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Io e gli altri

Immagine tratta da Internet

Tempo fa, cazzeggiando su Internet, intercettai un articolo di una simpatica quanto intelligente webnauta (@celeste.s) in cui discettava su due sue opinioni trasformate poi in affermazioni assiomatiche:

1) In Rete tacere equivale a scomparire.

2) In Rete il silenzio è il lusso delle persone arrivate.

A mio parere, è verissimo l’assioma numero 1): infatti se non sei sempre presente in Rete tramite post giornalieri/settimanali sul tuo blog, se non indichi ogni giorno il tuo stato fisico e mentale su Facebook, se non scrivi a piè sospinto messaggini idioti/intelligenti su Twitter, nel giro di pochissimo tempo nessuno si ricorderà più di te. I tuoi followers se ne andranno per sempre e tu scomparirai dal mondo virtuale.

Sull’affermazione numero 2) concordo solo a metà. Io aggiungerei questa postilla: il silenzio è anche appannaggio di chi non ha più nulla da dire o raccontare.

Avere poco o niente da raccontare è proprio ciò che sta succedendo a me in queste fredde e piovose giornate di febbraio 2017…

Eppure in giro (sulla carta stampata e nel Web) ci sono persone che, pur non avendo nulla da dire/raccontare, …agiscono diversamente**:

Blocco dello scrittore

Qualcuno è interessato a conoscere perché, trovandomi in queste condizioni, ho deciso di abbandonare WordPress, la piattaforma su cui dal 2011 racconto il mio vissuto?

Il fatto è che si è esaurita del tutto la mia vena letteraria/ironica, quella vena che, tanti anni fa, mi aveva spinto a prendere in mano carta e penna pensando, scioccamente, che potessero interessare le mie esperienze di vita – sia reali sia virtuali – che, nel tempo, avevo trasferito in romanzi, in fumetti umoristici e in un blog sia su questa piattaforma sia su altri social.

Per un lungo periodo, in effetti, è stato così. Qualcuno (pochi o tanti non importa) apprezzava abbastanza ciò che mettevo sulla carta o pubblicavo sul Web e questo mi dava il morale (la spinta giusta) per continuare a produrre elaborati scritti o disegnati. Ultimamente, però, la situazione è cambiata, i miei post non hanno più il mordente di prima e, piano piano, ho perso gran parte dei miei lettori. Guardandomi in giro ho notato che, al pari di me, anche altri noti  blogger sono in difficoltà di ascolto. Lo stesso dicasi per moltissimi scrittori (sia quelli pubblicati da prestigiose case editrici sia quelli che si pubblicano da sé). I loro libri, sfornati al ritmo di uno all’anno, rimangono tristemente invenduti sugli scaffali delle librerie territoriali o virtuali.

Le ragioni di un simile andamento negativo sono mille.

La più importante di queste è la disastrosa situazione economica di questi anni che, di certo, non ha aiutato e non aiuta la fantasia a volare alta. Un’altra ragione è che si pubblicano troppi libri, quasi tutti scadenti. Infine, pur supponendo che esistano testi di valore, a leggerli sono comunque in pochissimi.

Dunque, perché scervellarsi e insistere a pubblicare/postare se i lettori latitano?

Anche la stampa generalista/politica sta messa male. Vi sembra intelligente continuare a mantenere in vita dei quotidiani che vendono solo dieci copie, accumulando di giorno in giorno perdite milionarie?

L’aria che tira invita a piantarla lì, e così, per evitare il rischio di insistere ad annoiare, a partire da oggi, chiudo bottega, regalando questo mio spazio virtuale a chi ha idee ed esperienze nuove da mettere in campo con passione e maestria.

La mia non breve stagione di scrittore/blogger – dunque – termina con quest’articolo.

Lascio, però, in Rete, a disposizione di tutti, i miei 230 lunghi post, 86 video-reportage su YouTube, 3 romanzi, 1 libro di racconti, 2 libri a fumetti.

