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Bukowski-by-origa

    L’autore dell’immagine è Graziano Origa, Origafoundation – Opera propria, CC BY-SA 3.0

Care amiche e amici,
confesso che da tempo immemorabile avevo deciso di ignorare del tutto i libri di Charles Bukowski, uno scrittore famoso per l’eloquio sboccato e per gli argomenti quasi sempre sopra le righe con cui amava scandalizzare il mondo letterario a lui contemporaneo.

Su Wikipedia, infatti, si legge: "Henry Charles "Hank" Bukowski Jr. (Andernach, 16 agosto 1920 – San Pedro, 9 marzo 1994), nato Heinrich Karl Bukowski (noto anche con lo pseudonimo Henry Chinaski, suo alter ego letterario) è stato un poeta e scrittore statunitense di origine tedesca che ha scritto sei romanzi, centinaia di racconti e migliaia di poesie, per un totale di oltre sessanta libri. In questi tratta della sua vita, caratterizzata da un rapporto morboso con l’alcol, da frequenti esperienze sessuali (descritte in maniera realistica e senza troppi eufemismi) e da rapporti tempestosi con le persone. La corrente letteraria a cui spesso viene associato è quella del realismo sporco."

Qualche mese fa un amico mi ha regalato diversi libri di Bukowsi in formato ebook e, così, mi sono deciso finalmente ad affrontare quest’ostico scrittore tanto disprezzato da molti quanto amato da molti altri.
Il primo libro che ho scelto di affrontare è stato "Scrivo poesie solo per portarmi a letto le ragazze", colpito dal titolo davvero originale e, al contempo, parecchio auto-ironico.

Si tratta di una raccolta di racconti quasi tutti autobiografici in cui Bukoswki non smentisce la sua volontà di essere il più possibile sgradevole per il comune lettore, rivelando una sincerità al limite del masochismo (cioè consapevole di essere uno sporcaccione per nulla pentito) e riuscendo, in questo modo, ad accaparrare la simpatia di tutti coloro che riescono a digerire il turpiloquio altrui pur non professandolo mai personalmente. Tra i tanti racconti di questo libro ce ne sono alcuni godibilissimi, diversi troppo realistici sull’argomento sesso, altri molto profondi sulla scrittura e sugli scrittori di prosa e di poesia e sul rapporto conflittuale tra autori ed editori, questi ultimi, quasi sempre, incapaci di riconoscere il vero talento ma attenti unicamente al guadagno che uno scrittore di successo può procurare. Tra i brani che mi sono piaciuti ne ho scelto uno da proporvi perché esprime concetti condivisibili da chi, come il sottoscritto, non molti anni fa, si è calato (scioccamente) anima e corpo nel difficile mondo degli scrittori che sperano di raggiungere la fama con le loro opere letterarie, uscendone – per fortuna – senza essersi fatto troppo male. La casa degli orrori, per inciso, è l’ambiente dove uno scrittore vive e dove esercita la sua passione.

A presto.

Nicola

La casa degli orrori di Charles Bukowski

     Parlare di scrittura è come parlare d’amore o di fare l’amore o di vivere d’amore: se ne parli troppo puoi farlo svanire. Senza cercarli, ho, per mia disgrazia, incontrato molti scrittori, sia di successo che d’insuccesso – mi riferisco alla loro arte. Come esseri umani sono un branco di cattivi, un branco da disprezzare, lamentosi, egocentrici, perfidi. Una cosa che hanno quasi tutti in comune: ognuno di loro pensa che la sua opera sia grandiosa, forse la migliore. Se hanno successo prendono la cosa come scontata e dovuta. Se falliscono sentono che gli editori, le case editrici e gli dei sono contro di loro. Ed è vero che molti pessimi scrittori sono spinti e manipolati finché non raggiungono la cima, qualunque sia il motivo. È anche vero che molti bravi scrittori sono morti di fame, o sono quasi morti, o si sono suicidati, o sono impazziti, e così via, per essere riscoperti in seguito come talenti eccelsi (seppur morti). Questo dato storico infonde coraggio allo scrittore scadente. Gli piace immaginare che il suo (di lei o di lui) fallimento sia dovuto a una moltitudine di cose che esulano dal semplice fatto di avere scarso talento. Be’, ce ne sono tanti così.

     In più, quando penso agli scrittori che conosco, per lo più poeti, noto che sono sostenuti da altri – mogli, quasi sempre madri che si fanno carico del sostentamento economico di quelli che conosco. E vivono anche abbastanza agiatamente con televisori, frigoriferi pieni e appartamenti o case in riva al mare – quasi tutti a Venice o a Santa Monica, e prendono il sole di giorno, sentendosi sull’orlo della tragedia, questi miei amici (?) e poi di sera, magari una bottiglia di vino e un panino al crescione, seguito da una lettera piagnucolosa sulla loro indigenza, la loro grandezza indirizzata a qualcuno da qualche parte. Qualsiasi cosa pur di scrivere, lavorare, creare, buttare giù parole. Be’, credo che sia sempre meglio che lavorare a una punzonatrice. Le mogli e le madri lavoreranno alla punzonatrice, non preoccupatevi di quello. E i poeti, non avendo vissuto nel mondo là fuori, nel mondo reale, non avranno nulla su cui scrivere, ma scriveranno comunque con un ego grande così e tantissima noia.

