Archivio per la categoria ‘Libri’

Care amiche, cari amici,

   permettetemi di lanciare uno spot pubblicitario su una gara letteraria a cui partecipo. So che non è una cosa molto elegante da fare in un blog, perciò prometto che questo annuncio non sarà ripetuto in futuro.

   Il fatto è che in famiglia hanno insistito così tanto che mi hanno convinto, per la prima volta nella mia vita, a partecipare a un torneo indetto dalla piattaforma Kobo, uno dei principali concorrenti di Amazon. Così, un mese fa, mi sono iscritto all’iniziativa "6 libri in cerca di un autore" realizzata dal Kobo Store in collaborazione con Mondadori Retail e Passione Scrittore e oggi sono pronto a sottopormi al giudizio di chi visiterà la pagina web dedicata alla tenzone fra autori auto-pubblicati:

Torneo di Self-publishingA

   Si tratta di una gara molto particolare che non prevede premi in denaro e nemmeno assicura un contratto di pubblicazione: il solo scopo è quello di dare a uno scrittore che da qualche tempo ha già auto-pubblicato un proprio libro su una piattaforma (nel mio caso, Amazon) la possibilità di godere, se rientra fra i  finalisti del torneo, di un pizzico di visibilità in più su un’altra piattaforma (Kobo Store, partner di Mondadori) dove il proprio romanzo verrà ripubblicato e rimesso in vendita. La locandina parla di 12 finalisti perché ci sono in ballo due gare separate, una che valuta 6 opere mai pubblicate prima e l’altra, 6 opere già auto-pubblicate da tempo ed è proprio di quest’ultima che vi parlo e a cui sto partecipando.

   L’idea è intrigante, visto che è proprio la visibilità ciò che manca a noi autori che ci auto-pubblichiamo (cioè che, per mille e una ragione, abbiamo deciso di evitare le case editrici tradizionali). Infatti, nell’infinito mare del web e nell’intero mondo letterario italiano e straniero, quanti sono al corrente che un certo Nicola Losito ha pubblicato uno o più libri? Tolti i parenti stretti e gli amici, praticamente non lo sa nessun altro. Quindi, ben vengano iniziative di questo genere che cercano di dare una (piccola ma importante) spinta a noi, emeriti sconosciuti.

   Termina qui il mio pistolotto introduttivo.

   Adesso, velocemente, vi spiego cosa deve fare chi vuole farmi entrare nella rosa dei 6 autori finalisti.

  – Il primo fondamentale passo da compiere è registrarsi gratuitamente nel sito Kobo-Mondadori:

 https://it.kobo.com/writinglife

   Ci si può registrare sia con il proprio account Facebook (come ho fatto io), oppure con l’account Google, oppure si può crearne uno nuovo gratuito su Kobo. Solo al termine della procedura di accreditamento è possibile continuare.

– Una volta registrati, potete visitare la pagina dedicata al concorso, cliccando su questo indirizzo:

https://www.kobo.com/it/it/p/Torneo

  – Compare la videata:

 Torneo di Self-publishingDTorneo di Self-publishingC

  Qui trovate le locandine di tutti i libri (circa un centinaio, per la cronaca) che partecipano alla gara. Sono previste 7 sezioni (Gialli e thriller, Romanzi d’amore, Narrativa e letteratura, Romanzi storici, Fantascienza, Fantasy, Young adult) su cui fare la scelta. Io partecipo nella sezione Narrativa e letteratura con il romanzo Io e Agata:

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   – Sul Kobo Store potete scaricare gratuitamente l’e-book, però, attenzione, questo contiene unicamente un’ampia sinossi del libro ed è proprio la sinossi che si deve leggere, commentare e valutare con le stelline direttamente sul sito che gestisce il concorso, cliccando sull’immagine del libro stesso.

– Una volta letta la sinossi, selezionando con il mouse la scritta "Scrivi la tua recensione", si ottiene la videata:

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  A questo punto siete pronti a esprimere la vostra opinione. Tutti campi presenti in questo form sono obbligatori, pena l’annullamento della scheda. Le sinossi dei libri che partecipano alla gara sono sottoposte a una “Recensione Collettiva” che si svolge nel periodo che va dal 21 dicembre 2016 al 20 febbraio 2017. Se qualcuno conosce la sinossi e ha già letto l’intero libro in gara, ovviamente, potrà esprimere il suo giudizio con maggiore cognizione di causa.

   Non vorrei influenzarvi (bugiardo! Occhiolino), ma l’unica valutazione di questo libro  ricevuta su Amazon, dove tutte le mie opere sono in catalogo, è stata lasciata da Viola Veloce autrice del noto romanzo Omicidio in pausa pranzo (ed. Mondadori) e ha questo tenore:

   Agata è una psicologa psicotica. Simpaticissima. La storia suona vera, e deve esserlo sul serio – da qualche parte – perché la sua personalità spumeggiante è come quella di uno di quei vini che escono dalla bottiglia per le troppe bollicine.
  Asciutto il linguaggio, pulito, senza tutti quegli aggettivi che a volte appesantiscono la narrazione.
   Ti fa pensare a quello che sarà il destino degli anziani folli.
   Ma ce n’è qualcuno di sano?

  Alcuni amici (virtuali) su WordPress hanno già letto e recensito “Io e Agata”, pubblicamente nel loro blog o personalmente via mail e di questo li ringrazio di cuore, comunque spero che mi sostengano ancora, riproponendo un loro giudizio sul sito del torneo.

Importante

  Per ringraziare tutti coloro che dedicheranno un po’ del loro prezioso tempo e donarmi così un po’ di visibilità sul Kobo Store, invierò gratis l’e-book con il testo completo del romanzo. Basta che mandiate la vostra richiesta a n.losito@alice.it e mi diciate quale formato del libro preferite (.mobi per Kindle, .epub per Kobo e tutti gli altri lettori elettronici, .pdf per chi intende leggerlo sul computer).

   Un cordiale saluto a tutti.
   Nicola

    Post Scriptum

   Notizia di oggi è che, a mio parere, c’è già un vincitore conclamato del torneo. Lo affermo perché, a differenza di tutti gli altri partecipanti (me compreso) che hanno zero o pochissime recensioni, c’è una scrittrice che partecipa con un libro autobiografico di 190 pagine sulla madre che, piangendo per i suoi guai, cantava che la vita è meravigliosa e che ha già ricevuto più di trenta valutazioni a 5 stelle. In pratica ha ormai staccato di infinite lunghezze tutti gli altri autori in gara, mettendo in paniere una seria quanto concreta possibilità di vittoria nella gara letteraria in corso.

  Avere così tante critiche entusiastiche significa che a) il libro è davvero stupendo, b) l’autrice dispone di tantissimi parenti, amici compiacenti e lettori anonimi soddisfatti che la sostengono a spada tratta.
  Nel caso a) mi tolgo tanto di cappello e m’inchino alla bravura della scrittrice.
  Nulla da contestare anche nel caso b) perché riuscire a coinvolgere un numero così grande di persone che hanno letto e apprezzato un libro e si prendono la briga di dichiararlo per iscritto in una gara fra autori sconosciuti, è un fatto veramente straordinario.

  E’ cosa straordinaria perché, pur avendo io numerosissimi parenti e una gran pletora di amici che frequento da anni e che, di sicuro, sanno che ho auto-pubblicato dei libri, nessuno di loro si è mai impegnato per commentare in Rete una qualsiasi delle mie opere, regalandomi visibilità o innestando il passa-parola. Spero vivamente che lo facciano ora… Sorriso Occhiolino

Ad maiora!

Il momento che stiamo vivendo è bruttissimo non solo per la cattiva situazione economica che c’è in molti paesi del mondo, compreso il nostro, ma anche per le terribili guerre che si stanno combattendo non lontano da noi. I morti e i feriti nei combattimenti ormai non si contano più e non fanno più nemmeno notizia sui giornali o sui telegiornali. Se potessi, con una bacchetta magica, farli terminare non ci penserei nemmeno un istante.  Vivere in pace sul nostro martoriato pianeta è un’utopia che i signori della guerra disdegnano a priori. Eppure la pace, a parole, la sostengono tutti…

Per distogliere dalla mente questi tristi pensieri, faccio ricorso a un breve capitolo del primo libro che ho scritto parecchi anni fa ricordando una guerra particolare e abbastanza cruenta, ma senza morti e feriti, a cui ho assistito quand’ero bambino.