Colgo anche l’occasione per comunicarvi, con 5 giorni di anticipo, l’assai probabile piazzamento di un mio libro come finalino di coda del concorso letterario su Kobo di cui vi ho parlato ampiamente (con scarsissima audience) qualche settimana fa. Ormai è chiaro che il romanzo Io e Agata non vincerà, ma, fortunatamente non arriverà proprio ultimo, grazie alla buona volontà di otto o nove amici reali e di tre o quattro blogger, amici virtuali, che l’hanno votato lasciando due righe di commento, regalandomi così un piccolo e insperato ritorno di visibilità. Sicuramente sarei arrivato tra i primi se quasi tutti i miei 530 followers non fossero stati in altre ben più importanti faccende affaccendati. Visto che non è andata come speravo, faccio buon viso a cattiva sorte e, serenamente, mi accontento di ciò che ho ricevuto.

Per terminare in bellezza quindici anni da scrittore non professionista e sei anni di permanenza su WordPress, vi presento due aforismi che si legano alla perfezione con il mio attuale umore. Il primo è del Signor Giacomo, mio alter ego:

“La vanità è quel treno fantasma che ti fa credere di essere arrivato quando, in realtà, non sei mai partito.”

Il secondo aforisma* appartiene all’immortale Oscar Wilde:

“L’unico fascino del passato è che è passato”.

E io aggiungo, “sul fascino del futuro chi può pronunciarsi?”.

Anche al Signor Giacomo, in questo momento, le cose vanno abbastanza storte…

FioriDiPlastica

Buona vita a tutti e un grazie di cuore a chi, in questi anni, mi ha donato un po’ del proprio tempo!

Nicola Losito

* Citazione tratta da un articolo di Paolo Conti su Io Donna (supplemento del Corriere della Sera) del 4 febbraio 2017.

** Il fumetto a colori è di G. B. Trudeau, edito in Italia dalla rivista mensile Linus.

Il momento che stiamo vivendo è bruttissimo non solo per la cattiva situazione economica che c’è in molti paesi del mondo, compreso il nostro, ma anche per le terribili guerre che si stanno combattendo non lontano da noi. I morti e i feriti nei combattimenti ormai non si contano più e non fanno più nemmeno notizia sui giornali o sui telegiornali. Se potessi, con una bacchetta magica, farli terminare non ci penserei nemmeno un istante.  Vivere in pace sul nostro martoriato pianeta è un’utopia che i signori della guerra disdegnano a priori. Eppure la pace, a parole, la sostengono tutti…

Per distogliere dalla mente questi tristi pensieri, faccio ricorso a un breve capitolo del primo libro che ho scritto parecchi anni fa ricordando una guerra particolare e abbastanza cruenta, ma senza morti e feriti, a cui ho assistito quand’ero bambino.

Buona lettura.

Nicola

La guerra del latte

Mucca1

L’estate del 1952 si presentava, in modo non difforme da tutte quelle precedenti, calda, stupendamente oziosa, inframmezzata dai soliti lavoretti fatti giusto per non dispiacere ai nonni che lo ospitavano nella masseria a Incoronata in Puglia.
I nonni confidavano molto in Nicola e nella sua capacità di affrontare con grinta la vita. Spettava a lui, in un futuro non lontano, portare la famiglia a un livello sociale più elevato e questo lo obbligava, quasi sempre, a comportarsi in modo da non deludere le loro aspettative.

Per nonno Pietro, Nicola da subito era diventato “il nostro ometto”.

Una simile definizione, se da un lato soddisfaceva la parte più profonda del suo io infantile, dall’altro, gli andava stretta e insopportabile proprio per la responsabilità che essa comportava. Lui avrebbe preferito mille volte di più potersi abbandonare a quelle gratificanti marachelle che sono il vero pane dei bambini della sua età.

Nonostante avesse solo dieci anni, Nicola aveva capito che conveniva dare ai nonni e ai genitori un’immagine di sé il più possibile rassicurante e matura: ciò faceva distogliere il loro sguardo vigile dalla sua persona quel tanto da permettergli un certo margine di manovra. In quei momenti di distrazione familiare, rari in verità, dava il meglio di sé e riusciva a godere di tutte le opportunità che la libertà e la sua fantasia gli offrivano.

Proprio in quei momenti nascevano le “azioni avventurose” più belle.

Con tale espressione, lui e il cugino Pietro, indicavano quei comportamenti che, una volta scoperti, avrebbero avuto ben altri appellativi e sarebbero stati salutati a scapaccioni e non certo a battimani.

