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Della serie: riusciranno gli scrittori di oggi a superare i grandi del passato – Ultima puntata.

In questi giorni di ridotta mobilità (vedi La sedia infame), a furia di imbottirmi di integratori sotto forma di pillole, di polverine misteriose da sciogliere in acqua, di punture da quattro c.c. (dose da cavallo) per nutrire i miei nervi che sono stati compressi e compromessi dalla mia rovinosa (e umiliante) caduta, è avvenuto che tutte le mie terminazioni nervose si sono ribellate all’eccesso di cure a cui sono state sottoposte e se la sono presa con me. Infatti, invece di ringraziarmi per tutte le vitamine che gli propino, mi tormentano sia di giorno sia di notte e sto quasi uscendo pazzo dal dolore al braccio sinistro. Per lenire questa sofferenza prendo un antidolorifico che ha come principi attivi il paracetamolo e la codeina (un alcaloide contenuto nella polvere d’oppio): in pratica mi sto drogando con la benedizione del mio medico curante, in quanto la codeina durante il metabolismo si trasforma in morfina.

Quando alla fine (se mai una fine ci sarà) di questa mia disavventura tornerò ad avere la disponibilità motoria di entrambe le braccia e la mano sinistra riprenderà la normale sensibilità, di sicuro sarò assuefatto alla morfina e, a ogni accenno di probabili nuovi malesseri, sarò costretto a ingerire droghe sempre più pesanti trasformandomi in uno di quei zombie che affollano i B-Movie trasmessi in tv dopo la mezzanotte… Al momento, visto che nessun sonnifero ha un effetto duraturo, dormo pochissimo e così tutte le cellule del mio povero cervello sono costrette a un super lavoro notturno.

Vi interessa sapere cosa penso nelle lunghe nottate insonni che passo alternando il letto alla poltrona, visto che in nessuna delle due sistemazioni il mio braccio sinistro trova la posizione giusta per rilassarsi almeno un’ora di fila? Non ve ne frega niente? Ok, io ve lo dico lo stesso, perché questo è l’argomento del mio post odierno. A bocca aperta

In quei momenti di veglia coatta penso con terrore al mio futuro, a quel po’ di tempo che mi resta ancora da vivere e ai tanti progetti fantasiosi che non sono riuscito a realizzare. Per non farla troppo lunga vi parlo solo dei tre più importanti.

LibriImpilati

C’è stato un tempo in cui avevo in mente di leggere tutti i libri di questa terra. Non ridete, ero un ragazzino molto sveglio quando ebbi questo geniale pensiero: allora leggevo in fretta e memorizzavo ogni cosa che leggevo. Crescendo, alla passione della lettura si aggiunse il piacere della scrittura. In più, oltre a studiare ingegneria all’università di Bologna, disegnavo fumetti umoristici.

Bei tempi quelli!

Poi, purtroppo, iniziò la vita vera. Finita l’università trovai lavoro, mi sposai ed ebbi tre figli nel giro di quattro anni. Ovviamente smisi di leggere, di scrivere e di disegnare (leggere un libro all’anno non era leggere, scrivere mail ad amici non era scrivere e la vena umoristica la chiusi in un cassetto).

Raggiunta la pensione i miei sogni di bambino ripresero piede ma, a causa dell’età avanzata, fui costretto ad aggiustare di parecchio il tiro.

Oggi, infatti, non sono più capace di disegnare, non riesco a leggere velocemente e dimentico quasi subito ciò che leggo: per forza di cose debbo scegliere fra i tanti libri presenti sul mercato, solo i migliori, cioè quelli suggeriti dalla critica qualificata o da amici letterati. Ovvio che non sono soddisfatto per niente di me stesso! Quest’anno, in particolare, degli otto romanzi che ho letto finora, tolto Un pezzo d’uomo  di Kari Hotakainen di cui vi ho parlato poco tempo fa, tutti gli altri mi hanno parecchio deluso. Non faccio nomi e cognomi perché mi dispiace mettere alla berlina autori di grande fama che in passato hanno dato notevoli prove di bravura ma che – a mio parere – non hanno avuto il coraggio di deporre la penna quando era il momento giusto per farlo. Che questa delusione, invece, sia un segnale di saturazione della mia capacità di lettura? Dio mio, spero di no!

Che fine ha fatto la mia antica passione per la scrittura?