Buona lettura.

Nicola

La guerra del latte

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L’estate del 1952 si presentava, in modo non difforme da tutte quelle precedenti, calda, stupendamente oziosa, inframmezzata dai soliti lavoretti fatti giusto per non dispiacere ai nonni che lo ospitavano nella masseria a Incoronata in Puglia.
I nonni confidavano molto in Nicola e nella sua capacità di affrontare con grinta la vita. Spettava a lui, in un futuro non lontano, portare la famiglia a un livello sociale più elevato e questo lo obbligava, quasi sempre, a comportarsi in modo da non deludere le loro aspettative.

Per nonno Pietro, Nicola da subito era diventato “il nostro ometto”.

Una simile definizione, se da un lato soddisfaceva la parte più profonda del suo io infantile, dall’altro, gli andava stretta e insopportabile proprio per la responsabilità che essa comportava. Lui avrebbe preferito mille volte di più potersi abbandonare a quelle gratificanti marachelle che sono il vero pane dei bambini della sua età.

Nonostante avesse solo dieci anni, Nicola aveva capito che conveniva dare ai nonni e ai genitori un’immagine di sé il più possibile rassicurante e matura: ciò faceva distogliere il loro sguardo vigile dalla sua persona quel tanto da permettergli un certo margine di manovra. In quei momenti di distrazione familiare, rari in verità, dava il meglio di sé e riusciva a godere di tutte le opportunità che la libertà e la sua fantasia gli offrivano.

Proprio in quei momenti nascevano le “azioni avventurose” più belle.

Con tale espressione, lui e il cugino Pietro, indicavano quei comportamenti che, una volta scoperti, avrebbero avuto ben altri appellativi e sarebbero stati salutati a scapaccioni e non certo a battimani.

Una di queste azioni, rimasta negli annali della famiglia Losito, fu la cosiddetta “guerra del latte”.

Ogni estate, alla masseria si riuniva una folla di parenti provenienti da diverse città d’Italia. I nonni Palmieri avevano generato sette figli e questi, sposandosi, si erano sparpagliati per tutta la penisola. La loro grande casa e le lunghe vacanze scolastiche erano il luogo e l’occasione adatti a riunirne buona parte. Nell’e¬state del ‘52 il lungo tavolo di cucina ospitava almeno venti persone tra adulti e bambini.

Fra questi c’era Pietro, il carissimo cugino di Roma.

Dopo pranzo, il nonno faceva sempre un breve pisolino seduto scomodamente sulla stessa sedia utilizzata poc’anzi per il pasto. La nonna e le donne di casa, figlie e nuore, rassettavano la cucina chiacchierando fra di loro a bassa voce per non disturbarlo. I bambini, se lo desideravano, potevano salire in camera per dormire o leggere.
In campagna non c’erano altre alternative. La temperatura esterna sconsigliava azioni più impegnative. Lui e il cugino Pietro, però, quel giorno non avevano sonno. I giornalini a disposizione erano stati letti e riletti più volte, per cui entrambi vagolavano annoiati per la cucina. Col proposito di fare qualcosa di diverso dall’ascoltare le chiacchiere delle donne, presero il corridoio che, attraverso l’atrio adibito ad attrezzeria, portava alla stalla. Anche qui, con i due cavalli da una parte e le sei mucche dall’altra, si respirava la stessa atmosfera oziosa del dopo pranzo.
Che inventare allora?
Saliti in groppa a Luna e Fiorello, da quell’alta e privilegiata posizione presero a imitare sfrenate cariche della cavalleria contro orde di indiani cattivissimi e dal volto variamente dipinto. A un certo punto, buttando l’occhio dall’altro lato della stalla e vedendo le enormi e gonfie mammelle delle mucche che ruminavano tranquille, a Nicola venne un’idea.

La comunicò al cugino e lui l’approvò immediatamente.

Fu così che i due bambini, afferrate per i capezzoli le mammelle delle due mucche più distanti e spremendole con forza diedero vita, con mirati spruzzi di latte, a una fantastica e combattutissima battaglia. Le mucche, per un po’ li lasciarono fare, poi cominciarono a dare segni evidenti di insofferenza, muggendo e scalciando nel contempo.

Era quello il momento di sospendere le ostilità e porre fine alla guerra.

La battaglia aveva però lasciato visibili macchie sui loro pantaloncini e magliette, macchie che, asciugandosi, si erano trasformate in striature giallastre accompagnate da un acre odore di latte, molto fastidioso all’olfatto. Fu questa la ragione per cui il ritorno in cucina dei due guerrieri non venne accolto con acclamazioni e applausi?
Parrebbe di sì. Il forte olezzo che viaggiava insieme a loro e la situazione disastrosa dei loro indumenti, trasformarono immediatamente l’esito della gloriosa tenzone in una storica disfatta. Mamme e nonni ci misero ben poco a capire cosa i due cugini avevano combinato nella stalla.

Nicola, rincorso da sua madre, si prese subito due solenni sculaccioni e una memorabile tirata d’orecchie. Pietro, prima che la sua potesse afferrarlo per affibbiargli la meritata punizione, fu raggiunto dal bastone che il nonno teneva sempre a portata di mano.

A quel punto successe il finimondo.

Mentre i due bambini piangevano a voce spiegata, la mamma di Pietro, offesa perché a punire il figlio fosse stato il suocero e non lei, iniziò a litigare con la madre di Nicola, colpevolizzandola per non essere mai stata capace in vita sua di bloccare in tempo le malefatte del figlio. Lei, per difendersi, contrattaccò facendo l’elenco delle cose orribili commesse da Pietro sin dal giorno della nascita. I nonni, nel tentativo di frenarle, difendendo ora uno ora l’altro dei nipoti, non fecero che provocare un ulteriore inasprimento della lite che proseguì furiosa per un paio d’ore.

Nessuno, nel frattempo, sembrava più interessarsi di Nicola e Pietro che, archiviato il pianto, si guardarono negli occhi e con gesti del capo e della mano si accordarono per salire in camera da letto e allontanarsi in fretta da un campo di battaglia diventato molto più pericoloso di quello affrontato prima nella stalla.
La guerra del latte si era rovinosamente trasformata nella ”guerra delle zie”, una battaglia così aspra e astiosa da lasciare tra le due donne strascichi e malumori mai interamente sopiti anche dopo anni di successive frequentazioni.

I due cugini, invece, amici per la pelle, nel giro di cinque minuti avevano dimenticato la punizione ricevuta. Dalla camera da letto situata proprio sopra la cucina, se la godettero un mondo nel sentire le loro madri mentre si beccavano in modo così acceso, impegnate, col procedere dello scontro, più nella strenua difesa della bontà e intelligenza del proprio figlio, che nello scusarsi del comportamento incosciente e birichino di entrambi.
Alla masseria una vera pace tornò solo al momento della partenza di Pietro per una nuova destinazione, una settimana dopo. La sua famiglia non si fermava mai per più di un mese in campagna: la loro vacanza, in agosto, proseguiva al lago di Lesina presso i nonni materni. Doversi lasciare così presto, per i due cugini era un grosso dispiacere: in barba alla nota insofferenza fra le rispettive madri, loro due si volevano un bene dell’anima. Il distacco era condito, come sempre, da lucciconi agli occhi. Per Nicola, in assenza del cugino, le “azioni avventurose” ancora possibili in quell’estate che stava volgendo al termine, sarebbero state purtroppo monche di un protagonista attivo ed efficiente.

Mio cugino, in seguito, intraprese la carriera militare in aeronautica, raggiungendo, alla fine, il grado di colonnello. Io, invece, mi laureai in ingegneria elettronica.
Da pensionati, di tanto in tanto, ci incontriamo e, come tutti i vecchi di questo mondo, spesso ricordiamo i bei tempi della nostra adolescenza.
Ci credereste?
Pietro non ha ancora dimenticato il colpo di bastone ricevuto, quella volta, dal nonno e a me provoca ancora sofferenza l’umiliante sculacciata infertami da mia madre di fronte a tutta la parentela.
Se lo incontraste e vi capitasse di parlare con lui della famosa “guerra del latte”, non dategli assolutamente retta.
Quel giorno, la battaglia con le mammelle delle mucche l’ho vinta io.
Giuro.