Una di queste azioni, rimasta negli annali della famiglia Losito, fu la cosiddetta “guerra del latte”.

Ogni estate, alla masseria si riuniva una folla di parenti provenienti da diverse città d’Italia. I nonni Palmieri avevano generato sette figli e questi, sposandosi, si erano sparpagliati per tutta la penisola. La loro grande casa e le lunghe vacanze scolastiche erano il luogo e l’occasione adatti a riunirne buona parte. Nell’e¬state del ‘52 il lungo tavolo di cucina ospitava almeno venti persone tra adulti e bambini.

Fra questi c’era Pietro, il carissimo cugino di Roma.

Dopo pranzo, il nonno faceva sempre un breve pisolino seduto scomodamente sulla stessa sedia utilizzata poc’anzi per il pasto. La nonna e le donne di casa, figlie e nuore, rassettavano la cucina chiacchierando fra di loro a bassa voce per non disturbarlo. I bambini, se lo desideravano, potevano salire in camera per dormire o leggere.
In campagna non c’erano altre alternative. La temperatura esterna sconsigliava azioni più impegnative. Lui e il cugino Pietro, però, quel giorno non avevano sonno. I giornalini a disposizione erano stati letti e riletti più volte, per cui entrambi vagolavano annoiati per la cucina. Col proposito di fare qualcosa di diverso dall’ascoltare le chiacchiere delle donne, presero il corridoio che, attraverso l’atrio adibito ad attrezzeria, portava alla stalla. Anche qui, con i due cavalli da una parte e le sei mucche dall’altra, si respirava la stessa atmosfera oziosa del dopo pranzo.
Che inventare allora?
Saliti in groppa a Luna e Fiorello, da quell’alta e privilegiata posizione presero a imitare sfrenate cariche della cavalleria contro orde di indiani cattivissimi e dal volto variamente dipinto. A un certo punto, buttando l’occhio dall’altro lato della stalla e vedendo le enormi e gonfie mammelle delle mucche che ruminavano tranquille, a Nicola venne un’idea.

La comunicò al cugino e lui l’approvò immediatamente.

Fu così che i due bambini, afferrate per i capezzoli le mammelle delle due mucche più distanti e spremendole con forza diedero vita, con mirati spruzzi di latte, a una fantastica e combattutissima battaglia. Le mucche, per un po’ li lasciarono fare, poi cominciarono a dare segni evidenti di insofferenza, muggendo e scalciando nel contempo.

Era quello il momento di sospendere le ostilità e porre fine alla guerra.

La battaglia aveva però lasciato visibili macchie sui loro pantaloncini e magliette, macchie che, asciugandosi, si erano trasformate in striature giallastre accompagnate da un acre odore di latte, molto fastidioso all’olfatto. Fu questa la ragione per cui il ritorno in cucina dei due guerrieri non venne accolto con acclamazioni e applausi?
Parrebbe di sì. Il forte olezzo che viaggiava insieme a loro e la situazione disastrosa dei loro indumenti, trasformarono immediatamente l’esito della gloriosa tenzone in una storica disfatta. Mamme e nonni ci misero ben poco a capire cosa i due cugini avevano combinato nella stalla.

Nicola, rincorso da sua madre, si prese subito due solenni sculaccioni e una memorabile tirata d’orecchie. Pietro, prima che la sua potesse afferrarlo per affibbiargli la meritata punizione, fu raggiunto dal bastone che il nonno teneva sempre a portata di mano.

A quel punto successe il finimondo.

Mentre i due bambini piangevano a voce spiegata, la mamma di Pietro, offesa perché a punire il figlio fosse stato il suocero e non lei, iniziò a litigare con la madre di Nicola, colpevolizzandola per non essere mai stata capace in vita sua di bloccare in tempo le malefatte del figlio. Lei, per difendersi, contrattaccò facendo l’elenco delle cose orribili commesse da Pietro sin dal giorno della nascita. I nonni, nel tentativo di frenarle, difendendo ora uno ora l’altro dei nipoti, non fecero che provocare un ulteriore inasprimento della lite che proseguì furiosa per un paio d’ore.