Scrivere

La storia qui si complica e sarebbe troppo lungo e noioso ripercorrere il cammino letterario che ho compiuto fino ad oggi: perciò semplifico al massimo. Come ho detto poc’anzi, gli impegni di lavoro, la famiglia, i figli e chissà cos’altro mi avevano costretto a mettere la sordina alle mie velleità artistiche giovanili, però, una volta entrato in pensione, nei primi cinque o sei  anni di libertà da impegni lavorativi, sono ripartito con l’entusiasmo e l’energia di uno sbarbatello. Ho letto tantissimi libri, ho scritto decine di racconti, ho aperto e chiuso blog, e mi sono pure cimentato in un paio di romanzi. Ovviamente questo stato di grazia non poteva durare. Ultimamente la natura (il peso dell’età) ha avuto il sopravvento, infatti, adesso leggo poco e praticamente ho smesso di scrivere seriamente. Più che altro cazzeggio al computer. Forse, come è successo per la lettura, la passione per la scrittura è scesa ai minimi termini. Non ho più gli stimoli giusti e, soprattutto, ho maturato nuovi convincimenti.

Da piccolo pensavo che, per diventare un grande scrittore, occorresse leggere libri su libri e bastasse conoscere alla perfezione le regole della grammatica e della sintassi. Sbagliavo di grosso. Nella mia vita ho macinato migliaia di libri, ho fatto buoni studi, eppure non ho vinto il premio Nobel della letteratura. Oggi mi sono convinto che per entrare nell’Olimpo dei famosi occorre avere, sin dalla nascita, una marcia in più rispetto all’enorme pletora di (presunti) scrittori che, avendo pubblicato un libro che ha venduto un certo numero di copie, credono di essere autori di successo in grado di competere con i grandi del passato. La verità vera è  che le mille letture e le tante parole scritte e riscritte servono solo ad affinare una dote specifica – una vera e propria regalia divina – che è già incisa nel DNA di quei pochissimi eletti a fama duratura.

Ho impiegato anni a capire che quel dono non ce l’avevo ma ora, finalmente conscio di ciò, mi sono messo l’animo in pace e di sicuro non mi suiciderò se non raggiungerò i traguardi a cui aspiravo in gioventù.

Questo significa che non leggerò più e non scriverò più? Non scherziamo!

Continuerò a fare entrambe le cose, però con uno spirito diverso e con una maggiore consapevolezza dei miei limiti. A guadagnarci – spero – sarete voi che di tanto in tanto seguite il mio blog: diminuiranno i miei pallosi articoli centrati sulla scrittura (qualcuno li ha trovati troppo autoreferenziali…), scompariranno i piagnistei sui miei mancati successi e darò più spazio ad altri argomenti.

Contenti? Occhiolino

Si conclude così – serenamente – la serie di post dedicati agli scrittori di oggi che sperano di superare i grandi del passato.

Nicola

P.S.

Come sempre le immagini sono state prese da Internet e il copyright appartiene ad autori a me sconosciuti ma decisamente bravi.

Kari Hotakainen

Come promesso, oggi vi presento un altro capitolo del libro dello scrittore finlandese Kari Hotakainen: Un pezzo d’uomo, edito da Iperborea. Quest’autore mi ha convinto perché ha saputo conciliare, nel suo mondo narrativo, semplicità di scrittura e profondità di pensiero. So che ha scritto altri due romanzi, (Colpi al cuore, Via della Trincea) pubblicati in Italia sempre da Iperborea: penso che li cercherò in libreria per avere una conferma della sua bravura. Come sempre lascio a chi legge piena libertà di giudizio: sono consapevole, infatti, che ciò che piace a me può non piacere ad altri. Tanto consapevole che arrivo al punto di confessarvi che un caro amico è arrivato a dirmi, in privata sede, che il racconto dell’altra settimana, “La venditrice”, era una cagata pazzesca. Ovvio che quel giudizio così tranciante gliel’ho contestato con pari durezza, d’altro canto so bene che… sui gusti personali in letteratura è difficile trovare dei punti d’incontro. La scelta di estrapolare dal libro questi due particolari capitoli l’ho fatta in base alla filosofia con cui porto avanti il mio blog e anche tenendo conto della comunanza di interessi della maggioranza degli amici/amiche a cui i miei pensieri e le mie divagazioni sono rivolti. Chi mi segue con una certa costanza ama viaggiare, ha come me l’hobby della lettura, si diverte con i fumetti d’autore e spesso si cimenta nella scrittura di racconti, poesie e, non ultimo, qualcuno ha già pubblicato romanzi o saggi. Di regola i libri che propongo sono piaciuti a me, ma – sia chiaro – questo non vuol dire che siano dei capolavori assoluti e indiscutibili. Ok?  

Buona lettura!

IL FAVOLISTA

Lo scrittore tornò a casa, trascrisse quanto aveva registrato, diede una scorsa agli appunti e cominciò a imbastire una storia. Sapeva che il compito era difficile, ma non impossibile. Vi inglobò tutto quello che conosceva del mondo e anche tutto quello che solo presentiva.