Bukowski-by-origa

    L’autore dell’immagine è Graziano Origa, Origafoundation – Opera propria, CC BY-SA 3.0

Care amiche e amici,
confesso che da tempo immemorabile avevo deciso di ignorare del tutto i libri di Charles Bukowski, uno scrittore famoso per l’eloquio sboccato e per gli argomenti quasi sempre sopra le righe con cui amava scandalizzare il mondo letterario a lui contemporaneo.

Su Wikipedia, infatti, si legge: "Henry Charles "Hank" Bukowski Jr. (Andernach, 16 agosto 1920 – San Pedro, 9 marzo 1994), nato Heinrich Karl Bukowski (noto anche con lo pseudonimo Henry Chinaski, suo alter ego letterario) è stato un poeta e scrittore statunitense di origine tedesca che ha scritto sei romanzi, centinaia di racconti e migliaia di poesie, per un totale di oltre sessanta libri. In questi tratta della sua vita, caratterizzata da un rapporto morboso con l’alcol, da frequenti esperienze sessuali (descritte in maniera realistica e senza troppi eufemismi) e da rapporti tempestosi con le persone. La corrente letteraria a cui spesso viene associato è quella del realismo sporco."

Qualche mese fa un amico mi ha regalato diversi libri di Bukowsi in formato ebook e, così, mi sono deciso finalmente ad affrontare quest’ostico scrittore tanto disprezzato da molti quanto amato da molti altri.
Il primo libro che ho scelto di affrontare è stato "Scrivo poesie solo per portarmi a letto le ragazze", colpito dal titolo davvero originale e, al contempo, parecchio auto-ironico.

Si tratta di una raccolta di racconti quasi tutti autobiografici in cui Bukoswki non smentisce la sua volontà di essere il più possibile sgradevole per il comune lettore, rivelando una sincerità al limite del masochismo (cioè consapevole di essere uno sporcaccione per nulla pentito) e riuscendo, in questo modo, ad accaparrare la simpatia di tutti coloro che riescono a digerire il turpiloquio altrui pur non professandolo mai personalmente. Tra i tanti racconti di questo libro ce ne sono alcuni godibilissimi, diversi troppo realistici sull’argomento sesso, altri molto profondi sulla scrittura e sugli scrittori di prosa e di poesia e sul rapporto conflittuale tra autori ed editori, questi ultimi, quasi sempre, incapaci di riconoscere il vero talento ma attenti unicamente al guadagno che uno scrittore di successo può procurare. Tra i brani che mi sono piaciuti ne ho scelto uno da proporvi perché esprime concetti condivisibili da chi, come il sottoscritto, non molti anni fa, si è calato (scioccamente) anima e corpo nel difficile mondo degli scrittori che sperano di raggiungere la fama con le loro opere letterarie, uscendone – per fortuna – senza essersi fatto troppo male. La casa degli orrori, per inciso, è l’ambiente dove uno scrittore vive e dove esercita la sua passione.

A presto.

Nicola

La casa degli orrori di Charles Bukowski

     Parlare di scrittura è come parlare d’amore o di fare l’amore o di vivere d’amore: se ne parli troppo puoi farlo svanire. Senza cercarli, ho, per mia disgrazia, incontrato molti scrittori, sia di successo che d’insuccesso – mi riferisco alla loro arte. Come esseri umani sono un branco di cattivi, un branco da disprezzare, lamentosi, egocentrici, perfidi. Una cosa che hanno quasi tutti in comune: ognuno di loro pensa che la sua opera sia grandiosa, forse la migliore. Se hanno successo prendono la cosa come scontata e dovuta. Se falliscono sentono che gli editori, le case editrici e gli dei sono contro di loro. Ed è vero che molti pessimi scrittori sono spinti e manipolati finché non raggiungono la cima, qualunque sia il motivo. È anche vero che molti bravi scrittori sono morti di fame, o sono quasi morti, o si sono suicidati, o sono impazziti, e così via, per essere riscoperti in seguito come talenti eccelsi (seppur morti). Questo dato storico infonde coraggio allo scrittore scadente. Gli piace immaginare che il suo (di lei o di lui) fallimento sia dovuto a una moltitudine di cose che esulano dal semplice fatto di avere scarso talento. Be’, ce ne sono tanti così.

     In più, quando penso agli scrittori che conosco, per lo più poeti, noto che sono sostenuti da altri – mogli, quasi sempre madri che si fanno carico del sostentamento economico di quelli che conosco. E vivono anche abbastanza agiatamente con televisori, frigoriferi pieni e appartamenti o case in riva al mare – quasi tutti a Venice o a Santa Monica, e prendono il sole di giorno, sentendosi sull’orlo della tragedia, questi miei amici (?) e poi di sera, magari una bottiglia di vino e un panino al crescione, seguito da una lettera piagnucolosa sulla loro indigenza, la loro grandezza indirizzata a qualcuno da qualche parte. Qualsiasi cosa pur di scrivere, lavorare, creare, buttare giù parole. Be’, credo che sia sempre meglio che lavorare a una punzonatrice. Le mogli e le madri lavoreranno alla punzonatrice, non preoccupatevi di quello. E i poeti, non avendo vissuto nel mondo là fuori, nel mondo reale, non avranno nulla su cui scrivere, ma scriveranno comunque con un ego grande così e tantissima noia.

     È praticamente impossibile scrivere sulla scrittura. Mi ricordo che una volta dopo avere tenuto un reading di poesia ho chiesto agli studenti: “Ci sono domande?”. Uno di loro mi ha chiesto: “Perché scrive?”. E io gli ho risposto: “Perché lei porta quella maglietta rossa?”.
     Essere scrittore danna l’anima ed è difficile. Se hai talento può lasciarti per sempre in una notte di sonno. Ciò che ti fa andare avanti nel gioco non è facile a dirsi. Troppo successo è distruttivo; la mancanza di successo è distruttiva. Un piccolo rifiuto può fare bene all’anima, ma il rifiuto totale crea bisbetici e pazzi, stupratori, sadici, ubriaconi e poeti mancati che picchiano le mogli. Tanto quanto fa il troppo successo.

     Anch’io sono stato fuorviato dal concetto romantico della scrittura. Da giovane ho visto troppi film sul grande Artista, e lo scrittore era sempre un tizio tragico e dannatamente interessante con un bel pizzetto, occhi lucenti e verità profonde che gli scaturivano continuamente dalla bocca. Che bello sarebbe essere così, pensavo, ah. Ma non è così. Gli scrittori più bravi che conosco parlano pochissimo, voglio dire, quelli che scrivono bene. Infatti, non c’è niente di più noioso di un bravo scrittore. Tra la gente o anche con solo una persona, è sempre occupato (nel subconscio) a registrare qualsiasi dannata cosa. Non gli interessa fare discorsi o essere l’Essenza della Festa. È avido, risparmia benzina per la macchina da scrivere. Parlando puoi allontanare l’ispirazione, con la bocca puoi distruggere il genio donatoti da Dio. L’energia arriverà fino a un certo punto. Anch’io sono avido. Bisogna esserlo. Le uniche energie a cui si può rinunciare, l’unico tempo che si può donare è il tempo per l’Amore. L’amore dà forza; distrugge odi innati e pregiudizi. Rende la scrittura più completa. Ma tutte le altre cose devono essere risparmiate per il lavoro. Uno scrittore dovrebbe effettuare quasi tutte le sue letture da giovane; mentre comincia a formarsi, la lettura diventa distruttiva – toglie la puntina dal disco.

     Uno scrittore deve continuare a scrivere, a colpire nel segno, o si ritroverà nei bassifondi. E non c’è modo di risalire. Perché dopo qualche anno dedicato alla scrittura, l’anima, la persona, la creatura non riesce più a operare in nessun altro campo. È inutilizzabile. È uccello in una terra di gatti. Non consiglio mai a nessuno di diventare scrittore, a meno che lo scrivere sia l’unica cosa che gli impedisca di impazzire. A quel punto, forse, ne vale la pena.