Nessuno, nel frattempo, sembrava più interessarsi di Nicola e Pietro che, archiviato il pianto, si guardarono negli occhi e con gesti del capo e della mano si accordarono per salire in camera da letto e allontanarsi in fretta da un campo di battaglia diventato molto più pericoloso di quello affrontato prima nella stalla.
La guerra del latte si era rovinosamente trasformata nella ”guerra delle zie”, una battaglia così aspra e astiosa da lasciare tra le due donne strascichi e malumori mai interamente sopiti anche dopo anni di successive frequentazioni.

I due cugini, invece, amici per la pelle, nel giro di cinque minuti avevano dimenticato la punizione ricevuta. Dalla camera da letto situata proprio sopra la cucina, se la godettero un mondo nel sentire le loro madri mentre si beccavano in modo così acceso, impegnate, col procedere dello scontro, più nella strenua difesa della bontà e intelligenza del proprio figlio, che nello scusarsi del comportamento incosciente e birichino di entrambi.
Alla masseria una vera pace tornò solo al momento della partenza di Pietro per una nuova destinazione, una settimana dopo. La sua famiglia non si fermava mai per più di un mese in campagna: la loro vacanza, in agosto, proseguiva al lago di Lesina presso i nonni materni. Doversi lasciare così presto, per i due cugini era un grosso dispiacere: in barba alla nota insofferenza fra le rispettive madri, loro due si volevano un bene dell’anima. Il distacco era condito, come sempre, da lucciconi agli occhi. Per Nicola, in assenza del cugino, le “azioni avventurose” ancora possibili in quell’estate che stava volgendo al termine, sarebbero state purtroppo monche di un protagonista attivo ed efficiente.

Mio cugino, in seguito, intraprese la carriera militare in aeronautica, raggiungendo, alla fine, il grado di colonnello. Io, invece, mi laureai in ingegneria elettronica.
Da pensionati, di tanto in tanto, ci incontriamo e, come tutti i vecchi di questo mondo, spesso ricordiamo i bei tempi della nostra adolescenza.
Ci credereste?
Pietro non ha ancora dimenticato il colpo di bastone ricevuto, quella volta, dal nonno e a me provoca ancora sofferenza l’umiliante sculacciata infertami da mia madre di fronte a tutta la parentela.
Se lo incontraste e vi capitasse di parlare con lui della famosa “guerra del latte”, non dategli assolutamente retta.
Quel giorno, la battaglia con le mammelle delle mucche l’ho vinta io.
Giuro.

Prima di iniziare il post odierno, rielaboro per voi una mail inviatami da una cara amica a cui avevo scritto di avere letto Fama tardiva di Arthur Schnitzler e di esserne stato colpito profondamente.

Fama Tardiva

“Ciò che mi hai accennato sul libro di Schnitzler, mi ha entusiasmato: me lo voglio procurare in tedesco! Deve essere stupendo. Da quel che ricordo, questo autore viennese era molto psico-orientato per cui… senz’altro deve essere riuscito ad andare veramente a fondo sull’eterna questione fama o non fama che assilla ogni scrittore che si rispetti. Quante volte abbiamo discusso questo problema io e te? Ricordo che hai sempre fatto orecchio da mercante quando ho cercato di farti capire quanto fosse sbagliata la tua ossessione per il successo letterario. Se leggendo Fama tardiva hai finalmente preso di petto questo annoso problema, tanto di cappello al libro di Schnitzler! Vuoi conoscere qualche mio pensiero al riguardo?

snoopy-scrittore-piagnone

Secondo me tu non hai mai smesso di domandarti: “Ma IO il talento ce l’ho o non ce l’ho?” e così il tuo scrivere che era sciolto quando non pensavi di diventare uno scrittore famoso (mi riferisco a Ossi di pollo, la tua prima opera) si è incriccato quando hai tentato di salire la scalinata verso gli allori. Sbaglio a dire questo? Comunque sia, non hai ancora digerito il mancato riconoscimento delle tue capacità, e questo non ti ha dato e non ti dà la serenità che occorre per affrontare altre prove letterarie. A me è capitata la stessa cosa, temo.