     È praticamente impossibile scrivere sulla scrittura. Mi ricordo che una volta dopo avere tenuto un reading di poesia ho chiesto agli studenti: “Ci sono domande?”. Uno di loro mi ha chiesto: “Perché scrive?”. E io gli ho risposto: “Perché lei porta quella maglietta rossa?”.
     Essere scrittore danna l’anima ed è difficile. Se hai talento può lasciarti per sempre in una notte di sonno. Ciò che ti fa andare avanti nel gioco non è facile a dirsi. Troppo successo è distruttivo; la mancanza di successo è distruttiva. Un piccolo rifiuto può fare bene all’anima, ma il rifiuto totale crea bisbetici e pazzi, stupratori, sadici, ubriaconi e poeti mancati che picchiano le mogli. Tanto quanto fa il troppo successo.

     Anch’io sono stato fuorviato dal concetto romantico della scrittura. Da giovane ho visto troppi film sul grande Artista, e lo scrittore era sempre un tizio tragico e dannatamente interessante con un bel pizzetto, occhi lucenti e verità profonde che gli scaturivano continuamente dalla bocca. Che bello sarebbe essere così, pensavo, ah. Ma non è così. Gli scrittori più bravi che conosco parlano pochissimo, voglio dire, quelli che scrivono bene. Infatti, non c’è niente di più noioso di un bravo scrittore. Tra la gente o anche con solo una persona, è sempre occupato (nel subconscio) a registrare qualsiasi dannata cosa. Non gli interessa fare discorsi o essere l’Essenza della Festa. È avido, risparmia benzina per la macchina da scrivere. Parlando puoi allontanare l’ispirazione, con la bocca puoi distruggere il genio donatoti da Dio. L’energia arriverà fino a un certo punto. Anch’io sono avido. Bisogna esserlo. Le uniche energie a cui si può rinunciare, l’unico tempo che si può donare è il tempo per l’Amore. L’amore dà forza; distrugge odi innati e pregiudizi. Rende la scrittura più completa. Ma tutte le altre cose devono essere risparmiate per il lavoro. Uno scrittore dovrebbe effettuare quasi tutte le sue letture da giovane; mentre comincia a formarsi, la lettura diventa distruttiva – toglie la puntina dal disco.

     Uno scrittore deve continuare a scrivere, a colpire nel segno, o si ritroverà nei bassifondi. E non c’è modo di risalire. Perché dopo qualche anno dedicato alla scrittura, l’anima, la persona, la creatura non riesce più a operare in nessun altro campo. È inutilizzabile. È uccello in una terra di gatti. Non consiglio mai a nessuno di diventare scrittore, a meno che lo scrivere sia l’unica cosa che gli impedisca di impazzire. A quel punto, forse, ne vale la pena.

Fine

Contributi: Il racconto di Charles Bukowski è stato estratto dal libro Scrivo poesie solo per portarmi a letto le ragazze edito da Feltrinelli nella collana Universale Economica e a cui vanno le mie più sentite scuse per il furto perpetrato al solo scopo di informare i miei amici lettori. Un ringraziamento va anche a Wikipedia da cui ho estratto informazioni su Bukowski.

Prima di iniziare il post odierno, rielaboro per voi una mail inviatami da una cara amica a cui avevo scritto di avere letto Fama tardiva di Arthur Schnitzler e di esserne stato colpito profondamente.

Fama Tardiva

“Ciò che mi hai accennato sul libro di Schnitzler, mi ha entusiasmato: me lo voglio procurare in tedesco! Deve essere stupendo. Da quel che ricordo, questo autore viennese era molto psico-orientato per cui… senz’altro deve essere riuscito ad andare veramente a fondo sull’eterna questione fama o non fama che assilla ogni scrittore che si rispetti. Quante volte abbiamo discusso questo problema io e te? Ricordo che hai sempre fatto orecchio da mercante quando ho cercato di farti capire quanto fosse sbagliata la tua ossessione per il successo letterario. Se leggendo Fama tardiva hai finalmente preso di petto questo annoso problema, tanto di cappello al libro di Schnitzler! Vuoi conoscere qualche mio pensiero al riguardo?

snoopy-scrittore-piagnone

Secondo me tu non hai mai smesso di domandarti: “Ma IO il talento ce l’ho o non ce l’ho?” e così il tuo scrivere che era sciolto quando non pensavi di diventare uno scrittore famoso (mi riferisco a Ossi di pollo, la tua prima opera) si è incriccato quando hai tentato di salire la scalinata verso gli allori. Sbaglio a dire questo? Comunque sia, non hai ancora digerito il mancato riconoscimento delle tue capacità, e questo non ti ha dato e non ti dà la serenità che occorre per affrontare altre prove letterarie. A me è capitata la stessa cosa, temo.

Anch’io ho sognato di diventare famosa e ci sono cascata in pieno nella trappola dell’EGO e, se può farti piacere saperlo, ci cascano un po’ tutti: mio padre arriva perfino a citarsi!!!!
Non c’è ragione di deprimersi: anche in altri ambiti della vita si sente la frase “Povero diavolo…” rivolta a qualcuno che si sopravvaluta. Pensi che, scrittura a parte, io non mi renda conto di quali sono i veri sentimenti degli altri nei miei confronti? Capisco molto bene persino come mi valutano. Sai quante volte ho sentito qualcosa che suonava come “Povera diavola…” mentre ero sul palco a raccogliere degli onori che non avevo cercato ma che mi erano stati insistentemente offerti, come se mi spettassero di diritto, riuscendo a convincermi di meritarli? Beh, guarda, grazie a Schnitzler, ora entrambi conosciamo la verità vera: Nessuno – intendo proprio nessuno – merita né gli onori né la compassione. È questo il trucco da applicare a se stessi e agli altri, alternativamente.