Fine

Contributi: Il racconto di Charles Bukowski è stato estratto dal libro Scrivo poesie solo per portarmi a letto le ragazze edito da Feltrinelli nella collana Universale Economica e a cui vanno le mie più sentite scuse per il furto perpetrato al solo scopo di informare i miei amici lettori. Un ringraziamento va anche a Wikipedia da cui ho estratto informazioni su Bukowski.

Prima di iniziare il post odierno, rielaboro per voi una mail inviatami da una cara amica a cui avevo scritto di avere letto Fama tardiva di Arthur Schnitzler e di esserne stato colpito profondamente.

Fama Tardiva

“Ciò che mi hai accennato sul libro di Schnitzler, mi ha entusiasmato: me lo voglio procurare in tedesco! Deve essere stupendo. Da quel che ricordo, questo autore viennese era molto psico-orientato per cui… senz’altro deve essere riuscito ad andare veramente a fondo sull’eterna questione fama o non fama che assilla ogni scrittore che si rispetti. Quante volte abbiamo discusso questo problema io e te? Ricordo che hai sempre fatto orecchio da mercante quando ho cercato di farti capire quanto fosse sbagliata la tua ossessione per il successo letterario. Se leggendo Fama tardiva hai finalmente preso di petto questo annoso problema, tanto di cappello al libro di Schnitzler! Vuoi conoscere qualche mio pensiero al riguardo?

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Secondo me tu non hai mai smesso di domandarti: “Ma IO il talento ce l’ho o non ce l’ho?” e così il tuo scrivere che era sciolto quando non pensavi di diventare uno scrittore famoso (mi riferisco a Ossi di pollo, la tua prima opera) si è incriccato quando hai tentato di salire la scalinata verso gli allori. Sbaglio a dire questo? Comunque sia, non hai ancora digerito il mancato riconoscimento delle tue capacità, e questo non ti ha dato e non ti dà la serenità che occorre per affrontare altre prove letterarie. A me è capitata la stessa cosa, temo.

Anch’io ho sognato di diventare famosa e ci sono cascata in pieno nella trappola dell’EGO e, se può farti piacere saperlo, ci cascano un po’ tutti: mio padre arriva perfino a citarsi!!!!
Non c’è ragione di deprimersi: anche in altri ambiti della vita si sente la frase “Povero diavolo…” rivolta a qualcuno che si sopravvaluta. Pensi che, scrittura a parte, io non mi renda conto di quali sono i veri sentimenti degli altri nei miei confronti? Capisco molto bene persino come mi valutano. Sai quante volte ho sentito qualcosa che suonava come “Povera diavola…” mentre ero sul palco a raccogliere degli onori che non avevo cercato ma che mi erano stati insistentemente offerti, come se mi spettassero di diritto, riuscendo a convincermi di meritarli? Beh, guarda, grazie a Schnitzler, ora entrambi conosciamo la verità vera: Nessuno – intendo proprio nessuno – merita né gli onori né la compassione. È questo il trucco da applicare a se stessi e agli altri, alternativamente.

Dovrai fartene una ragione, come ho fatto io: sappi che non è difficile. La serenità è proprio dietro l’angolo. Dopo avere toccato il fondo ed essermi scontrata con l’iceberg della realtà, io ho imparato ad accettare gli altri, le loro opinioni anche se non hanno nulla a che spartire con le mie. Mille volte avrei voluto che il mondo avesse letto e apprezzato i miei scritti perché così mi sarei sentita amata e riverita anch’io, tra l’altro senza aver nemmeno il retro pensiero vagamente altruista: “Chissà se agli altri piace quello che racconto?” ma avendo in testa soltanto quello totalmente auto-centrato: “Spero di non aver commesso errori nella consecutio temporum, perché IO non posso sbagliare”. Per quel che mi riguarda, tutto questo disagio io l’ho superato. Ora è il tuo turno.

Mi dispiace tantissimo che tu stia male: per sollevarti il morale ci vorrebbe una battuta ma io non ho il tuo sense of humour e poi oggi sono troppo stanca. Un solo consiglio: perché non fai una recensione del libro di Schnitzler, una di quelle tue divertenti, ironiche e profonde?”. Poi, eventualmente, ne riparliamo…

Snoopy scrittore

Provo a seguire il consiglio della mia amica: oggi sono dell’umore giusto per abbozzare un post dal sapore ironico…

Quest’anno, a Natale, ho ricevuto pochissimi regali, però erano tutti importanti: tra questi, quello che ho apprezzato di più è stato un libro intitolato Fama tardiva di Arthur Schnitzler (sottotitolo: Storia di un vecchio poeta) edito da Guanda. 
Sapendo che in passato ho scritto un certo numero di romanzi, evidentemente chi me l’ha donato intendeva spingermi a scriverne altri, augurandomi, al contempo, una futura quanto meritata gloria letteraria, ancorché tardiva. In realtà quel breve testo di Arthur Schnitzler, medico, scrittore, drammaturgo, nato a Vienna nel 1862 e ivi morto nel 1931 è tutt’altro che di auspicio a far riprendere in mano la penna a chi, da tempo, l’ha riposta in un cassetto, non avendo mai ricevuto un qualche riconoscimento pubblico del proprio talento. Ciò affermato, e questo è il grande valore del regalo ricevuto, Fama tardiva mi ha costretto a riflettere seriamente sulle mie passioni e sulle mie speranze attuali o pregresse. Vediamo come e perché…

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Fama tardiva parla di Saxberger, un vecchio signore che in gioventù (circa trent’anni prima) aveva pubblicato un libro di poesie intitolato Passeggiate, passato del tutto inosservato dalla critica e dai lettori. Costui, visti gli scarsi risultati della sua fatica e mostrando un notevole acume, aveva prontamente abbandonato la scrittura poetica e aveva cercato e trovato lavoro come impiegato di concetto in una ditta poco distante da casa e lì stava conducendo un’onesta, serena, quanto anonima carriera.

Snoopy scrittore di pancia
Un certo giorno (la vicenda si svolge a Vienna verso la fine del 1800) un giovane aspirante poeta di nome Wolfgang Meier trova su una bancarella il libro di poesie Passeggiate, lo acquista e, dopo avergli dato una veloce scorsa, rimane folgorato dalla bravura di Saxberger. L’intraprendente giovane, allora, si mette alla ricerca dell’autore del libro e, una volta incontratolo, comincia a elogiare le sue poesie chiamandolo con enfasi maestro, insomma lo ossequia così tanto che Saxberger, dopo un’iniziale perplessità, (da tempo il vecchio poeta aveva metabolizzato che se non aveva avuto successo in gioventù significava che la sua opera valeva ben poco) comincia a pensare di essere stato trattato ingiustamente dalla critica e dai lettori e accetta di entrare a far parte di un circolo di giovani artisti (poeti, commediografi, critici) che tentano di svecchiare l’ambiente letterario viennese, da sempre restio a dare credito alle nuove generazioni di letterati.

Il circolo, che si riunisce giornalmente in un bar molto frequentato, accoglie con grande entusiasmo e riverenza Saxberger, convinto che chi, da giovane, era stato in grado di creare Passeggiate avrebbe potuto sicuramente dare lustro a una congrega di artisti alle prime armi. In un primo momento Saxberger pensa che tutti lo stiano prendendo in giro, ma i continui apprezzamenti sulla sua unica e misconosciuta raccolta di poesie sono tanti e tali che lui stesso si convince di essere davvero un maestro dell’arte poetica a cui era stata ingiustamente negata la fama che si meritava. La presenza del vecchio poeta induce i frequentatori del circolo a preparare un evento letterario in cui declamare pubblicamente alcune loro composizioni poetiche o narrative, sicuri che la notizia, fatta circolare sulla stampa locale, che allo spettacolo sarà presente colui che aveva scritto un’opera fondamentale come Passeggiate, avrebbe avvantaggiato anche loro. Il gruppo chiede con insistenza a Saxberger di scrivere nuove poesie da leggere in occasione dell’evento programmato per la fine del mese successivo, dove sarebbe intervenuta una nota attrice di teatro a leggere, da par suo, sia i componimenti dei giovani autori sia le nuove poesie del maestro. Saxberger ci si mette d’impegno, prova e riprova, ma non riesce a produrre niente di nuovo: ormai è troppo arrugginito e l’ispirazione non gli arriva nemmeno andando a passeggiare nei luoghi dove erano scaturite le sue belle poesie giovanili. Il circolo non si perde d’animo e, per andare sul sicuro, decide di far declamare all’attrice alcune delle poesie tratte da Passeggiate.