Tirò fuori un grande foglio di carta e vi disegnò sopra Salme, Paavo e i figli Helena, Pekka e Maija. Attorno a loro tracciò un ampio cerchio che etichettò come «società». All’interno aggiunse dieci x, a indicare i fattori sconosciuti che influenzano sempre la vita di ciascuno.

Poi si concentrò. Chiuse gli occhi e pensò alla sua propria vita. Era piccola e insignificante, non gli era mai successo granché. Decise comunque di introdurne una parte nella storia, e fu in questa disposizione d’animo che scrisse una lettera alla persona che gli aveva ceduto la sua di vita.

Gentile signora Malmikunnas,

il ricordo del nostro ultimo incontro continua ad assillarmi. Non avevo nessuna intenzione di offenderla, anche se sono certo di averlo fatto. Le chiedo scusa. Il mio è un mestiere difficile, mi trovo a servire contemporaneamente la verità e la finzione. Forse non lo capirà, ma per me sono gemelle. Si guardano tra loro in cagnesco e si evitano, ma l’una non può vivere senza l’altra.

Quando mi ha venduto la sua vita, senza dubbio non le ho spiegato con sufficiente chiarezza che ne avrei dato la mia versione. La sua verità è la sua, la mia sarà quella dei lettori, sempre che il libro venga pubblicato. In caso contrario, la sua resterà l’unica in vigore.

Ma c’é qualcosa che ci unisce. Lei ha bisogno di denaro per una faccenda importante, io ho bisogno di questo libro. Senza, sparirei, non sarei più niente. Lei penserà che non sarebbe una grande perdita, ma nella mia professione funziona così, uno scrittore esiste solo attraverso i suoi libri.

Durante i nostri incontri l’ho vista perdere le staffe più di una volta. Il punto è che abbiamo concezioni diverse della letteratura. O meglio, mi scusi, è che lei non ne ha nessuna. Crede che scrivere un libro significhi semplicemente riportare su carta tutto ciò che uno ha visto e vissuto. Con questo metodo i libri sarebbero in generale piuttosto grossi e illeggibili. Ma conto che quando leggerà il romanzo basato sulla sua vita, capirà cosa intendo. Nella lettera precedente ho usato l’esempio del cigno selvatico per cercare di spiegare quanti punti di vista bisogna tenere in considerazione per soddisfare sia il lettore sia lo stesso cigno.

Questa volta prenderei a esempio il maiale. Noi lo vediamo nella porcilaia insieme ad altri della sua specie. Grugnisce, fruga con il muso, scava nella terra, destando in noi impressioni forti. Dovendo raccontarne la storia, partirei dal principio che si trovi lì per noi, che lo ammazzeremo e mangeremo tra non molto. È da tale prospettiva che lo descriverei, guardandolo con simpatia.

Questo é il punto di vista dell’uomo. Quello del maiale è diverso.

Non conosciamo i suoi pensieri, ma immagino che viva nel presente senza curarsi dell’avvenire. Scosta chi gli si para davanti, cerca di aprirsi un varco per raggiungere il trogolo o per zampettare per suo conto. La vista di un uccello fuori, nel cortile, potrebbe renderlo invidioso. Chissà. Vallo a sapere. Magari lo prende per un’allucinazione, credendo che al mondo non esistano altri che lui e il suo padrone. Il maiale non ha memoria del giorno prima e non pensa al futuro, eppure ha come un presentimento quando vede avvicinarsi uomini in tute di gomma. Ha paura, e a ragione, perché presto lo abbatteranno con una scarica elettrica.

Poi c’è il punto di vista del bambino. Che nel maiale vede il Natale, ma non il suo cammino fino alla tavola imbandita. Per lui si tratta di un tenero animaletto, lo chiama porcellino. I porcellini sono pure diventati protagonisti di qualche film, perché gli adulti rivedono in loro la propria infanzia. Anche i libri per bambini sono pieni di quei musoni rotondi con i buchi.

Abbiamo dunque tre punti di vista sulla vita del maiale. Se scrivessimo la sua storia solo dalla prospettiva dell’animale, risulterebbe scarna e poco credibile. Se il mio libro avrà buon esito, nella porcilaia si troveranno la scrofa e il verro, e i loro piccoli, cioè i porcellini, saranno già partiti per la loro strada, cercando di cavarsela e di evitare di finire al macello. La vita di un suino è cambiata a tal punto rispetto al passato che scrofa e verro fanno fatica a star dietro a tutte le peripezie dei loro piccoli. Poi a uno capita una brutta disgrazia (le ricordo, signora Malmikunnas, che parlo metaforicamente, è ovvio che non la considero una scrofa, sto solo cercando di far capire le mie intenzioni attraverso una favola), ma fortunatamente gli altri porcellini accorrono a salvarlo, con l’aiuto di una scimmia…

E così di seguito.