Dovrai fartene una ragione, come ho fatto io: sappi che non è difficile. La serenità è proprio dietro l’angolo. Dopo avere toccato il fondo ed essermi scontrata con l’iceberg della realtà, io ho imparato ad accettare gli altri, le loro opinioni anche se non hanno nulla a che spartire con le mie. Mille volte avrei voluto che il mondo avesse letto e apprezzato i miei scritti perché così mi sarei sentita amata e riverita anch’io, tra l’altro senza aver nemmeno il retro pensiero vagamente altruista: “Chissà se agli altri piace quello che racconto?” ma avendo in testa soltanto quello totalmente auto-centrato: “Spero di non aver commesso errori nella consecutio temporum, perché IO non posso sbagliare”. Per quel che mi riguarda, tutto questo disagio io l’ho superato. Ora è il tuo turno.

Mi dispiace tantissimo che tu stia male: per sollevarti il morale ci vorrebbe una battuta ma io non ho il tuo sense of humour e poi oggi sono troppo stanca. Un solo consiglio: perché non fai una recensione del libro di Schnitzler, una di quelle tue divertenti, ironiche e profonde?”. Poi, eventualmente, ne riparliamo…

Snoopy scrittore

Provo a seguire il consiglio della mia amica: oggi sono dell’umore giusto per abbozzare un post dal sapore ironico…

Quest’anno, a Natale, ho ricevuto pochissimi regali, però erano tutti importanti: tra questi, quello che ho apprezzato di più è stato un libro intitolato Fama tardiva di Arthur Schnitzler (sottotitolo: Storia di un vecchio poeta) edito da Guanda. 
Sapendo che in passato ho scritto un certo numero di romanzi, evidentemente chi me l’ha donato intendeva spingermi a scriverne altri, augurandomi, al contempo, una futura quanto meritata gloria letteraria, ancorché tardiva. In realtà quel breve testo di Arthur Schnitzler, medico, scrittore, drammaturgo, nato a Vienna nel 1862 e ivi morto nel 1931 è tutt’altro che di auspicio a far riprendere in mano la penna a chi, da tempo, l’ha riposta in un cassetto, non avendo mai ricevuto un qualche riconoscimento pubblico del proprio talento. Ciò affermato, e questo è il grande valore del regalo ricevuto, Fama tardiva mi ha costretto a riflettere seriamente sulle mie passioni e sulle mie speranze attuali o pregresse. Vediamo come e perché…

*****

Fama tardiva parla di Saxberger, un vecchio signore che in gioventù (circa trent’anni prima) aveva pubblicato un libro di poesie intitolato Passeggiate, passato del tutto inosservato dalla critica e dai lettori. Costui, visti gli scarsi risultati della sua fatica e mostrando un notevole acume, aveva prontamente abbandonato la scrittura poetica e aveva cercato e trovato lavoro come impiegato di concetto in una ditta poco distante da casa e lì stava conducendo un’onesta, serena, quanto anonima carriera.

Snoopy scrittore di pancia
Un certo giorno (la vicenda si svolge a Vienna verso la fine del 1800) un giovane aspirante poeta di nome Wolfgang Meier trova su una bancarella il libro di poesie Passeggiate, lo acquista e, dopo avergli dato una veloce scorsa, rimane folgorato dalla bravura di Saxberger. L’intraprendente giovane, allora, si mette alla ricerca dell’autore del libro e, una volta incontratolo, comincia a elogiare le sue poesie chiamandolo con enfasi maestro, insomma lo ossequia così tanto che Saxberger, dopo un’iniziale perplessità, (da tempo il vecchio poeta aveva metabolizzato che se non aveva avuto successo in gioventù significava che la sua opera valeva ben poco) comincia a pensare di essere stato trattato ingiustamente dalla critica e dai lettori e accetta di entrare a far parte di un circolo di giovani artisti (poeti, commediografi, critici) che tentano di svecchiare l’ambiente letterario viennese, da sempre restio a dare credito alle nuove generazioni di letterati.

Il circolo, che si riunisce giornalmente in un bar molto frequentato, accoglie con grande entusiasmo e riverenza Saxberger, convinto che chi, da giovane, era stato in grado di creare Passeggiate avrebbe potuto sicuramente dare lustro a una congrega di artisti alle prime armi. In un primo momento Saxberger pensa che tutti lo stiano prendendo in giro, ma i continui apprezzamenti sulla sua unica e misconosciuta raccolta di poesie sono tanti e tali che lui stesso si convince di essere davvero un maestro dell’arte poetica a cui era stata ingiustamente negata la fama che si meritava. La presenza del vecchio poeta induce i frequentatori del circolo a preparare un evento letterario in cui declamare pubblicamente alcune loro composizioni poetiche o narrative, sicuri che la notizia, fatta circolare sulla stampa locale, che allo spettacolo sarà presente colui che aveva scritto un’opera fondamentale come Passeggiate, avrebbe avvantaggiato anche loro. Il gruppo chiede con insistenza a Saxberger di scrivere nuove poesie da leggere in occasione dell’evento programmato per la fine del mese successivo, dove sarebbe intervenuta una nota attrice di teatro a leggere, da par suo, sia i componimenti dei giovani autori sia le nuove poesie del maestro. Saxberger ci si mette d’impegno, prova e riprova, ma non riesce a produrre niente di nuovo: ormai è troppo arrugginito e l’ispirazione non gli arriva nemmeno andando a passeggiare nei luoghi dove erano scaturite le sue belle poesie giovanili. Il circolo non si perde d’animo e, per andare sul sicuro, decide di far declamare all’attrice alcune delle poesie tratte da Passeggiate.