Anch’io ho sognato di diventare famosa e ci sono cascata in pieno nella trappola dell’EGO e, se può farti piacere saperlo, ci cascano un po’ tutti: mio padre arriva perfino a citarsi!!!!
Non c’è ragione di deprimersi: anche in altri ambiti della vita si sente la frase “Povero diavolo…” rivolta a qualcuno che si sopravvaluta. Pensi che, scrittura a parte, io non mi renda conto di quali sono i veri sentimenti degli altri nei miei confronti? Capisco molto bene persino come mi valutano. Sai quante volte ho sentito qualcosa che suonava come “Povera diavola…” mentre ero sul palco a raccogliere degli onori che non avevo cercato ma che mi erano stati insistentemente offerti, come se mi spettassero di diritto, riuscendo a convincermi di meritarli? Beh, guarda, grazie a Schnitzler, ora entrambi conosciamo la verità vera: Nessuno – intendo proprio nessuno – merita né gli onori né la compassione. È questo il trucco da applicare a se stessi e agli altri, alternativamente.

Dovrai fartene una ragione, come ho fatto io: sappi che non è difficile. La serenità è proprio dietro l’angolo. Dopo avere toccato il fondo ed essermi scontrata con l’iceberg della realtà, io ho imparato ad accettare gli altri, le loro opinioni anche se non hanno nulla a che spartire con le mie. Mille volte avrei voluto che il mondo avesse letto e apprezzato i miei scritti perché così mi sarei sentita amata e riverita anch’io, tra l’altro senza aver nemmeno il retro pensiero vagamente altruista: “Chissà se agli altri piace quello che racconto?” ma avendo in testa soltanto quello totalmente auto-centrato: “Spero di non aver commesso errori nella consecutio temporum, perché IO non posso sbagliare”. Per quel che mi riguarda, tutto questo disagio io l’ho superato. Ora è il tuo turno.

Mi dispiace tantissimo che tu stia male: per sollevarti il morale ci vorrebbe una battuta ma io non ho il tuo sense of humour e poi oggi sono troppo stanca. Un solo consiglio: perché non fai una recensione del libro di Schnitzler, una di quelle tue divertenti, ironiche e profonde?”. Poi, eventualmente, ne riparliamo…

Snoopy scrittore

Provo a seguire il consiglio della mia amica: oggi sono dell’umore giusto per abbozzare un post dal sapore ironico…

Quest’anno, a Natale, ho ricevuto pochissimi regali, però erano tutti importanti: tra questi, quello che ho apprezzato di più è stato un libro intitolato Fama tardiva di Arthur Schnitzler (sottotitolo: Storia di un vecchio poeta) edito da Guanda. 
Sapendo che in passato ho scritto un certo numero di romanzi, evidentemente chi me l’ha donato intendeva spingermi a scriverne altri, augurandomi, al contempo, una futura quanto meritata gloria letteraria, ancorché tardiva. In realtà quel breve testo di Arthur Schnitzler, medico, scrittore, drammaturgo, nato a Vienna nel 1862 e ivi morto nel 1931 è tutt’altro che di auspicio a far riprendere in mano la penna a chi, da tempo, l’ha riposta in un cassetto, non avendo mai ricevuto un qualche riconoscimento pubblico del proprio talento. Ciò affermato, e questo è il grande valore del regalo ricevuto, Fama tardiva mi ha costretto a riflettere seriamente sulle mie passioni e sulle mie speranze attuali o pregresse. Vediamo come e perché…

*****

Fama tardiva parla di Saxberger, un vecchio signore che in gioventù (circa trent’anni prima) aveva pubblicato un libro di poesie intitolato Passeggiate, passato del tutto inosservato dalla critica e dai lettori. Costui, visti gli scarsi risultati della sua fatica e mostrando un notevole acume, aveva prontamente abbandonato la scrittura poetica e aveva cercato e trovato lavoro come impiegato di concetto in una ditta poco distante da casa e lì stava conducendo un’onesta, serena, quanto anonima carriera.