Se riuscirò nel mio intento, la sua vita sarà intensa e accattivante, capace di interessare altre persone oltre ai frequentatori abituali della porcilaia.

Suo S.

Quattro giorni dopo lo scrittore ricevette da Salme Malmikunnas due cartoline, una con un paesaggio autunnale e l’altra con un paesaggio lacustre. Il testo cominciava su una e finiva sull’altra.

Caro scrittore,

sono insieme a Helena in un bel posto e non ho la minima voglia di discutere di questioni spiacevoli. Tra parentesi, lei li mangia i frutti di bosco? La natura ci fornisce continui stimoli per vivere meglio. Mirtilli blu e rossi, bacche d’olivello spinoso e tutto il resto. Io e Paavo ne mangiamo tutti i giorni. Ci pensi. E poi ho una richiesta. Quando

(continua dietro il Iago, scusi, una cartolina non basta)

il romanzo uscirà, può dire alla fiera del libro, e ovunque sarà presentato, che é tutto frutto d’invenzione? Potrei anche pagare qualcosa per questo servizio, dato che abbiamo venduto la nostra vecchia macchina. È estremamente importante per me. Lo sapeva, poi, che le bacche d’olivello spinoso contengono quasi tutte le vitamine di cui abbiamo bisogno?

Salme

Prima di darvi appuntamento alla prossima settimana, una breve osservazione sul testo che avete appena finito di leggere: chi scrive già o chi intende iniziare a farlo può trovare nel “favolista” validi suggerimenti per creare o modificare con intelligenza il proprio mondo narrativo. Non vi pare?

Alla prossima!

Nicola

 

Un pezzo d'uomo

Edizione 2012 – Euro 17,00

A Natale un caro amico mi ha regalato un libro dallo strano formato 10×20 cm.: confesso subito che il mio primo pensiero è stato di rigetto. Non è possibile – mi sono detto – che un libro di una casa editrice di nicchia, scritto da uno sconosciuto (a me) autore finlandese possa valere la pena di leggerlo: sarà il solito volumetto pieno di considerazioni  adatte a casalinghe più o meno disperate… Dunque l’ho messo da parte, ripromettendomi di dargli un’occhiata una volta terminati tutti i bei romanzi che avevo scelto di persona in libreria per passare piacevolmente l’inverno. A spingermi anzitempo a prendere in mano quel libro dell’Iperborea è stata la profonda delusione provata nel leggere testi assai modesti di autori che avevo apprezzato in passato (Daniel Pennac, Joyce Carol Oates, Irene Némirovsky, Georges Simenon) e che erano stati caldamente consigliati da esperti critici letterari.

Beh, cari amici, in men che non si dica ho riassaporato il piacere della lettura. Già dal primo capitolo, Un pezzo d’uomo, mi ha avvinto e, pur lottando con la fastidiosità e durezza del dorso di rilegatura, mi sono immerso in un mondo che non conoscevo e che, pur mostrando alcune assonanze con il mondo occidentale attuale, mi ha palesato la grande diversità di pensieri e aspirazioni che sussistono fra noi e i finlandesi. La scrittura di Hotakainen, così semplice e lineare quanto profonda e intrisa di fine ironia mi ha sorpreso  molto anche nel finale duro, violento e inaspettato della vicenda narrata.

Tanto per farvi capire quanto questo romanzo mi ha preso, sappiate che non ho voluto abbandonarne la lettura anche nei primi giorni di degenza in ospedale dopo l’operazione alla spalla fratturata, quando tenerne aperte con una sola mano le minuscole e resistenti pagine era quasi impossibile. Oggi vi presento il primo capitolo di Un pezzo d’uomo: un brano che si lega molto bene a un mio recente post sulla pagina bianca, dove scoprirete come uno scrittore in crisi creativa sia riuscito a risolvere il suo problema contingente. Il testo è lunghetto ma vale la pena affrontarlo e arrivare fino in fondo per apprezzare in pieno le doti di Kari Hotakainen. Presto, forse già la prossima settimana, vi proporrò un altro capitolo, molto bello, di questo libro.

Buona lettura!

Nicola

La venditrice

Mi chiamo Salme Sinikka Malmikunnas e tutto quello che dirò sarà stampato parola per parola in questo libro. Me l’ha promesso lo scrittore. Nella sua ansia è arrivato perfino a propormi di far stampare le mie parole in corsivo, che, a quanto pare, dovrebbe sottolineare la loro importanza. Ma quando ho visto cosa intendeva per questo corsivo, mi sono subito rifiutata, qui si va avanti già fin troppo curvi, non è proprio il caso di metterlo anche in risalto. Ammetto di averlo pure un po’ bistrattato, il tipo, tant’è che mi ha promesso mari e monti. Dovevo essere un po’ su di giri, in fondo era la prima volta che vedevo e conoscevo un vero scrittore in carne e ossa.