A questo punto, Saxberger si è talmente ringalluzzito da comportarsi come se fosse effettivamente un grande poeta e quindi ascolta con una certa sufficienza, ma senza criticarli con la franchezza che meriterebbero, i modesti componimenti dei giovani autori appartenenti al circolo.
Arriva, finalmente, il giorno dell’evento letterario con spettatori paganti e con la presenza anche di alcuni giornalisti. Dietro le quinte i vari autori che si presenteranno sul palco sono, ovviamente, nervosi, ma il più nervoso di tutti è il vecchio poeta, anche se, dentro di sé, è convinto che sarà lui a ricevere gli applausi più scroscianti. La manifestazione, a sentire il calore degli applausi, sembra procedere bene. Quando l’attrice termina di leggere le poesie di Saxberger, gli applausi che lui riceve, presentandosi sul palco, sono pari a quelli di tutti gli altri autori che l’hanno preceduto, però, allo scemare del battimani, una voce sommessa, proveniente da chissà dove, pronuncia, rivolta chiaramente a lui, le parole: “Povero diavolo…”.
È un vero colpo al cuore per Saxberger che si aspettava, finalmente, il dovuto riconoscimento del suo grande talento poetico! La dura realtà dei fatti raccontava, invece, che tutti i partecipanti avevano ricevuto lo stesso plauso da parte del pubblico, ma solo a lui era stato rivolto quell’odioso commento…

Il giorno dopo sui quotidiani locali più in voga si parla poco di quell’evento letterario. Solo qualche striminzito trafiletto nelle pagine di cronaca più interne. In un’importante quotidiano letterario, invece, c’è una recensione negativa in cui venivano ironizzate tutte le performances dei giovani poeti e, in più, c’era una sottolineatura del fatto che uno di questi “giovani” fosse parecchio attempato… In un altro giornale a bassa tiratura, infine, c’è una recensione blandamente positiva, rivelatasi in seguito pilotata da Meier (proprio colui che aveva acquistato Passeggiate su una bancarella) in cui il recensore tesseva lodi equanimemente rivolte a tutti, aggiungendo, però, di attendersi a breve un miglioramento effettivo delle loro prossime prove d’autore.
Una brutta batosta per l’intero gruppo, ma soprattutto una nuova sberla in faccia a Saxberger.

Costui, allora, abbandona in silenzio il circolo che tanto lo aveva osannato e se ne torna mesto mesto a casa. Lo segue soltanto il più giovane del gruppo, quello che tutti prendevano bonariamente in giro a causa delle sue composizioni ancora troppo immature. Il ragazzo chiede al vecchio poeta il favore di leggere le sue poesie per avere da lui un parere da esperto. In cambio di questo favore lui promette di leggere il suo tanto osannato Passeggiate
Così, come ultimo e definitivo smacco, Saxberger, già depresso per quanto era successo durante l’evento letterario, viene a sapere che il ragazzino e tutti gli altri componenti del circolo di giovani artisti, pur lodandolo a gran voce, non avevano mai letto nessuna delle sue poesie contenute in Passeggiate.

snoopy scrittore pieno di sé 

Scusatemi, care amiche/amici, se mi sono dilungato tanto a raccontarvi la trama di Fama tardiva, togliendovi così il gusto di acquistare e leggere quest’ottimo e sottilmente ironico libro, ma l’ho fatto di proposito perché questo testo di Arthur Schnitzler mi ha davvero illuminato. Infatti, con qualche piccolo ritocco e pensando al mio vissuto di questi ultimi anni, la vicenda del vecchio poeta mi ha fatto venire in mente il gruppo di amici che, insieme a me, aveva partecipato a un paio di corsi di scrittura creativa e che sperava tanto nel successo letterario. Mi ha ricordato la fragile amicizia che si era instaurata tra di noi e la sottile invidia che permeava dentro di me (e penso anche negli altri) quando uno del gruppo otteneva un qualsivoglia modesto riconoscimento. Arthur Schnitzler con la sua scrittura ironica e modernissima mi ha edotto sull’inutilità di insistere nella scrittura credendo di avere qualcosa di eccelso da dire, correndo il rischio di sentirsi dire da qualcuno di avere scritto unicamente delle banalità. In verità, a differenza di Saxberger, finora nessuno, facendo in modo che io lo sentissi, mi ha dato del povero diavolo, però chissà quanti, dietro le mie spalle, avranno alzato il sopracciglio sfogliando i miei libri e decidendo così di non acquistarli e leggerli!

Fama tardiva mi ha fatto intendere di avere speso gran parte del mio tempo libero a produrre opere ammirate smodatamente solo da parenti e amici compiacenti, ma quasi del tutto ignorate dal grande pubblico e che, proprio per questo, è arrivata l’ora di cestinare i tanti sogni di gloria che mi rovinavano la vita.
Mi ha fatto sorridere, soprattutto, il pensiero che il libro di Schnitzler sia stato volontariamente scelto da qualcuno per farmi, fidandosi del titolo, un gradito regalo, quando invece, di primo acchito, leggerlo è stato come ricevere un bel pugno nello stomaco. A bocca aperta

Fortunatamente il malumore è durato solo qualche giorno e non sono caduto nel triste vortice della depressione, anzi, quel libro mi ha donato una salutare consapevolezza delle mie effettive capacità e questa, unita al mio noto sense of humour, mi ha aiutato a sgombrare in tutta fretta dalla testa anche l’idea alquanto pellegrina di considerarmi un romanziere ingiustamente valutato da critici e lettori.

Ovvio che non rinnego i libri che ho scritto in passato, tutt’altro, ma, da oggi in poi, al pari di Saxberger, li guarderò con l’occhio benevolo e maturo di chi sa che tutto ciò che si realizza con passione e sforzo mentale ha un valore intrinseco che può tranquillamente prescindere da critiche negative o riconoscimenti a cinque stelle provenienti da chicchessia.