A questo punto, Saxberger si è talmente ringalluzzito da comportarsi come se fosse effettivamente un grande poeta e quindi ascolta con una certa sufficienza, ma senza criticarli con la franchezza che meriterebbero, i modesti componimenti dei giovani autori appartenenti al circolo.
Arriva, finalmente, il giorno dell’evento letterario con spettatori paganti e con la presenza anche di alcuni giornalisti. Dietro le quinte i vari autori che si presenteranno sul palco sono, ovviamente, nervosi, ma il più nervoso di tutti è il vecchio poeta, anche se, dentro di sé, è convinto che sarà lui a ricevere gli applausi più scroscianti. La manifestazione, a sentire il calore degli applausi, sembra procedere bene. Quando l’attrice termina di leggere le poesie di Saxberger, gli applausi che lui riceve, presentandosi sul palco, sono pari a quelli di tutti gli altri autori che l’hanno preceduto, però, allo scemare del battimani, una voce sommessa, proveniente da chissà dove, pronuncia, rivolta chiaramente a lui, le parole: “Povero diavolo…”.
È un vero colpo al cuore per Saxberger che si aspettava, finalmente, il dovuto riconoscimento del suo grande talento poetico! La dura realtà dei fatti raccontava, invece, che tutti i partecipanti avevano ricevuto lo stesso plauso da parte del pubblico, ma solo a lui era stato rivolto quell’odioso commento…

Il giorno dopo sui quotidiani locali più in voga si parla poco di quell’evento letterario. Solo qualche striminzito trafiletto nelle pagine di cronaca più interne. In un’importante quotidiano letterario, invece, c’è una recensione negativa in cui venivano ironizzate tutte le performances dei giovani poeti e, in più, c’era una sottolineatura del fatto che uno di questi “giovani” fosse parecchio attempato… In un altro giornale a bassa tiratura, infine, c’è una recensione blandamente positiva, rivelatasi in seguito pilotata da Meier (proprio colui che aveva acquistato Passeggiate su una bancarella) in cui il recensore tesseva lodi equanimemente rivolte a tutti, aggiungendo, però, di attendersi a breve un miglioramento effettivo delle loro prossime prove d’autore.
Una brutta batosta per l’intero gruppo, ma soprattutto una nuova sberla in faccia a Saxberger.

Costui, allora, abbandona in silenzio il circolo che tanto lo aveva osannato e se ne torna mesto mesto a casa. Lo segue soltanto il più giovane del gruppo, quello che tutti prendevano bonariamente in giro a causa delle sue composizioni ancora troppo immature. Il ragazzo chiede al vecchio poeta il favore di leggere le sue poesie per avere da lui un parere da esperto. In cambio di questo favore lui promette di leggere il suo tanto osannato Passeggiate
Così, come ultimo e definitivo smacco, Saxberger, già depresso per quanto era successo durante l’evento letterario, viene a sapere che il ragazzino e tutti gli altri componenti del circolo di giovani artisti, pur lodandolo a gran voce, non avevano mai letto nessuna delle sue poesie contenute in Passeggiate.

snoopy scrittore pieno di sé 

Scusatemi, care amiche/amici, se mi sono dilungato tanto a raccontarvi la trama di Fama tardiva, togliendovi così il gusto di acquistare e leggere quest’ottimo e sottilmente ironico libro, ma l’ho fatto di proposito perché questo testo di Arthur Schnitzler mi ha davvero illuminato. Infatti, con qualche piccolo ritocco e pensando al mio vissuto di questi ultimi anni, la vicenda del vecchio poeta mi ha fatto venire in mente il gruppo di amici che, insieme a me, aveva partecipato a un paio di corsi di scrittura creativa e che sperava tanto nel successo letterario. Mi ha ricordato la fragile amicizia che si era instaurata tra di noi e la sottile invidia che permeava dentro di me (e penso anche negli altri) quando uno del gruppo otteneva un qualsivoglia modesto riconoscimento. Arthur Schnitzler con la sua scrittura ironica e modernissima mi ha edotto sull’inutilità di insistere nella scrittura credendo di avere qualcosa di eccelso da dire, correndo il rischio di sentirsi dire da qualcuno di avere scritto unicamente delle banalità. In verità, a differenza di Saxberger, finora nessuno, facendo in modo che io lo sentissi, mi ha dato del povero diavolo, però chissà quanti, dietro le mie spalle, avranno alzato il sopracciglio sfogliando i miei libri e decidendo così di non acquistarli e leggerli!

Fama tardiva mi ha fatto intendere di avere speso gran parte del mio tempo libero a produrre opere ammirate smodatamente solo da parenti e amici compiacenti, ma quasi del tutto ignorate dal grande pubblico e che, proprio per questo, è arrivata l’ora di cestinare i tanti sogni di gloria che mi rovinavano la vita.
Mi ha fatto sorridere, soprattutto, il pensiero che il libro di Schnitzler sia stato volontariamente scelto da qualcuno per farmi, fidandosi del titolo, un gradito regalo, quando invece, di primo acchito, leggerlo è stato come ricevere un bel pugno nello stomaco. A bocca aperta

Fortunatamente il malumore è durato solo qualche giorno e non sono caduto nel triste vortice della depressione, anzi, quel libro mi ha donato una salutare consapevolezza delle mie effettive capacità e questa, unita al mio noto sense of humour, mi ha aiutato a sgombrare in tutta fretta dalla testa anche l’idea alquanto pellegrina di considerarmi un romanziere ingiustamente valutato da critici e lettori.

Ovvio che non rinnego i libri che ho scritto in passato, tutt’altro, ma, da oggi in poi, al pari di Saxberger, li guarderò con l’occhio benevolo e maturo di chi sa che tutto ciò che si realizza con passione e sforzo mentale ha un valore intrinseco che può tranquillamente prescindere da critiche negative o riconoscimenti a cinque stelle provenienti da chicchessia.

Nicola

L'arte della poesia

Crediti: un sentito grazie a Charles M. Schulz per le esilaranti strisce di Snoopy e un ringraziamento va anche all’autore della splendida immagine qui sopra che descrive l’arte della poesia e dello scrivere in generale.

Per la gioia di amici e detrattori, riprende, nel 2016 da poco iniziato, il racconto della mia vita in famiglia e fuori casa. Spero che tutti abbiate passato delle buone feste e abbiate ricevuto dei fantastici regali. Durante il mese di dicembre io mi sono comportata benissimo in casa e a scuola: zero capricci, ho studiato, fatto i compiti, ho mangiato sempre le verdure (bleah!) senza fare una piega, ma, a quanto pare, non è servito granché.

A sentire mamma, io sono già grande e devo accettare che Babbo Natale e la Befana non esistano, però a me non importa se queste due speciali persone sono un’invenzione consumistica oppure no, basta che qualcuno nelle festività a loro dedicate mi faccia dei regali bellissimi, di buon gusto e… costosi. Quest’anno non è andata molto bene: i miei genitori e gli amici sono stati decisamente tirchi e ho ricevuto poco o niente. Mamma, con scarsissima fantasia, mi ha regalato un maglione; papà (dimostrando che anche i papà bellissimi, a volte, non sanno che pesci pigliare) due libri (Piccole donne e Piccole donne crescono); Marco, un borsellino rosa per le monete; le compagne di scuola, forse perché non siamo ancora entrate in amicizia, nulla.

Volete sapere se io ho fatto dei regali? Ovviamente, dato che la mia paghetta settimanale è modesta, ho dovuto tenere un profilo piuttosto basso. A mamma, ho donato due pattine da cucina, comprate al mercatino rionale; a papà, un mio disegno colorato e firmato; a Marco, un tris di baci perugina, nella speranza che capisca il messaggio sottinteso… e si svegli un po’ di più.