Tanto per cominciare, e a mia parziale discolpa, devo dire che non mi piacciono i libri di storie inventate e ancor meno quelli che li scrivono. Mi ha sempre dato ai nervi che la gente li prenda sul serio, ci si immedesimi e dia pure retta ai loro autori. Parlo dei romanzi e tutto quel genere che si trova nel reparto dove c’è l’etichetta «narrativa» o «narrativa straniera». Mi ha dato ancora più ai nervi quando io e Paavo abbiamo scoperto che c’è addirittura della gente che va a cercare quelle panzanate fino all’estero, e poi tipi che hanno studiato si prestano a tradurre nella nostra lingua roba che non è altro che evidentissime balle.

Non ho niente contro i libri che parlano di cose reali, ce n’è anche qualcuno che già dal titolo ispira fiducia: Origine del sistema solare, Storia della Finlandia, Uccelli: ieri e oggi, Mammiferi illustrati.

E ovviamente l’Enciclopedia.

Ce l’abbiamo pure noi, ed è una meraviglia. Non devi stare lì a chiederti ogni volta se quello che c’è scritto è vero o è frutto della fantasia o delle manie di qualche sprovveduto. Qualsiasi pagina apri, eccoti lì rivelati i misteri della vita. Dove migrano gli storni? Che differenza c’è tra uno scimpanzé e un orango? Quanto è stata grande e potente la Svezia in passato e da dove vengono la prosperità, il buonumore e lo spirito solidale dei suoi abitanti? Ogni tanto te ne dimentichi, a forza di viverci vicino, ma puoi sempre andare a controllare sull’Enciclopedia.

Comunque, non c’è libro che ti dica cosa avverrà martedì prossimo, o quando a me e a Paavo ci si scaricheranno le batterie. Cosa succede quando va via la luce? Nella testa, voglio dire. Si apre qualche porta di uscita? E verso dove? Siccome nessuno lo sa, ci sono quelle duemila teorie diverse, le religioni, voglio dire. Tanto per stare sicuri, io credo in tutti gli dèi che predicano nei libri, sui giornali e alla televisione. Be’, tranne quelli che si fanno adorare con un ciuffo di piume in testa e un anello al naso. Paavo invece non crede proprio in nessun dio. Non crede in niente che non vede. Non credeva nemmeno a Onni Suuronen e al suo giro della morte, prima di vederlo. Mi è toccato portarlo in pullman fino a un’altra provincia per vedere Onni guidare la sua moto come un pazzo a una velocità infernale in quel cilindro di legno. “E va be’, esiste, lui esiste”, continuava a ripetere per tutto il viaggio di ritorno, “ma portami a vedere nostro signore Gesù Cristo e Dio suo padre. Su, portami a vederli. Non puoi”, insisteva. E io lì a dirgli, come gli dico da una vita: “Non gridare, che poi ti sentono.”

Vi starete domandando come ho fatto a incontrare questo scrittore, io che non ho nessuna simpatia per quei contaballe. Un puro caso. La vita mi ha messo davanti un sacco di cose che non mi era neanche passato per la testa di cercare. È andata così: Helena, la mia figlia più grande, mi ha invitato da lei a Helsinki. In genere non vado da nessuna parte, ma stavolta ho accettato perché c’era di mezzo una faccenda molto triste.

Era ottobre quando sono scesa nella capitale.

La stazione era quella di Pasila.

Helena abita lì vicino, ma la prima cosa che mi ha detto, appena ci siamo incontrate sul binario, è che non potevamo andare subito a casa, perché lì avrebbe cominciato di nuovo a pensarci, a quella faccenda. Mi ha proposto di fare prima un giro alla Fiera del libro. Non che l’idea mi entusiasmasse, soprattutto quando ho scoperto che oltre ai libri lì c’erano pure quelli che li scrivevano. Ma Helena mi ha pregato e ripregato, e non me la sentivo di ferire i suoi sentimenti. Per inciso chiarisco che Paavo era rimasto a casa perché al momento è muto.

Per la fiera avevano allestito un padiglione enorme. C’erano almeno tre ingressi. Noi siamo entrati da quello principale e abbiamo pagato in tutto ventiquattro euro, per due. Pensavo che nel prezzo fossero inclusi almeno il pranzo e il caffè, ma Helena mi ha spiegato che con quel biglietto non ci avrebbero dato niente da mangiare, ma in compenso un grande nutrimento per lo spirito.