Nicola

L'arte della poesia

Crediti: un sentito grazie a Charles M. Schulz per le esilaranti strisce di Snoopy e un ringraziamento va anche all’autore della splendida immagine qui sopra che descrive l’arte della poesia e dello scrivere in generale.

Io e Agata 3D

Io e Agata 3D back

Quella che vedete sarà la copertina della versione cartacea di Io e Agata realizzata per CreateSpace. Coloro che hanno letto il post della settimana scorsa avranno notato che è parzialmente diversa da quella della versione e-book. Ho dovuto modificarla per necessità. Lo sfondo marmorizzato che contraddistingue l’e-book non permetteva una facile lettura del testo nella quarta di copertina e per questo, ho dovuto cambiarlo. Dopo questa (inutile) notizia entriamo nello specifico del romanzo.

I personaggi principali sono tre: Agata, Fabio, Marta.

Marta è la moglie di Fabio. Di lei non ho potuto fornire ulteriori notizie. Mi è stato tassativamente proibito di descriverne l’aspetto fisico e i suoi intimi pensieri. Posso solo aggiungere che Marta è una donna di carattere, col cuore grande come una casa, ed è la nipote preferita di Agata. Il romanzo, sia chiaro, è di fantasia, ma alcuni personaggi, tra cui Marta, assomigliano molto a personaggi reali. Nel testo, comunque, disobbedendo un pochino all’impegno preso, la personalità di Marta emerge  chiara ed evidente.

Fabio, l’Io del titolo NON sono io, cioè l’autore del libro, ma è un simpatico signore laureato in lettere antiche che ha insegnato in un liceo di Milano. E’ doveroso sottolinearlo: io (scritto in minuscolo), infatti, sono un ingegnere elettronico a riposo e ho caratteristiche e aspirazioni del tutto diverse da quelle dell’Io, Fabio. Sbaglierà chi ravviserà in alcune fissazioni di questo personaggio le stesse che, in alcuni momenti della sua vita, ha manifestato il blogger Nicola. Fabio, da sempre, insegue il sogno di diventare un grande scrittore e di arrivare a possedere una libreria con un numero infinito di libri. Nicola si accontenta dei mille e passa libri che ha letto, inoltre, ben presto, ha capito che gli manca quel misterioso quid che permette a pochi eletti di raggiungere l’immortalità in campo letterario.

Agata, la minore delle due sorelle del padre di Marta, è una psicologa per vocazione e predisposizione mentale. Benché non avesse conseguito la laurea, esercitò con successo questa professione per parecchi anni. I suoi pazienti la chiamavano dottoressa con deferenza e affetto perché riusciva sempre a risolvere i loro disturbi mentali, emotivi e comportamentali. Agata era una psicanalista sui generis: curava la mente degli esseri umani sfruttando non solo l’ascolto ma il benefico influsso terapeutico delle piante. Il suo studio, infatti, era una specie di foresta tropicale dove trovavano posto solo una sedia per l’analista e una chaise longue per il paziente. Sono pochi quelli che non uscivano guariti dalle sue sedute. La sua cura, però, non era adatta a tutti. Chi soffriva di rinite allergica o di pollinosi veniva gentilmente invitato da lei a rivolgersi ad altro analista.

A sentire la campana dei famigliari, Agata non godeva di altrettanta considerazione. La sua originalità, manifestata abbastanza presto nel corso del suo cammino terreno, veniva da loro considerata fuori da ogni regola logica: tanta originalità faceva pensare che le mancasse qualche rotella. Matta come un cavallo era l’espressione con cui – carinamente – veniva ricordata nelle conversazioni in famiglia quando ci si riferiva a lei e alle sue azzardate scelte di vita.

Fabio conosce Agata il giorno del suo matrimonio con Marta e, subito, tra la psicologa e il professore di lettere nasce un sentimento di reciproca simpatia che nemmeno i tanti contrasti che avranno nel tempo, riusciranno a distruggere. 

Marta mi presentò a sua zia il giorno delle nostre nozze, durante il rinfresco, al termine della cerimonia in Chiesa. Lei mi diede una rapida occhiata e pronunciò una frase che ricordo ancora:
«Così questo è tuo marito? Beh, non è una gran bellezza, ma credo che ti farà felice!»
Lo disse sorridendomi apertamente e senza il minimo imbarazzo, facendo nascere nella mia testa quei sentimenti contrastanti che segnarono sempre i nostri rapporti: profonda attrazione per la sua fisicità, ammirazione per la vivacità della sua mente ma anche disapprovazione per certi suoi atteggiamenti sgarbati verso chi reputava non alla sua altezza.
Ho pensato parecchie volte a quella sua frase e non ho mai capito come abbia potuto esprimere un simile giudizio pochi minuti dopo avermi conosciuto. Riguardo al mio aspetto, non so se fece solamente dell’ironia, (in quel momento ero un ragazzo niente male) oppure se, con la lungimiranza degli indovini, riuscì a vedermi come sarei stato nella decadenza fisica dei settant’anni. Di sicuro centrò in pieno che avrei fatto del mio meglio per rendere felice sua nipote. Marta voleva dei figli e ne abbiamo avuti quattro e, in quasi mezzo secolo di vita matrimoniale, abbiamo avuto più momenti belli da ricordare che periodi brutti da dimenticare.

Ad accomunare Agata e Fabio sono la passione sfrenata per i libri. Agata, tra l’altro, dispone di una ricca biblioteca a cui Fabio farà apertamente il filo, sperando di entrarne in possesso alla di lei dipartita.

