Care amiche e cari amici,
come ogni anno, all’inizio dell’estate, metto il mio amato blog in sospensione animata. Sposto, cioè, le mie stanche membra (oggi mi sento in vena poetica…) nella casa di campagna dove mi aspettano diversi lavoretti da espletare prima che il sole con i suoi potenti raggi distrugga il mio bellissimo prato. Faccio questo per mettere a riposo per qualche mese sia la mia mente sia il pc portatile.
Quest’anno soprassiederò anche dall’ormai classico quanto oneroso viaggio all’estero anche perché ho appena fatto una breve ma accurata visita alla nostra Sicilia, isola che non conoscevo affatto. Sono stati nostri compagni di viaggio una coppia di amici siciliani che vivono a Milano ma che, spesso e volentieri, tornano in vacanza, nella loro terra d’origine. Sono stati loro a condurci in alcuni dei luoghi più belli dell’isola e a farci conoscere vita morte e miracoli di questa parte dell’Italia tanto chiacchierata, nel bene e nel male, dalla stampa nostrana e straniera.
Ho portato con me la videocamera e una moleskine nuova di pacca con cui ho filmato e annotato le cose più interessanti che ho visto, con la speranza di condividerle con voi nel prossimo autunno quando riaccenderò i riflettori sul mio blog.
Nell’attesa di incontrarci di nuovo vi lascio in lettura uno dei racconti che amo di più e che ho scritto diversi anni fa su una bellissima quanto misteriosa donna di nome Narcisa, augurandomi che vi piaccia e vi faccia riflettere su alcuni fatti della vita che potrebbero essere davvero successi nella realtà a persone a noi vicine e apprezzate.
Un caloroso abbraccio e un arrivederci a tutti voi.
Nicola
Narcisa
«Oggi devo proprio lanciare le tre monetine…» pensò Narcisa guardandosi con un’espressione disgustata allo specchio del bagno.
Il volto che vedeva riflesso non le piaceva affatto.
Due occhiaie profonde come il canale di Loch Linnhe invecchiavano irrimediabilmente un viso che non molto tempo fa doveva essere stato bello da capogiro.
«Ho solo trentacinque anni, cosa diavolo mi sta succedendo?!»
Era questa la sconsolata domanda che ultimamente si faceva almeno due volte al giorno. I capelli biondi, ormai troppo lunghi sulle spalle, avevano un evidente quanto urgente bisogno di un deciso taglio. Con un movimento automatico della mano prese un elastico di stoffa viola dalla consolle sotto lo specchio e, velocemente, se li legò a coda di cavallo. Il viso, liberato in parte dalle chiome, si avvantaggiò subito della luce dell’ambiente.
«Dieci anni in meno, cara mia!» esclamò riavvicinandosi allo specchio mentre una parvenza di sorriso si stampava sulla bocca, soltanto un attimo prima contratta in una smorfia di sconforto.
In parte rincuorata, iniziò l’abituale igiene mattutina.
Regolata l’acqua alla temperatura di trenta gradi, una doccia prolungata le diede un’altra scossa benefica al morale e un sapone verde, dall’odore deciso e penetrante, tenuto in serbo fino ad allora nella sua lucida confezione di alluminio, di certo regalo di qualcuno di cui non ricordava il nome, aggiunse un inaspettato senso di benessere fisico.
Ora non aveva uno specchio davanti a sé, ma scorrendo il corpo con le mani sentì che la pelle era soda e liscia, che i seni non davano segni di sgradevoli cedimenti e che, grazie a interminabili sedute sulla cyclette, su glutei e cosce, da sempre sue armi vincenti, non c’era la minima traccia di cellulite.
Passando poi dal liquido calore dell’acqua della doccia al ruvido tepore dell’accappatoio, per un attimo chiuse gli occhi e un grosso sospiro si sommò all’aria vaporosa del bagno, segnalando così che quel breve istante di benessere era finito.
