
SIG. LOSITO: presa come hobby, la scrittura mi aiuta a passare il tempo in modo intelligente. Le mie giornate volano via che è un piacere, persino troppo in fretta. Trovo che sia estremamente importante che le persone arrivate in buona salute a questo stadio della loro vita abbiano un interesse che tenga sveglia la mente.
I: la scrittura, un modo per riprogettare la sua vita?
SIG. LOSITO: esatto. Per me è così. Sto esplorando un mondo che mi aveva sempre affascinato, ma che adesso vivo in prima persona. Altri amici hanno fatto scelte diverse: c’è chi si è dedicato alla pittura, chi si è avvicinato alle politiche sociali di quartiere, chi si è dedicato all’assistenza delle persone malate, insomma, ben venga qualunque scelta che aiuti a spendere bene questi ultimi anni che ci restano da passare in terra.
I: scrive sia per sé che per gli altri?
SIG. LOSITO: questa è una domanda che mi sono posto spesso: all’inizio, sbagliando, scrivevo per dimostrare alla famiglia, agli amici, quanto fossi bravo e ci rimanevo male se non avevo riscontri positivi ai miei scritti. In seguito, ho capito che è più importante la gratificazione che ottengo per il semplice fatto di riuscire ancora a sedermi a una scrivania e a mettere sulla carta storie con un incipit intrigante e un finale a sorpresa che soddisfino me per primo. Cioè adesso scrivo soprattutto per me e mi diverto di più. Se poi arriva qualche riconoscimento esterno, ben venga.
Intervista condotta dalla dott.ssa Stefania Freddo