Quando Marta me la presentò, Agata mi piacque subito e ancora di più l’apprezzai quando seppi che non era sposata e che possedeva una biblioteca che dire fantastica è dire poco. Da allora mettere le mani sui suoi libri divenne il mio freudiano fort-da, un ripetitivo gioco del rocchetto che praticai negli anni con tenacia degna di ben più redditizi traguardi. Mille volte rimuginai fra me e me che, catturando con astuzia la sua benevolenza oppure utilizzando metodi di persuasione violenti, avrei avuto la possibilità di realizzare la seconda delle mie ossessioni. In realtà non pensai mai di ammazzare Agata per far sì che la sua biblioteca diventasse mia in anticipo però, visto il carattere spigoloso e ondivago di quella donna, ci andai molto, molto vicino…

A sessant’anni Agata decide di lasciare Milano, vende il suo prestigioso  appartamento e con il ricavato acquista una villa nella collina pavese a una quarantina di chilometri dalla città dove ha vissuto ed esercitato la sua professione. Questa svolta nella sua esistenza si rivelerà una scelta poco ragionata e, da quel momento in poi, comincerà il suo lento ma inevitabile decadimento fisico e mentale. Questa discesa all’inferno della ragione sarà da lei combattuta con caparbietà, aiutata dall’amorevole e costante presenza di Marta che  ha promesso a suo padre di vegliare – vita natural durante – su questa parente riottosa ad accettare regole e divieti della società del suo tempo.

Anche Fabio, con sempre in testa il pensiero fisso di entrare in possesso  della biblioteca di Agata, parteciperà a questa azione di supporto morale ed economico messa in essere da sua moglie per rendere meno solitaria e degradata la vita di una donna che sta invecchiando malamente in un luogo, Strà Ferrari, composto di quattro case in croce e nemmeno segnalato nelle carte topografiche.

Agata e Fabio, due personalità molto diverse fra loro, si incontrano e scontrano, si amano e litigano senza freni, come sempre avviene tra persone legate da amorosi sensi. Dunque, Io e Agata altro non è che il romanzo di due vite solidamente ed empaticamente intrecciate.

Fabio, sin da bambino ama leggere e scrivere. Entrambe queste passioni – vere e proprie ossessioni –  saranno la sua dannazione. Tutti sanno, all’infuori di lui, che scrivere con l’idea fissa di diventare uno scrittore di successo non è il modo migliore per affrontare con serenità e profitto la pagina bianca. Potrà l’Agata psicologa aiutare Fabio a superare indenne le tante delusioni che comporta l’attività dello scrivere senza avere mai gratificazioni? Agata, abituata a spendere in maniera scriteriata (la sua  famiglia era parecchio benestante), saprà affrontare senza davvero impazzire le ristrettezze economiche con cui, da un certo punto in poi, è costretta a convivere?

Il romanzo affronta e cerca di dare una risposta a queste problematiche e a tanti altri temi (i rapporti interpersonali, l’amore, la vecchiaia, la solitudine e la malattia) che si presentano pressanti e, a volte, irrisolvibili, nella vita di tutti gli esseri umani.

Io e Agata si sviluppa in 72 capitoli e con due racconti in appendice. Le voci narranti sono due. Agata e Fabio si alterneranno sulla scena per parlare della propria esistenza, entrambi sotto l’egida di Marta, personaggio volutamente tenuto in sordina, ma che rappresenta la saggezza e l’amore incondizionato in un mondo che, quasi sempre, è disordine, cattiveria, dolore e incomprensione.

Nicola

P.S. Andate su www.amazon.it e iscrivetevi (è gratis), scegliete la categoria Libri e cercate Io e Agata oppure Nicola Losito: nella videata che compare potete trovare il mio e-book e leggerne, senza alcun impegno di acquisto, i primi otto capitoli. Se trovate di vostro interesse il romanzo, è possibile comprarlo a 1,56 Euro, o richiederlo, in via gratuita, scrivendomi alla mail n.losito@alice.it.

A metà Novembre, se non ci sono intoppi, sarà disponibile anche la versione cartacea di Io e Agata. Un consiglio disinteressato: questo libro potrebbe essere un simpatico regalo di Natale per gli amici. Caldo Occhiolino

E, per finire, ecco una strip del Signor Giacomo:

Striscia70a

 

Della serie: riusciranno gli scrittori di oggi a superare i grandi del passato – Ultima puntata.

In questi giorni di ridotta mobilità (vedi La sedia infame), a furia di imbottirmi di integratori sotto forma di pillole, di polverine misteriose da sciogliere in acqua, di punture da quattro c.c. (dose da cavallo) per nutrire i miei nervi che sono stati compressi e compromessi dalla mia rovinosa (e umiliante) caduta, è avvenuto che tutte le mie terminazioni nervose si sono ribellate all’eccesso di cure a cui sono state sottoposte e se la sono presa con me. Infatti, invece di ringraziarmi per tutte le vitamine che gli propino, mi tormentano sia di giorno sia di notte e sto quasi uscendo pazzo dal dolore al braccio sinistro. Per lenire questa sofferenza prendo un antidolorifico che ha come principi attivi il paracetamolo e la codeina (un alcaloide contenuto nella polvere d’oppio): in pratica mi sto drogando con la benedizione del mio medico curante, in quanto la codeina durante il metabolismo si trasforma in morfina.