«Cosa mi manca per essere felice?» le venne da chiedersi.
Questa domanda, più di quella riguardante il suo attuale aspetto fisico, da tempo le procurava un malessere indicibile.
Si ricordava benissimo quando se l’era fatta per la prima volta.
Stava seduta alla scrivania di mogano intarsiato nel suo ufficio alla Paluzzi Costruzioni S.p.A. e aveva appena ricevuto un pacchettino regalo e una telefonata di congratulazioni dal gran capo. Un suo progetto aveva vinto un premio internazionale e aveva forti probabilità di concreta realizzazione.
«Cos’era quel pacchetto?» si era chiesta, presa da una strana ansia.
Compleanno e onomastico erano lontani e il suo capo non era certo il tipo da fare regali per festeggiare i successi di una dipendente.
Chi poteva aver pensato a lei?
Sulla carta d’imballo c’era scritto, in chiara evidenza, Finzi Gioielli – Milano.
Perché aveva paura ad aprire quell’elegante confezione infiocchettata?
Un cattivo presentimento frenava la sua curiosità e, quasi si trovasse alle prese di un angosciante incubo notturno, non riusciva a decidersi a leggere il biglietto di accompagnamento e a scartare il pacchetto.
Con un movimento automatico della mano, aveva aperto la borsetta che stava sulla scrivania e aveva afferrato le sue amate tre monetine.
Quando percepiva che qualcosa non filava nel verso giusto, toccarle era un’ancora di salvezza. Ogni volta le interrogava sulla via da seguire e loro riuscivano sempre a indicargliela.
Ora non si trovava davanti a un bivio, non aveva scelte esistenziali da fare, eppure sentiva che, in quel preciso istante, aveva bisogno del loro aiuto.
C’era un cattivo pensiero da scacciare dalla mente.
«Forza Narcisa deciditi! Cosa ci vorrà mai?»
Di guerre ne aveva combattute tantissime e il conteggio tra vittorie e sconfitte, era di certo a suo favore.
Forza, forza!
Il calore del metallo stretto nella mano, di colpo, si era trasformato in energia e le aveva dato la forza necessaria per procedere.
Con fare ormai deciso aveva estratto dalla busta il bigliettino e aveva iniziato a leggerlo.
Cara Narcisa,
stavolta non voglio usare parole mie. Gli addii sono sempre difficili e penosi e perciò vado a prestito. Per correttezza avrei dovuto citare l’autore, ma sul sito da dove ho scaricato la poesia c’era mistero al riguardo.
Sembra scritta proprio per te.
Il rabbino consulta il pescecane
secondo la Torah e il rituale:
“Dimmi oh caro
dimmi perché fai il male?”
Quello sospira come troppo gli pesasse
e intanto osso ad osso se lo scarna
“Non ho colpa.
In me il tuo dio s’incarna.”
Spero che tu capisca e mi capisca.
Marco
«Ecco, questo sì che è un bel modo di piantare una donna! Se avesse scritto soltanto stronza certamente non avrebbe avuto lo stesso effetto!» aveva pensato Narcisa, piena d’amarezza.
«Come al solito ha voluto strafare…»
A quel punto mancava solo di aprire il pacchetto. Con mani nervose aveva strappato il nastro e la carta da regalo. Dalla scatolina imbottita era uscito un pescecane stilizzato in argento. Decisamente stupita, per alcuni minuti, era rimasta attonita a osservarlo.
«Ah, così io sarei lo squalo che mangia le sue vittime…» aveva alfine mormorato, piena di stizza.
No, non si riconosceva assolutamente in quel ritratto dipinto dagli occhi di Marco.
«Non ho mai mangiato gli uomini, io! Caro Marco, tu non mi hai mai capito…»
A ben vedere, se cattiveria c’era stata nella ricerca del regalo di addio, qualcosa non aveva funzionato. La cura dell’artista nel realizzare il pescecane con le branchie dipinte di marrone sull’argento lucente rendevano l’oggetto molto attraente, una vera delizia per gli occhi.