A voi, cari amiche/amici di Rete, regalo cinque mie nuove (dis)avventure con la speranza che vi piacciano e vi facciano sorridere almeno un pochino.

Baci e abbracci a tutti.

Betta

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Arrivederci alla prossima puntata!

Betta

Metafora

Chiariamo subito la faccenda: io non amo le metafore in prosa. Per tante ragioni che provo a elencare:

1- Perché non sono capace di inventarle.

2- Perché rallentano il ritmo della narrazione.

3- Perché chi sa costruirle ne approfitta per seminarle ovunque nei propri libri.

Volete un esempio di scrittrice che le ama spudoratamente? Margaret Mazzantini. Di questa autrice, regista, attrice, ho letto un solo libro ed è stato sufficiente per convincermi a lasciare perdere tutti gli altri che ha scritto in seguito. In Non ti muovere, un romanzo di 295 pagine, lei ha piazzato almeno tre metafore in ogni pagina. Fate voi il conto di quante ne ha costruite. Se le cancelliamo tutte, il numero di pagine del libro si riduce a una interessante quanto breve sceneggiatura di un film di successo, presto dimenticato.

4- Perché spesso e volentieri le metafore sono così strane e complesse che (io) non le capisco. E questo mi irrita grandemente. Siccome mi reputo una persona abbastanza intelligente, (in vita mia ho studiato e letto molto) eppure gran parte delle metafore che incontro nel mondo letterario di oggi non riesco a decodificarle. Bene, siccome non mi piace parlare a vanvera, farò degli esempi tratti da un libro che ho appena finito di leggere e che ha vinto il premio Strega proprio quest’anno. Si tratta del romanzo di Nicola Lagioia, La ferocia:

La ferocia

Primo esempio a pagina 49:

“Gli accenti spostati sui tasti del pianoforte, i cluster e i silenzi improvvisi rimescolavano i concetti di prima e dopo perché il mondo risuonasse un tutt’uno già redento in ogni scheggia.”

Secondo esempio sempre a pagina 49:

“L’dea del sublime (ma come avere la prova che non fossero le farneticazioni di un imbecille?) andava di pari passo con l’ossessione computazionale.”

Terzo esempio a pagina 61:

“Per trovare il tono giusto provò ad attingere dai colleghi delle passate generazioni, quelli che aprivano talmente male le vocali da scuotere l’Unità del paese con lo strumento che avrebbe dovuto stringerle il collare.”

Quarto esempio, sempre a pagina 61:

“In lontananza si levava il mormorio della città poco prima del risveglio, un rumore di automobili senza automobili, la piccola tempesta elettrica dei tanti che, sul punto di riaprire gli occhi, rivivevano in poche frazioni di secondo il film della giornata che stava per iniziare.”

Quinto esempio a pagina 64:

“La voce del monsignore riemerse dal silenzio come si fosse spinta in un crepaccio e ora mostrasse i segni di una profondità che superava l’opinione personale”

Così, per curiosità, qualcuno riesce a immaginarsi com’è nella realtà la voce del monsignore? Sorpresa

Sesto esempio a pagina 67:

“Ogni tanto, tra le rughe che circondavano gli occhi dei presenti, pulsa un fastidio privo di abrasioni.”

Settimo esempio a pagina 68:

“Il corpo di sua figlia irradiava l’inspiegabile verità delle stanze nelle case in cui non abitiamo più da tempo.”

Ottavo esempio a pagina 70:

“Così questa ragazza, pensò spezzando l’ostia sopra la patena, indovinando solo in parte e non immaginando, per la metà su cui sbagliava, a quale distanza fosse dalla verità.”

Nono esempio a pagina 75:

“La notizia aveva iniziato a diffondersi affidata alla sovranità degli algoritmi.”

Decimo esempio a pagina 84:

“Aveva l’aria di uno che fatica a riprendersi da un brutto colpo – la parte materiale un po’ sfocata, lo spirito sbalzato avanti per l’impatto, sembrava prigioniero di un futuro da cui cercava di tornare.”

Infine, a pagina 89, un lungo paragrafo dove lo scrittore parla della campagna:

“Impaurita dalla moto, la lucertola si tuffò nei fili d’erba. Scomparve tra i rami lacerando nella fuga la tela del ragno salticida, il quale, ricomposta l’immagine del rettile attraverso i suoi otto occhi, era riuscito a evitare l’impatto. Il ragno zampettò. Il terreno secco e arido registrò l’informazione sovrapponendola all’alfabeto delle formiche che si incrociavano spezzando e biforcando e poi ricomponendo una linea che non era mai la stessa. La legge a cui obbedivano si modificava in loro confermandosi nella legge di ogni simile, riceveva nuovi impulsi dalle profondità del formicaio, poi da più lontano, dalla tremenda forza che cambia volto alle stagioni. La saliva passò di labbra in labbra e il cuore accelerò nel buio della sala cinematografica. La curvatura dell’addome si tese su se stessa e si spaccò. Sotto la spinta della muta, un’epidermide nuova di zecca venne fuori dalla morta carcassa di colore brunastro. Dopo aver lasciato che la cuticola si indurisse all’aria aperta, la cicala spiccò il suo primo volo. Atterrò su una foglia di rosmarino. Le lamine sotto l’addome cominciarono a vibrare, e un suono secco, simile a uno schiocco di dita, segnalò la sua presenza al mondo.”

A questo punto del libro, Nicola Lagioia deve essersi reso conto che non poteva continuare con questa sfilza di metafore (per me) decisamente difficili da comprendere e cambia registro, abbandona le metafore e si lancia in una ricostruzione dei fatti dove i flash back si alternano al presente in un modo così convulso e repentino che a volte si fa fatica a intuire in che tempo e in che luogo ci troviamo.

Il romanzo, per fortuna, prende quota nelle ultime sezioni in cui è diviso il libro: qui lo scrittore decide che è arrivato il momento di spiegare ai lettori qual è la vicenda e come essa andrà a finire. Ammetto che sono stato varie volte sul punto di abbandonare il romanzo al suo destino, ma, come sempre, sono arrivato in fondo. Concludendo, di sicuro Nicola Lagioia è un bravissimo scrittore che sa il fatto suo, avendo al suo attivo una grande padronanza della lingua italiana. Anche i suoi personaggi e l’ambientazione sono notevoli: pur con tutto ciò, rimane sempre fissa nella mia testa l’idea che questa sua indiscutibile capacità scrittoria sia spesa più a favore dei critici illuminati che lo leggeranno e lo voteranno in un qualche concorso letterario che per accontentare la pancia, il cuore e la comprensione di un semplice lettore qual io mi reputo.

Nicola

P.S. Mi perdonino i poeti che, invece, amano le metafore e, soprattutto, … le capiscono.

Care amiche e amici,

torno qui oggi per ringraziare di cuore i tanti che si sono appassionati alle mie avventure (disavventure) di figlia unica che presto (più o meno nei primi mesi del nuovo anno) perderà questa favorevole condizione di unicità in famiglia. Il mio grazie va anche a tutti coloro che hanno acquistato su Amazon il libro a fumetti che raccoglie, con la corretta sequenza, i miei pensieri più reconditi, la cui importanza e meriti presto saranno riconosciuti oltre i confini assai modesti della mia città.

Io sono convinta che il modo migliore per farmi conoscere e apprezzare sia quello di continuare, per mezzo delle mie strisce, a svolgere, sul blog che mi ospita, quell’opera benemerita di didattica sociale in grado di far capire a tutte le mamme del mondo che le figlie uniche sono la condizione necessaria e sufficiente per realizzare un ottimale funzionamento di una famiglia… con buona pace di tutti gli psicologi che non la pensano come me.

Buona lettura.

Betta.

Striscia 20 - 2015

Striscia 21 - 2015

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Striscia 23 - 2015

Striscia 24 - 2015

Arrivederci alla prossima puntata.

Betta

Murakami UominiSenzaDonne

Come anticipato in un recente post, eccomi a parlarvi dell’ultima opera del grandissimo scrittore giapponese Murakami Haruki. Confesso che ho acquistato questo libro, subdolamente incellofanato dall’editore Einaudi, a scatola chiusa, cioè senza prima sfogliarlo o leggere la quarta di copertina. Una volta arrivato a casa l’ho aperto e mi sono accorto che non si trattava di un romanzo (genere che preferisco in assoluto) ma di una raccolta di sette lunghi racconti.