Quando alla fine (se mai una fine ci sarà) di questa mia disavventura tornerò ad avere la disponibilità motoria di entrambe le braccia e la mano sinistra riprenderà la normale sensibilità, di sicuro sarò assuefatto alla morfina e, a ogni accenno di probabili nuovi malesseri, sarò costretto a ingerire droghe sempre più pesanti trasformandomi in uno di quei zombie che affollano i B-Movie trasmessi in tv dopo la mezzanotte… Al momento, visto che nessun sonnifero ha un effetto duraturo, dormo pochissimo e così tutte le cellule del mio povero cervello sono costrette a un super lavoro notturno.

Vi interessa sapere cosa penso nelle lunghe nottate insonni che passo alternando il letto alla poltrona, visto che in nessuna delle due sistemazioni il mio braccio sinistro trova la posizione giusta per rilassarsi almeno un’ora di fila? Non ve ne frega niente? Ok, io ve lo dico lo stesso, perché questo è l’argomento del mio post odierno. A bocca aperta

In quei momenti di veglia coatta penso con terrore al mio futuro, a quel po’ di tempo che mi resta ancora da vivere e ai tanti progetti fantasiosi che non sono riuscito a realizzare. Per non farla troppo lunga vi parlo solo dei tre più importanti.

LibriImpilati

C’è stato un tempo in cui avevo in mente di leggere tutti i libri di questa terra. Non ridete, ero un ragazzino molto sveglio quando ebbi questo geniale pensiero: allora leggevo in fretta e memorizzavo ogni cosa che leggevo. Crescendo, alla passione della lettura si aggiunse il piacere della scrittura. In più, oltre a studiare ingegneria all’università di Bologna, disegnavo fumetti umoristici.

Bei tempi quelli!

Poi, purtroppo, iniziò la vita vera. Finita l’università trovai lavoro, mi sposai ed ebbi tre figli nel giro di quattro anni. Ovviamente smisi di leggere, di scrivere e di disegnare (leggere un libro all’anno non era leggere, scrivere mail ad amici non era scrivere e la vena umoristica la chiusi in un cassetto).

Raggiunta la pensione i miei sogni di bambino ripresero piede ma, a causa dell’età avanzata, fui costretto ad aggiustare di parecchio il tiro.

Oggi, infatti, non sono più capace di disegnare, non riesco a leggere velocemente e dimentico quasi subito ciò che leggo: per forza di cose debbo scegliere fra i tanti libri presenti sul mercato, solo i migliori, cioè quelli suggeriti dalla critica qualificata o da amici letterati. Ovvio che non sono soddisfatto per niente di me stesso! Quest’anno, in particolare, degli otto romanzi che ho letto finora, tolto Un pezzo d’uomo  di Kari Hotakainen di cui vi ho parlato poco tempo fa, tutti gli altri mi hanno parecchio deluso. Non faccio nomi e cognomi perché mi dispiace mettere alla berlina autori di grande fama che in passato hanno dato notevoli prove di bravura ma che – a mio parere – non hanno avuto il coraggio di deporre la penna quando era il momento giusto per farlo. Che questa delusione, invece, sia un segnale di saturazione della mia capacità di lettura? Dio mio, spero di no!

Che fine ha fatto la mia antica passione per la scrittura?

Scrivere

La storia qui si complica e sarebbe troppo lungo e noioso ripercorrere il cammino letterario che ho compiuto fino ad oggi: perciò semplifico al massimo. Come ho detto poc’anzi, gli impegni di lavoro, la famiglia, i figli e chissà cos’altro mi avevano costretto a mettere la sordina alle mie velleità artistiche giovanili, però, una volta entrato in pensione, nei primi cinque o sei  anni di libertà da impegni lavorativi, sono ripartito con l’entusiasmo e l’energia di uno sbarbatello. Ho letto tantissimi libri, ho scritto decine di racconti, ho aperto e chiuso blog, e mi sono pure cimentato in un paio di romanzi. Ovviamente questo stato di grazia non poteva durare. Ultimamente la natura (il peso dell’età) ha avuto il sopravvento, infatti, adesso leggo poco e praticamente ho smesso di scrivere seriamente. Più che altro cazzeggio al computer. Forse, come è successo per la lettura, la passione per la scrittura è scesa ai minimi termini. Non ho più gli stimoli giusti e, soprattutto, ho maturato nuovi convincimenti.

Da piccolo pensavo che, per diventare un grande scrittore, occorresse leggere libri su libri e bastasse conoscere alla perfezione le regole della grammatica e della sintassi. Sbagliavo di grosso. Nella mia vita ho macinato migliaia di libri, ho fatto buoni studi, eppure non ho vinto il premio Nobel della letteratura. Oggi mi sono convinto che per entrare nell’Olimpo dei famosi occorre avere, sin dalla nascita, una marcia in più rispetto all’enorme pletora di (presunti) scrittori che, avendo pubblicato un libro che ha venduto un certo numero di copie, credono di essere autori di successo in grado di competere con i grandi del passato. La verità vera è  che le mille letture e le tante parole scritte e riscritte servono solo ad affinare una dote specifica – una vera e propria regalia divina – che è già incisa nel DNA di quei pochissimi eletti a fama duratura.

Ho impiegato anni a capire che quel dono non ce l’avevo ma ora, finalmente conscio di ciò, mi sono messo l’animo in pace e di sicuro non mi suiciderò se non raggiungerò i traguardi a cui aspiravo in gioventù.

Questo significa che non leggerò più e non scriverò più? Non scherziamo!

Continuerò a fare entrambe le cose, però con uno spirito diverso e con una maggiore consapevolezza dei miei limiti. A guadagnarci – spero – sarete voi che di tanto in tanto seguite il mio blog: diminuiranno i miei pallosi articoli centrati sulla scrittura (qualcuno li ha trovati troppo autoreferenziali…), scompariranno i piagnistei sui miei mancati successi e darò più spazio ad altri argomenti.