A ferirle il cuore e la mente erano l’anonima poesia e i pensieri che le scatenavano in testa ogni volta che la leggeva e rileggeva.
«Sant’Iddio, quell’imbecille di poeta non poteva cercare un verbo meno odioso di scarnare?»
Narcisa non solo mangia gli uomini, ma li scarna osso per osso!
Ma io ti amavo Marco e non mi sono mai saziata di te…
Finora a tutti i suoi uomini era piaciuto entrare e uscire dal suo letto.
Perché Marco non l’aveva apprezzato?
D’accordo, mille volte Marco aveva detto che nel suo letto lui si voleva fermare.
Perché Marco non ha capito che ciò non era possibile?
Era stata chiara sin dall’inizio e lui lo sapeva.
Per lei amore e libertà dovevano sempre restare due cose ben distinte.
L’amore, il sesso, sì perfetto, ma poi ognuno a casa propria!
Perché adesso glielo faceva pesare con così tanta acrimonia?
Scarnare…
Oh che sgradevole poesia!
Quel brutto giorno, tristezza e apatia le erano entrate così a fondo nella mente e nel corpo da toglierle persino la forza di odiare chi l’aveva così malamente scaricata.
Cosa le mancava per essere felice? ripeté ancora a se stessa.
Non certo gli uomini. Un fischio e poteva averne quanti ne voleva…
Non certo il successo. Era apprezzata e temuta sul lavoro. Una donna dirigente a trentacinque anni in una società di soli uomini non era mica uno scherzo!
E allora?
Poteva contare su tanti amici e amiche che accorrevano a ogni suo squillo e lei stessa sapeva donarsi agli altri senza farlo mai pesare.
Eppure da qualche tempo qualcosa in lei si era guastato e Marco col suo benservito gliel’aveva fatto notare col massimo della brutalità.
L’aria dattorno si era raffreddata, l’effetto benefico della doccia era ormai del tutto vanificato. Doveva sbrigarsi se non voleva beccarsi un raffreddore. Un po’ di trucco agli occhi bastava per affrontare la sua prima domenica da single. Stava quasi per uscire dal bagno quando un’occhiata alle unghie la convinse a tornare sui suoi passi.
«Non posso interrogare I Ching con le mani così in disordine!» disse a se stessa.
Aprì l’armadietto appeso al muro. In bella vista c’erano dieci bottigliette colorate che aspettavano solo la sua scelta. La prima, al color nero seppia, era affiancata a una blu, poi a una verde seguivano sette diverse tonalità di rosso. L’ultima, dal color rosa pallido, non l’aveva mai aperta.
Oggi era proprio la giornata adatta per iniziarla. Così facendo avrebbe affrontato con umiltà l’appuntamento con l’oracolo.
Tutto doveva essere predisposto per ascoltare con dignità e compostezza il responso dell’antica saggezza cinese.
Per i suoi amici I Ching (La Legge) erano un gioco di società, stupido come poteva essere stupida la lettura dell’oroscopo. Per lei invece rappresentavano la filosofia della vita a cui aggrapparsi. Erano la sua religione, la sua guida spirituale e tutte le volte che aveva domandato, aveva ricevuto la giusta risposta.
In dieci minuti riuscì a stendere lo smalto sulle unghie e, una volta seccato, corse in camera a indossare un abito comodo.
Era pronta ad affrontare una nuova sentenza.