Un pochino deluso ho iniziato a leggere di malavoglia il libro: ultimamente, infatti, i racconti mi annoiano anche se io stesso all’inizio della mia breve (seppur onorata) carriera di anziano e artigianale prosatore ne ho scritti diversi e con intima soddisfazione.

Questa sensazione, però, è durata il tempo di leggere due pagine del primo dei racconti: Drive my car. Subito sono stato catturato dall’atmosfera che Murakami in poche righe riesce a creare con la sua prosa tanto essenziale quanto profonda.

Sta di fatto che sono riuscito a chiudere il libro solo dopo averlo – letteralmente – mangiato, masticato e bevuto tutto senza tirare il fiato.  Ogni racconto è diverso dall’altro per quanto riguarda personaggi e ambientazione ma con lo stesso chiaro intento di dimostrare come possono reagire gli uomini senza donne, donne spesso traditrici, ogni volta donatrici di affetto vero e consolatorio con il loro corpo, offerto gratuitamente ma quasi mai in forma duratura.

Ovvio che Murakami parla non in generale ma solo del mondo che conosce, un Giappone moderno dove la tristezza, la solitudine e la tendenza al suicidio sono parte integrante della cultura di una popolazione seriosa, incapace di godere appieno dei piaceri della vita (un lavoro soddisfacente, dell’ottimo cibo, il sesso senza problemi moralistici) e che non sa immagazzinare tutta la positività di un rapporto uomo-donna per affrontare in pace la vecchiaia.

Cosa fanno di bello/brutto gli uomini senza le donne? Come passano le loro giornate? Sono tristi, sono allegri? Insomma è possibile per un uomo impostare la propria vita prescindendo dalle donne? Con questa raccolta di racconti, Murakami cerca di dare una risposta a questi importanti quesiti, ragionando con la sua mentalità di uomo giapponese dei nostri tempi. Ovvio che non vi rivelerò le sue risposte: a voi il piacere o il dispiacere di apprendere, siate voi uomini o donne che leggerete il libro, il comportamento di sette diversi esemplari maschili di fronte a una particolare situazione di disagio.

I titoli dei racconti sono:

  1. Drive my car
  2. Yesterday
  3. Organo indipendente
  4. Sharazad
  5. Kino
  6. Samsa innamorato
  7. Uomini senza donne

Per terminare, vi trascrivo un breve paragrafo tratto dal racconto Organo indipendente:

“C’è una cosa che ricordo bene, riguardo al dottor Tokai. Ora non rammento perché fossimo venuti a parlare di quest’argomento, ma una volta lui mi espose la sua opinione sulle donne in genere.

Era sua convinzione personale che ogni donna nascesse dotata di un organo speciale, un organo per così dire indipendente, che le permetteva di dire bugie. Quali bugie, in quali circostanze e in quale modo, dipendeva da una donna all’altra, con piccole variazioni. Ma tutte a un certo punto mentivano, senza esitazioni. Sia su dettagli di poco conto, sia su cose gravi. In quei momenti la loro espressione, il loro tono di voce, non si alteravano. Perché non erano loro, le donne in questione, ad agire, ma l’organo indipendente. Ragion per cui non succedeva mai che la consapevolezza di mentire turbasse la loro coscienza o impedisse loro di dormire serenamente – a parte alcuni casi eccezionali.”

Care amiche e cari amici, siete d’accordo con l’opinione del dottor Tokai? Sorriso

Arrivederci alla prossima settimana.

Nicola

 

NicPerùR

Puntuale come un orologio svizzero, alla fine di un lungo riposo estivo, eccomi di nuovo qui nel mio amato blog per riprendere, con tutte le amiche e gli amici che mi hanno seguito in passato, il colloquio interrotto alcuni mesi fa. Il terribile caldo che ha imperversato sul nostro paese finalmente è finito e il mio cervello (quei due neuroni che mi sono rimasti) ha ripreso a funzionare quel tanto da permettermi di raccontarvi ciò che ho fatto durante la mia assenza dalla Rete.

Essenzialmente ho cercato di rimettermi in salute ma non sono stato sempre fermo nella mia casa di campagna. Ho fatto una breve puntata in montagna a Pinzolo e un’altrettanta toccata e fuga al mare di Rapallo sempre in compagnia di cari amici: qualche scarpinata su sentieri ombreggiati o tutti al sole, alcuni bagni in acqua salata e un po’ di piscina in campagna, giusto per sopravvivere alla calura di questa torrida estate.

In questi mesi ho letto 3 soli libri: La conquista del Perù di W.H. Prescott, Storia della bambina perduta di Elena Ferrante e Uomini senza donne di Murakami Haruki.

Il primo l’ho affrontato per documentarmi sulla storia degli Inca (scoperti e brutalmente sottomessi dagli spagnoli nella prima metà del quindicesimo secolo) per potere incontrare con un minimo di informazioni in testa i loro attuali e simpaticissimi discendenti  nel mio recentissimo viaggio in Perù. Il libro in questione è una rarità: pubblicato nel 1847 nella New England (Stati Uniti), tradotto in italiano e stampato nel 1959 dalla Editrice Le Maschere, l’ho trovato nella fornitissima biblioteca dei miei defunti suoceri. Oggi quest’impegnativo e interessante tomo, ristampato qualche anno fa da Newton Compton, non è più reperibile nella nostra lingua. Esiste, però, ancora in inglese e si può ordinare su Hoepli.it, la grande libreria on line.

Il secondo l’ho letto per curiosità: il fatto che l’autrice (o l’autore) fosse un nom de plume e, tra l’altro, fosse nella rosa dei probabili vincitori del premio Strega, mi ha spinto ad acquistare l’ultimo volume della quadrilogia. Nel seguito del post ve ne parlerò diffusamente.

Il terzo, essendo io un appassionato cultore di Murakami Haruki, non potevo assolutamente perderlo: leggere quei sei pregnanti racconti mi ha ulteriormente confermato che questo scrittore giapponese è uno dei più grandi autori di questo secolo. Vi consiglio, perciò, di acquistare Uomini senza donne! 

Dunque, quest’estate ho letto poco. In verità, non sono stato il solito fancazzista: gran parte del tempo libero l’ho dedicato all’ideazione e alla preparazione del mio secondo libro a fumetti (il primo, come ben sapete, è quello con protagonista Il Signor Giacomo che ha dato il titolo al presente blog). In questa nuova pubblicazione (ora in vendita su Amazon) racconto graficamente 100 avventure di Betta e del suo papà bellissimo. Coloro che mi seguono con assiduità conoscono già questa terribile/spiritosa ragazzina: infatti le prime 14 strisce sono visibili nei due post pubblicati prima della parentesi estiva. Comunque, la prossima settimana vi racconterò vita morte e miracoli di questo nuovo personaggio.

Adesso, invece, ecco alcune osservazioni sull’ultimo libro di Elena Ferrante:

FerranteStoriaBambinaPerduta

 

Dico subito che ho letto velocemente questo romanzo e mi è persino dispiaciuto che sia terminato lasciando insoluti due misteri. Aggiungo che è scritto benissimo e con un ritmo tale da far perdonare alcune ripetizioni necessarie per chi, come me, non aveva letto le prime tre parti della storia dell’amicizia tra due donne durata, fra liti e riappacificazioni, un’intera vita. I personaggi sono ben delineati e caratterizzati con maestria.

Premesso ciò, a questo punto dovrei esprimere un giudizio positivo sul libro che narra la maturità e la vecchiaia delle due protagoniste: Elena, la scrittrice e Lila, la sua amica geniale. Purtroppo non è così.

Se vado a considerare azioni e pensieri delle due donne e di tutti gli altri personaggi della saga che si svolge in una Napoli degradata e povera dove, per sopravvivere, molti sono costretti a compiere fatti e misfatti di ogni genere, sono costretto a dire che il libro mi ha deluso e amareggiato. Nessuno dei personaggi, comprese le due protagoniste principali, si salva da un giudizio morale estremamente negativo.