Snoopy scrittore di pancia
Un certo giorno (la vicenda si svolge a Vienna verso la fine del 1800) un giovane aspirante poeta di nome Wolfgang Meier trova su una bancarella il libro di poesie Passeggiate, lo acquista e, dopo avergli dato una veloce scorsa, rimane folgorato dalla bravura di Saxberger. L’intraprendente giovane, allora, si mette alla ricerca dell’autore del libro e, una volta incontratolo, comincia a elogiare le sue poesie chiamandolo con enfasi maestro, insomma lo ossequia così tanto che Saxberger, dopo un’iniziale perplessità, (da tempo il vecchio poeta aveva metabolizzato che se non aveva avuto successo in gioventù significava che la sua opera valeva ben poco) comincia a pensare di essere stato trattato ingiustamente dalla critica e dai lettori e accetta di entrare a far parte di un circolo di giovani artisti (poeti, commediografi, critici) che tentano di svecchiare l’ambiente letterario viennese, da sempre restio a dare credito alle nuove generazioni di letterati.

Il circolo, che si riunisce giornalmente in un bar molto frequentato, accoglie con grande entusiasmo e riverenza Saxberger, convinto che chi, da giovane, era stato in grado di creare Passeggiate avrebbe potuto sicuramente dare lustro a una congrega di artisti alle prime armi. In un primo momento Saxberger pensa che tutti lo stiano prendendo in giro, ma i continui apprezzamenti sulla sua unica e misconosciuta raccolta di poesie sono tanti e tali che lui stesso si convince di essere davvero un maestro dell’arte poetica a cui era stata ingiustamente negata la fama che si meritava. La presenza del vecchio poeta induce i frequentatori del circolo a preparare un evento letterario in cui declamare pubblicamente alcune loro composizioni poetiche o narrative, sicuri che la notizia, fatta circolare sulla stampa locale, che allo spettacolo sarà presente colui che aveva scritto un’opera fondamentale come Passeggiate, avrebbe avvantaggiato anche loro. Il gruppo chiede con insistenza a Saxberger di scrivere nuove poesie da leggere in occasione dell’evento programmato per la fine del mese successivo, dove sarebbe intervenuta una nota attrice di teatro a leggere, da par suo, sia i componimenti dei giovani autori sia le nuove poesie del maestro. Saxberger ci si mette d’impegno, prova e riprova, ma non riesce a produrre niente di nuovo: ormai è troppo arrugginito e l’ispirazione non gli arriva nemmeno andando a passeggiare nei luoghi dove erano scaturite le sue belle poesie giovanili. Il circolo non si perde d’animo e, per andare sul sicuro, decide di far declamare all’attrice alcune delle poesie tratte da Passeggiate.

A questo punto, Saxberger si è talmente ringalluzzito da comportarsi come se fosse effettivamente un grande poeta e quindi ascolta con una certa sufficienza, ma senza criticarli con la franchezza che meriterebbero, i modesti componimenti dei giovani autori appartenenti al circolo.
Arriva, finalmente, il giorno dell’evento letterario con spettatori paganti e con la presenza anche di alcuni giornalisti. Dietro le quinte i vari autori che si presenteranno sul palco sono, ovviamente, nervosi, ma il più nervoso di tutti è il vecchio poeta, anche se, dentro di sé, è convinto che sarà lui a ricevere gli applausi più scroscianti. La manifestazione, a sentire il calore degli applausi, sembra procedere bene. Quando l’attrice termina di leggere le poesie di Saxberger, gli applausi che lui riceve, presentandosi sul palco, sono pari a quelli di tutti gli altri autori che l’hanno preceduto, però, allo scemare del battimani, una voce sommessa, proveniente da chissà dove, pronuncia, rivolta chiaramente a lui, le parole: “Povero diavolo…”.
È un vero colpo al cuore per Saxberger che si aspettava, finalmente, il dovuto riconoscimento del suo grande talento poetico! La dura realtà dei fatti raccontava, invece, che tutti i partecipanti avevano ricevuto lo stesso plauso da parte del pubblico, ma solo a lui era stato rivolto quell’odioso commento…

Il giorno dopo sui quotidiani locali più in voga si parla poco di quell’evento letterario. Solo qualche striminzito trafiletto nelle pagine di cronaca più interne. In un’importante quotidiano letterario, invece, c’è una recensione negativa in cui venivano ironizzate tutte le performances dei giovani poeti e, in più, c’era una sottolineatura del fatto che uno di questi “giovani” fosse parecchio attempato… In un altro giornale a bassa tiratura, infine, c’è una recensione blandamente positiva, rivelatasi in seguito pilotata da Meier (proprio colui che aveva acquistato Passeggiate su una bancarella) in cui il recensore tesseva lodi equanimemente rivolte a tutti, aggiungendo, però, di attendersi a breve un miglioramento effettivo delle loro prossime prove d’autore.
Una brutta batosta per l’intero gruppo, ma soprattutto una nuova sberla in faccia a Saxberger.