Il posto era nero di gente.

Un vero formicaio.

Chiasso da ogni parte.

Avevano sparso in giro dei grandi palchi con pedane dove facevano salire gli scrittori. Ci siamo fermati davanti a uno con sopra scritto a grandi lettere katri vala. Il nome non mi diceva niente, ma dopo un po’ è arrivata lì una donna che sembrava un’ape regina, si è avvicinata alla pedana e si è messa a svolazzare, ronzare, sviolinare, praticamente a strusciarsi contro lo scrittore che era seduto lì su una sedia. Trillava e gorgheggiava. Inneggiava e lanciava baci. Ci mancava poco che gli saltasse in braccio. Per finire, ha ricordato a tutti lo sconto che c’era sul libro e a quale stand e a quale banchetto quella povera anima avrebbe avuto il piacere di firmare ai lettori il suo capolavoro.

Come spettacolo niente male, ma dopo essere rimaste lì a guardarlo e ascoltarlo per due ore senza neanche un caffè e un cornetto, una comincia a sentire uno spaventoso bisogno di verità che le sale dal cuore. Non che io non abbia mai mentito in vita mia, ma a stampare le mie bugie nero su bianco in un libro, almeno non ci sono arrivata.

Ho convinto Helena a fermarci per un caffè a un piccolo chiosco lungo un grande corridoio. Avevo proprio voglia di confessarle come la pensavo, ma non me la sono sentita. Lei aveva voglia di fumare. Ci hanno indicato una grande porta che dava su un cortile sul retro.

È stato lì che l’ho incontrato, lo scrittore, anche se a prima vista non avrei mai pensato che fosse davvero uno della categoria. Era un tipo qualsiasi, seduto su un cassonetto della ghiaia, che fumava una sigaretta guardandosi intorno nervosamente. Non avrei saputo dargli un’età, comunque più giovane di me, visto che ormai tanto sono tutti più giovani di me. Aveva l’aria di un addetto alla manutenzione, credo che sia per questo che ho pensato di farci una chiacchierata. Quando ho visto che rispondeva alle mie domande con tanta esitazione, ho capito che non era un inserviente. Quella è gente energica, questo sembrava un imbranato.

Helena non apriva bocca. Le mie chiacchiere la imbarazzavano. I figli devono sempre trovare qualcosa di cui vergognarsi nei genitori, non è il caso di prendersela.

Ho detto al tipo che non c’era nessun bisogno di metterla giù dura, lo vedevo benissimo da me che non era un addetto alla manutenzione, e allora? Tanto si poteva raccontare quello che si voleva, visto che era la fiera delle balle. Helena mi ha lanciato un’occhiata di disapprovazione, io a lei di approvazione.

L’uomo non era del tipo loquace, ma che problema c’era per la moglie di un muto? Gli ho detto che, volendo scrivere un libro, comincerei da qualcosa di pratico, raccontando le cose come stanno, non come dovrebbero essere. Potrei benissimo scriverne uno sul lavoro all’uncinetto o su come si fa un tappeto o la solita torta di mele alla cannella, ma a che pro? Ce n’è già più che abbastanza di buoni libri del genere. Un’opera come il Cucchiaio d’argento non ha nessun bisogno di essere riscritta. Io l’ho ereditata dalla mia nonna, ma è ancora tutto vero. Ne ho regalato una copia a ciascuno dei miei figli, perché non fossero mai a corto di minestre e arrosti.

L’uomo annuiva. Era chiaramente uno che sapeva ascoltare. O non aveva niente da dire. Helena mi metteva già fretta per rientrare. La sua sigaretta era ormai un mozzicone. Mi sono ritrovata a dirle di cominciare pure ad andare, che l’avrei raggiunta dopo. Lei mi ha guardato a lungo, come per capire se dicessi sul serio. Io le ho lanciato un’occhiata rassicurante: era tutto a posto, avevo solo voglia di fare due chiacchiere con un perfetto sconosciuto. Mi avrebbe un po’ distratto da quella sua brutta faccenda.

Rimasta sola con lui, mi sono sentita in dovere di presentarmi, non potevo starmene lì così. Un nome, per lo meno, ci connette a qualcosa. Gli ho detto il mio, e lui il suo, che mi è già passato di mente. E gli ho anche precisato che ero una merciaia in pensione. Questo deve averlo incoraggiato, perché mi ha rivelato di essere uno scrittore e ha anche aggiunto subito dopo che stavolta con la fiera non aveva niente a che fare, perché non aveva pubblicato nessun nuovo libro. Mi sono molto meravigliata che si fosse preso la briga di venire, ma lui ha spiegato che aveva ricevuto un biglietto omaggio. Allora gli ho chiesto se non si sentisse un po’ a disagio a trovarsi sul suo posto di lavoro, mentre di fatto era disoccupato. Nessuna risposta.