Le donne passano con scarso o nullo pentimento da un letto a un altro e lo stesso dicasi degli uomini: essere sposati o meno non fa alcuna differenza. Il sesso in un ambiente di sinistra (estrema, in taluni casi, fortemente critica verso lo stato e le istituzioni) dove interagiscono gli attori della storia è decisamente libero e viene considerato alla stregua di merce di scambio per ottenere vantaggi economici e posizioni privilegiate nella società. Il concetto di famiglia tradizionale, a cui io sono ancora legato, è completamente stravolto: i figli generati in questo bailamme di relazioni più o meno clandestine vengono spesso e volentieri lasciati in mano a nonni, suoceri, ex suoceri, ex mariti, amici che, bontà loro o obtorto collo, se ne prendono cura, salvo poi essere costretti a leggere disquisizioni filosofiche sui migliori metodi per educare la prole. Tutto questo comportamento “libero” è giustificato dal fatto di potersi “realizzare” nelle rispettive professioni. Bell’esempio di società da presentare ai lettori!

Elena e Lila sono due personaggi molto complessi ma decisamente riusciti, ma, a causa della loro scarsa moralità, non sono riuscito ad amarli, pur non essendo io un bacchettone. Nel quartiere degradato di Napoli, sfondo principe del romanzo, si finisce per giustificare tutto e il contrario di tutto, fino a proteggere la fuga e la latitanza di un terrorista rosso pluriomicida, e a guardare quasi con benevolenza la sua fermezza quando, catturato dalle forze dell’ordine, non esprimerà mai una parola di pentimento per tutto ciò che ha compiuto combattendo con le armi lo Stato, mentre la sua compagna di vita (che in prigione collaborerà con la magistratura) verrà considerata una bieca traditrice della causa anarco-marxista professata da entrambi in passato.

Non mi esercito a raccontarvi la trama di questo quarto volume non solo perché i personaggi e gli intrecci famigliari sono un vero zibaldone (all’inizio del quarto volume per fortuna c’è l’elenco delle famiglie, dei mariti, degli amanti, degli ex mariti e di altri personaggi coinvolti nei tre precedenti capitoli della saga, alcuni dei quali già morti, finiscono per essere solo un coro alle avventure/disavventure delle due amiche.

Ciò detto, capisco che parecchi altri lettori, non avendo le mie idiosincrasie politiche-moralistiche, possano amare questa complessa saga e possano considerare Elena Ferrante una grande scrittrice, essendo lei riuscita, con indiscutibile bravura, a creare una trama corposa piena di colpi di scena e mai noiosa.

L’ultima considerazione, tutta personale, che mi sento in dovere di fare è la convinzione che a scrivere questo ponderoso, approfondito affresco della Napoli dal dopoguerra fino ai nostri giorni, non è stata una sola donna ma un gruppo affiatato di scrittori (uomini e donne), nati e vissuti a Napoli, i quali hanno riunito le loro indubbie competenze e conoscenze della città per creare una saga tutta di sinistra e che hanno usato il nom de plume “Elena Ferrante” per raccontarla in italiano a un pubblico in grado di apprezzarla senza condizionamenti di alcun genere.

Sbaglierò, ma io la penso così.

Nicola

Carissime amiche e carissimi amici, voi che mi seguite con regolarità sapete che quest’inizio di primavera è stato un po’ problematico per la mia salute: la fioritura delle piante e un vento incredibilmente aggressivo, viribus unitis, hanno vinto le mie difese e mi hanno costretto, per curarmi, a ingerire antibiotici e cortisone in quantità industriale. Le medicine salvano la vita ma, come è noto, hanno deleteri effetti secondari. Per fortuna i mali di stagione sono stati sconfitti, ma tutte quelle pillole e la tosse mi hanno debilitato: a detta del mio medico di base il mio fisico necessita di un lungo periodo di riposo in un luogo tranquillo, mentre, per tornare in perfetta forma, mi ha consigliato di annullare gran parte degli impegni che hanno una scadenza prestabilita.

Ho accettato il suo consiglio e perciò mi vedo costretto a lasciare il mio amato blog in animazione sospesa proprio perché ultimamente l’ideazione e la scrittura del post settimanale si era rivelata molto faticosa e ci mettevo troppo tempo a sfornare qualcosa di decente da pubblicare. Di sicuro tornerò – lo prometto – allegro e pimpante a settembre e, se tutto va come deve andare, vi racconterò il viaggio in Perù che il mio solito gruppetto di amici sta alacremente preparando per la fine del mese di agosto.

Per rimettermi in salute mi ritirerò nella mia casa di campagna, sperando che il prato non riapra le ostilità. L’anno scorso avevo vinto io la guerra dei sassi, però, come la storia ci insegna, nessuna situazione è immutabile nel tempo. Potranno esserci ancora scaramucce, ultimi rigurgiti di un nemico misterioso che non vuole mettere le armi in soffitta, ma ormai sono diventato esperto del settore e so come difendermi… A bocca aperta

Nel lungo periodo di riposo che sto per prendermi, di sicuro non mi ridurrò come il “guerriero”, immortalato da un’amica in Cina, che dà il “benvenuto” ai suoi ospiti in questa paciosa maniera…

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In autunno tornerò forte e rigenerato in città, alla stregua del condottiero romano visibile qui sotto:

Prima di partire farò una bella scorta di libri, sperando in una scelta fortunata: in questo ultimo anno ben pochi romanzi mi hanno entusiasmato. Il tanto osannato Sottomissione di Michel Houellebecq mi ha parzialmente deluso, non tanto per la scrittura (brillante e accattivante) quanto per la negatività del protagonista che “si sottomette” senza combattere al nuovo regime musulmano moderato imperante in Francia.

Per chi apprezza il mio modo di scrivere, comunico che in questi giorni ho pubblicato su Amazon una nuova versione dell’e-book Io e Agata in cui ho introdotto piccole ma importanti modifiche suggeritemi dai tanti bravissimi e attentissimi lettori che mi hanno scritto in privato: a loro va il mio più sentito grazie.  A giorni sarà disponibile su Amazon anche la versione cartacea dello stesso libro:

NuovaCopertinaAgataSecondaEdizione

Mi piacerebbe salutare nominalmente le amiche e gli amici che in questi anni mi hanno seguito con affetto e costanza ma non lo faccio perché mi dispiacerebbe dimenticare di citarne qualcuno. Non fatevi ingannare dal numero elevato di followers di cui mi accredita WordPress: 428. In realtà la maggior parte di costoro ha chiuso il blog nel 2013/2014 e moltissimi dei restanti non si sono mai affacciati da queste parti. Purtroppo WordPress non è molto aggiornato in questo senso: non cancella i followers che non followano mai e nemmeno elimina quelli che scompaiono dal Web dopo avere pubblicato uno o due post. Un ultima ciliegina sulla torta: proprio ieri si sono dichiarati “entusiasticamente” miei follower un blogger russo che scrive nella sua lingua, non conoscendo una sola parola d’italiano, Artemisia Profumeria, un negozio per signore/signori alla moda e – udite, udite! – una prosperosa Lady texana di anni 42, vedova, in cerca di un compagno di vita. Avere tre nuovi “lettori” così è pura felicità per me! A bocca aperta

Dunque per un po’ esco di scena, però prometto di fare di tanto in tanto visita a tutti quelli con cui, in questi anni, ho scambiato impressioni e battute. Non intendo dimenticare chi ha aperto un canale amicale virtuale con me e chi ha gradito o contestato pacatamente i miei post e i miei commenti.

Lo so che i distacchi sono penosi, ma io voglio lasciarvi con un sorriso, perciò eccovi quattro nuove strisce di “Mio papà è bellissimo” e un vecchio trittico del Signor Giacomo in cui il mio alter ego fa bellamente concorrenza a Betta, quanto a vanità…

Striscia 11 - 2015

Striscia 12 - 2015

Striscia 13 - 2015

Striscia 14 - 2015

E ora diamo la parola al Signor Giacomo d’antan:

Striscia49

Striscia50

Striscia51

Un cordiale arrivederci a settembre… THE_PR~1

Nicola

P.S.

Se qualcuno vuole contattarmi, la mia mail è n.losito@alice.it , risponderò a tutti.