Costui, allora, abbandona in silenzio il circolo che tanto lo aveva osannato e se ne torna mesto mesto a casa. Lo segue soltanto il più giovane del gruppo, quello che tutti prendevano bonariamente in giro a causa delle sue composizioni ancora troppo immature. Il ragazzo chiede al vecchio poeta il favore di leggere le sue poesie per avere da lui un parere da esperto. In cambio di questo favore lui promette di leggere il suo tanto osannato Passeggiate
Così, come ultimo e definitivo smacco, Saxberger, già depresso per quanto era successo durante l’evento letterario, viene a sapere che il ragazzino e tutti gli altri componenti del circolo di giovani artisti, pur lodandolo a gran voce, non avevano mai letto nessuna delle sue poesie contenute in Passeggiate.

snoopy scrittore pieno di sé 

Scusatemi, care amiche/amici, se mi sono dilungato tanto a raccontarvi la trama di Fama tardiva, togliendovi così il gusto di acquistare e leggere quest’ottimo e sottilmente ironico libro, ma l’ho fatto di proposito perché questo testo di Arthur Schnitzler mi ha davvero illuminato. Infatti, con qualche piccolo ritocco e pensando al mio vissuto di questi ultimi anni, la vicenda del vecchio poeta mi ha fatto venire in mente il gruppo di amici che, insieme a me, aveva partecipato a un paio di corsi di scrittura creativa e che sperava tanto nel successo letterario. Mi ha ricordato la fragile amicizia che si era instaurata tra di noi e la sottile invidia che permeava dentro di me (e penso anche negli altri) quando uno del gruppo otteneva un qualsivoglia modesto riconoscimento. Arthur Schnitzler con la sua scrittura ironica e modernissima mi ha edotto sull’inutilità di insistere nella scrittura credendo di avere qualcosa di eccelso da dire, correndo il rischio di sentirsi dire da qualcuno di avere scritto unicamente delle banalità. In verità, a differenza di Saxberger, finora nessuno, facendo in modo che io lo sentissi, mi ha dato del povero diavolo, però chissà quanti, dietro le mie spalle, avranno alzato il sopracciglio sfogliando i miei libri e decidendo così di non acquistarli e leggerli!

Fama tardiva mi ha fatto intendere di avere speso gran parte del mio tempo libero a produrre opere ammirate smodatamente solo da parenti e amici compiacenti, ma quasi del tutto ignorate dal grande pubblico e che, proprio per questo, è arrivata l’ora di cestinare i tanti sogni di gloria che mi rovinavano la vita.
Mi ha fatto sorridere, soprattutto, il pensiero che il libro di Schnitzler sia stato volontariamente scelto da qualcuno per farmi, fidandosi del titolo, un gradito regalo, quando invece, di primo acchito, leggerlo è stato come ricevere un bel pugno nello stomaco. A bocca aperta

Fortunatamente il malumore è durato solo qualche giorno e non sono caduto nel triste vortice della depressione, anzi, quel libro mi ha donato una salutare consapevolezza delle mie effettive capacità e questa, unita al mio noto sense of humour, mi ha aiutato a sgombrare in tutta fretta dalla testa anche l’idea alquanto pellegrina di considerarmi un romanziere ingiustamente valutato da critici e lettori.

Ovvio che non rinnego i libri che ho scritto in passato, tutt’altro, ma, da oggi in poi, al pari di Saxberger, li guarderò con l’occhio benevolo e maturo di chi sa che tutto ciò che si realizza con passione e sforzo mentale ha un valore intrinseco che può tranquillamente prescindere da critiche negative o riconoscimenti a cinque stelle provenienti da chicchessia.

Nicola

L'arte della poesia

Crediti: un sentito grazie a Charles M. Schulz per le esilaranti strisce di Snoopy e un ringraziamento va anche all’autore della splendida immagine qui sopra che descrive l’arte della poesia e dello scrivere in generale.