Ero sul punto di confessargli quel che pensavo degli scrittori e delle storie inventate, ma non mi è più sembrato il caso. Gli ho domandato quando sarebbe uscito il suo prossimo libro, doveva pur averne uno in cantiere. Non mi ha risposto. Si è affrettato ad accendersi un’altra sigaretta. La teneva tra il pollice e l’indice, il che mi ha fatto capire che non doveva essere un fumatore regolare.

Siamo rimasti un po’ senza dir niente. Con Paavo ci ho ormai fatto l’abitudine, ma con uno sconosciuto il silenzio è diverso, quasi assordante.

Ero già sul punto di andarmene, quando l’uomo mi ha domandato che tipo di vita avessi vissuto. Ma vi sembra la domanda che si rivolge a uno sconosciuto? Eppure in quel momento non mi è sembrata così fuori luogo. Ho risposto che ne avevo vissute così tante da non aver avuto quasi il tempo di lavarmi i denti come si deve. Ho cominciato a raccontargliene un po’ di tutti i colori, saltando di palo in frasca, devo avergli anche tirato fuori un paio di parolacce, lasciavo uscire le cose così come venivano, evitando però di entrare troppo nei dettagli.

Lui voleva sapere di più.

Ho detto di no, non avevo intenzione di aggiungere altro, così su due piedi. Non volevo ripetere ancora una volta quell’errore. Un giorno, gli ho spiegato, su una panca d’ospedale, mentre aspettavo i risultati degli esami di Paavo, avevo raccontato la mia vita a un estraneo. Mi ero alleggerita di un peso, certo, ma poi me n’ero molto pentita. Avevo come la sensazione di aver ceduto a un altro un pezzo di me stessa.

È stato a quel punto che lo scrittore mi ha fatto la proposta.

Se gli raccontavo la mia vita, mi avrebbe dato cinquemila euro.

Ho dovuto sedermi.

Mi è venuta paura.

Helena era da qualche parte in mezzo alla folla e io non avevo neanche il cellulare, l’avevo lasciato a Paavo. Nessuno mi aveva mai offerto cinquemila euro, per niente al mondo. Lo scrittore mi ha detto che potevo anche pensarci su un’oretta, e magari consultare mia figlia. Allora gli ho chiesto cosa diavolo avesse in mente di farci, con la mia vita. Mi ha spiegato che non ne aveva una sua, e voleva scrivere un nuovo libro.

Ho avuto ancora più paura. Mi è venuta voglia di dirgli ma dai, tutti hanno una loro vita.

Mi sono alzata. Non potevo pensare a una cosa così assurda da seduta. Il nostro decoratore Alfred Supinen diceva sempre che l’uomo deve riflettere sulle cose importanti stando in piedi, e per le faccende più complicate è ancora meglio fare due passi.

Quell’uomo era chiaramente un pazzo, ma non si può andare a dire a un pazzo che è pazzo. I pazzi non hanno quella conoscenza della natura umana che abbiamo noi altri, che ci rendiamo benissimo conto che di tanto in tanto siamo fuori di testa. Chi è davvero pazzo se ne sta dentro la sua pazzia come una perla nell’ostrica.

Gli ho detto forte e chiaro che non avevo nessuna intenzione di vendere la mia vita, l’unica cosa che possiedo veramente, e quanto a lui, avrebbe dovuto piuttosto scrivere di quello che conosceva meglio, vale a dire la sua, di vita. Lui ha sostenuto che non c’era un bel niente di cui scrivere nella sua vita, non gli era mai successo niente. Ma di cosa aveva scritto fino a quel momento, ho obiettato, se non aveva niente da raccontare e non gli era successo niente. Mi ha spiegato che era perfettamente ammissibile scrivere una decina di libri dal niente, ma non di più.

Non era mica colpa mia, ho pensato, se non aveva niente di cui scrivere. Non poteva scaricare la colpa su di me.

Lo scrittore mi ha fatto notare che con cinquemila euro potevo comprarmi di tutto e di più in questo mondo, con la mia vita ben rilegata compresa nel prezzo.

A quel punto ho dovuto dirglielo che odiavo tutti i romanzi, e la cosa peggiore che potesse capitarmi era che qualcuno reinventasse la mia vita nelle pagine di un libro. E lì è andato letteralmente in solluchero, e ha rivelato che era proprio quello che intendeva fare. Aveva bisogno di una buona vita come fondamento, e poi ci avrebbe costruito sopra il resto, e il risultato finale sarebbe stata una vita ancora migliore di quella reale da cui era partito.