Dalla borsetta estrasse le tre monetine e stringendole nella mano come se dovesse comunicare a loro il suo attuale umore, si diresse verso lo studiolo attrezzato per quando si portava il lavoro a casa. Liberò il piano della scrivania dal portatile e dall’ultima relazione ai soci dello studio e, su un foglio di carta bianca, depose le monete. Dalla libreria estrasse i suoi tre libri di riferimento: “Come consultare I Ching” di Alfred Douglas, in edizione economica Bur del 1976, “I Ching” di Paola Mariani e Patrizia Meanti in edizione cartonata Mursia e infine, il più prezioso, la traduzione in lingua inglese dei “I Ching” curata da Lao Hai–hsuan, regalo del suo ultimo viaggio in Cina.
Seduta alla scrivania, con grande solennità e serietà iniziò la procedura, ricordando a se stessa che le antiche regole assegnavano il valore 2 alla stessa faccia di ognuna delle tre monete (verso yin) e, alle facce opposte, il valore 3 (verso yang). Prima di lanciare contemporaneamente le tre monete con la mano destra, formulò mentalmente la sua richiesta all’oracolo e poi la mise anche per iscritto. La domanda era chiara e definitiva:
«Da domani cosa devo fare della mia vita?»
Per costruire l’esagramma con cui interrogare I Ching, lanciò per sei volte le monete trascrivendo sul foglio con la sua penna stilografica dall’inchiostro verde il risultato numerico dei singoli lanci. A ogni sequenza, somma dei numeri 2 e 3, associò il corrispondente simbolo grafico: una linea spezzata mobile se la somma era 6, una linea intera mobile se la somma era 9, una linea intera fissa se la somma era 7 e infine una linea spezzata fissa se la somma era 8.
Con la combinazione da lei trovata, unica tra le 64 possibili, individuò, in uno dei tre libri che aveva sulla scrivania, la pagina dove era scritta la risposta alla sua domanda.
Lesse più e più volte le poche righe che l’oracolo cinese aveva preparato per lei. Infine prese un nuovo foglio di carta e con studiata lentezza ci scrisse sopra a penna tutto quello che da domani avrebbe dovuto fare della sua vita.
Il giorno dopo, lunedì 26 febbraio 2007, Narcisa si alzò molto prima dell’alba.
Non fece colazione ma spese più di un’ora per mettere in perfetto ordine ogni angolo della casa. Quando si ritenne soddisfatta, si vestì di tutto punto decisa a uscire. Arrivata nei pressi della porta di colpo si fermò. Come assalita da un improvviso furore tornò in camera da letto e da un cassetto dell’armadio a muro estrasse la trousse argentata con chiusura a cordoncino che usava sempre nei suoi viaggi in giro per il mondo. Andò poi in bagno, raccolse il sapone verde con il suo contenitore di alluminio, il fermacapelli elastico viola e la bottiglietta di smalto rosa per le unghie. Dalla borsetta estrasse la stilografica e le tre monetine. Da sopra il trumò del soggiorno afferrò il pescecane d’argento e per un istante se lo avvicinò al petto.
Con quei sette oggetti nelle mani andò in cucina e si sedette pensierosa a tavola.
Per un tempo indefinito e in silenzio li rimirò e accarezzò tutti, uno a uno, più e più volte.
Poi aprì la trousse, con mossa lenta vi ripose gli altri sei oggetti, la richiuse stringendo con forza il cordoncino azzurro e la depose al centro del tavolo, proprio sopra al foglio dove il giorno precedente aveva scritto il responso dell’oracolo. Infine si alzò con gran fatica dalla sedia, diede un’ultima lunga occhiata attorno a sé e, a passi decisi e senza più voltarsi indietro, uscì di casa.
Fuori era ancora buio.
L’aria era fredda e il tempo non prometteva niente di buono.
Narcisa quel giorno di fine inverno non prese come sempre la sua auto.
Fine
Crediti: le immagini le ho scaricate da Internet presupponendole prive di copyright. In caso contrario, prego gli autori degli scatti di farsi vivi in modo che io possa indicare i loro nomi nel post. Per approfondire meglio il discorso su I Ching vi consiglio di guardare su Internet la seguente Guida.