Contenti? Occhiolino

Si conclude così – serenamente – la serie di post dedicati agli scrittori di oggi che sperano di superare i grandi del passato.

Nicola

P.S.

Come sempre le immagini sono state prese da Internet e il copyright appartiene ad autori a me sconosciuti ma decisamente bravi.

Sofia si veste

minimum fax editore – euro 14,00

La risposta la trovate nel libro di Paolo Cognetti uscito qualche tempo fa.

Dico subito che il libro in questione è molto bello, ma per qualche ragione non mi ha soddisfatto appieno, anzi nel leggerlo mi sono arrabbiato e, quando l’ho finito ho pensato che Paolo Cognetti avesse perso l’occasione di tirare fuori dal suo cilindro di scrittore ormai maturo, il “romanzo perfetto”. Aveva a disposizione un personaggio femminile straordinario ma, a mio modesto parere, non l’ha saputo sfruttare come meritava. Perché poi abbia scelto la formula del capitolo-racconto e non del romanzo a tutto tondo è un altro mistero per me incomprensibile.

Sofia veste sempre di nero, infatti, è una raccolta di dieci racconti autonomi, ma che autonomi in realtà non sono, nel senso che per apprezzarli a dovere non vanno letti a caso ma nella sequenza scelta dall’autore. Il suo limite è di non essere né carne né pesce. Non si tratta di una vera raccolta di racconti e non è nemmeno un vero romanzo perché del romanzo non ha la struttura, l’ampiezza, la complessità e le finalità.

Sofia Muratore, la protagonista, non è quasi mai il centro dei singoli racconti, ma è sempre presente come filo conduttore di altre vicende che girano attorno alla madre, al padre e ad alcuni suoi amici. Tramite questi racconti veniamo a conoscenza – quasi di straforo – della vita sregolata di questa strana ragazza, solitaria, introversa, problematica. È vero che alla fine ci si affeziona a Sofia ma, proprio per questo, di lei avremmo voluto sapere di più, avremmo voluto entrare di più nella sua testa e capire il perché di certe sue scelte bizzarre. Questo, purtroppo, ci viene negato. Dobbiamo soltanto prendere atto delle stranezze comportamentali di Sofia (ma anche della sua affascinante e variegata personalità) e ci rimaniamo male, cioè io ci sono rimasto male e per queste mancanze di approfondimento su questo affascinante personaggio il libro di Cognetti mi ha lasciato insoddisfatto.

Detto questo, però, devo fare i miei più vivi complimenti a Cognetti: la sua scrittura è di alto livello, complessa ma non difficile da capire, mai banale, spesso emozionante. Niente male per uno scrittore abbastanza giovane (è nato nel 1978) che ha alle spalle altri due libri (Manuale per ragazze di successo, 2004 e Una cosa piccola che sta per esplodere, 2007) ed è anche autore di alcuni documentari.

La sua è il tipo di scrittura che piace a me e che io fatico a esprimere nei miei scritti. Il suo periodare nasconde una solidità sintattica e culturale notevole che non scade mai nell’esemplificazione facile e banale di altri scrittori italiani molto più famosi di lui, ma assai meno preparati di lui. Penso a Fabio Volo o Federico Moccia, tanto per fare due esempi noti.

I dieci racconti sono interessanti tutti ma quello che mi è piaciuto di più è l’ultimo: Brooklyn Sailor Blues. I due personaggi maschili (voce narrante e Juri) in qualche modo mi sono familiari. Lasciando perdere la notevole differenza d’età fra me e loro, entrambi mi assomigliano. Fatte le debite proporzioni, anch’io studio per diventare uno scrittore e qualche volta mi cimento come regista di film amatoriali (vedi il post Fancazzista laborioso). La voce narrante è un ragazzo che si è recato all’estero per trovare l’ispirazione e l’ambiente giusti per creare i suoi primi racconti o, persino, il suo primo romanzo. Sarà Sofia, incontrata a New York, che gli darà quella spinta che lui cercava da tempo. Juri, invece, è andato a New York a studiare regia cinematografica e, come prova d’esame, girerà un film dove Sofia è la protagonista. Sofia, però, è un’attrice che segue il suo istinto interpretativo e non quello che il regista le dice di fare. Tanto per dirne una, si rifiuterà di morire come la sua parte prevedeva. La sua personalità è così forte da stravolgere ciò che Juri aveva in mente e, durante le riprese, lo condizionerà a un punto tale da rendere il film quasi impossibile da montare in sequenze logiche. Il film – nonostante gli infiniti e patetici sforzi di Juri durante il montaggio alla moviola – risulterà un insieme di bellissime scene (tutte illuminate dalle notevoli performances di Sofia) ma che non riesce a esprimere una trama di senso compiuto. Juri uscirà più forte e più consapevole di sé da questa esperienza sbagliata, pronto ad affrontare le sue successive prove di regia. I due ragazzi – la voce narrante e il regista – entrambi innamorati persi di Sofia, devono a questa strana, solitaria e sfuggevole ragazza la loro crescita intellettuale e professionale. Con questo personaggio femminile Cognetti è riuscito a colpire anche il mio cuore e la mia mente e – se fossi stato giovane e l’avessi incontrata lungo la mia strada – anch’io mi sarei innamorato di Sofia…

La mia insoddisfazione – spero sia chiaro – nasce dal fatto che Sofia meritava un romanzo tutto suo e non aleggiare, vittima e carnefice, all’interno di una serie, anche se notevole, di racconti.

Molto bello anche il titolo del libro. Da leggere e consigliare agli amici.

Nicola Losito