Al diavolo! Ma come, la mia vita messa laggiù in fondo, perché è più brutta di quella inventata? E una vergogna del genere in cambio di cinquemila euro? Di colpo mi è sembrata una cifra maledettamente modesta.

Lo scrittore si è ribellato: fraintendevo proprio tutto! La mia vita non sarebbe affatto scomparsa, sarebbe rimasta lì sotto, un po’ come il terriccio da cui spuntano magnifici fiori. Realtà e finzione si sarebbero intrecciate, e l’insieme sarebbe risultato migliore delle singole parti.

Le sue spiegazioni non facevano che confondere ancora di più il mio povero cervello.

Onde evitare di perdere del tutto la bussola, ho cominciato a pensare ai soldi. Pensare ai soldi fa bene, ti dà un metro di misura. È sbagliato parlarne così male. Ogni tanto è l’unica cosa che ci fa capire quali siano le nostre reali intenzioni.

Gli ho ordinato di tacere mentre riflettevo.

Ho calcolato quante belle cose mi sarei potuta comprare con quella apprezzabile sommetta. Prima di tutto le tende nuove, poi la riparazione della nostra vecchia auto, i mobili da giardino, una pelliccia per l’inverno, e, perché no, pure una vacanza alle terme. Poi ho evitato di rinfacciarmi tutte quelle piacevolezze che mi sono venute in mente prima della cosa più importante, quella che mi opprimeva il cuore.

Di colpo mi è stato tutto chiarissimo. Sapevo esattamente cosa avrei fatto di quel denaro.

E nello stesso istante ho deciso di non farne parola a Helena e Paavo.

Da ex venditrice quale sono, conosco bene il valore dei soldi, e ho capito subito che ero in posizione di forza. Non c’erano altre vite in vendita sul mercato, così ho deciso di alzare il prezzo. E ho rilanciato a settemila euro. Con quella cifra, avevo calcolato, avrei avuto quanto mi serviva per pagare quello che altrimenti non mi sarei mai potuta permettere.

Lo scrittore si è rannuvolato, confessando di avere già venduto tutti i suoi beni per mettere insieme quei cinquemila euro. E alzando le braccia al cielo ha dichiarato che non aveva idea di come racimolare il resto. Ma io sapevo per esperienza che una somma simile si può anche scavarla fuori dalla terra gelata a mani nude, se uno vuole davvero qualcosa con tutto se stesso. Ricordavo bene come Helena avesse passato tre settimane torride a spezzarsi la schiena su un campo di fragole per andare a vedere non so che cencioso cantante a un raduno hippie a Turku.

Ho detto allo scrittore che la mia richiesta era proporzionale a quanto avevo visto e vissuto e che a quel prezzo avrebbe ricevuto una vita veritiera, di indubbio valore commerciale, e di autenticità garantita. Mi sono resa conto che mi ritrovavo a parlare come ai vecchi tempi, quando vendevo fili, aghi e bottoni.

Mi vergognavo un po’ di aver alzato il prezzo, ma senza pentimenti, perché più pensavo alla mia vita, più mi appariva preziosa. Era certo dovuto all’età, e a tutto quello che mi era successo negli ultimi tempi.

A vent’anni, con in tasca il diploma dell’istituto commerciale, mi sarei accontentata di qualche centinaio di euro.

Lo scrittore mi ha accusato di approfittare della sua situazione disperata. Al che gli ho ricordato i nostri rispettivi ruoli. Lui voleva comprare qualcosa che io non avevo nessuna intenzione di vendere. Gli ho anche fatto presente che io della sua situazione non sapevo niente, ma mi sembrava che al mondo ci fossero emergenze più gravi della carenza di vite di uno scrittore. E se gli pareva troppo caro, non aveva che da rivolgersi altrove. Quello era il mio ultimo prezzo, nessun margine di trattativa.

Lo scrittore è ammutolito. Conoscevo per esperienza il processo in corso. Il cliente cerca di prendere tempo. Sa che finirà per comprare, ma non sopporta l’idea di cedere. Odia la venditrice, che non è disposta a trattare per il prodotto di cui lui ha assoluto bisogno. Deve comprarlo, ma non può comprarlo. Lo vuole, ma deve resistere. In situazioni del genere il compito del venditore è aiutare il cliente timoroso ad attraversare il guado senza bagnarsi i piedi. Non ne ho avuto il tempo.

Lo scrittore ha dichiarato che accettava, ma per quei duemila euro in più aveva bisogno di una dilazione di pagamento. Non mi andava di aspettare più di tanto, così gli ho posto una domanda molto personale: “Ma è sicuro di avere davvero venduto tutti i suoi averi? Non è che le è rimasto qualcosina in un cantuccio che non se la sentiva di dare via? Che so, un vecchio cassettone o un vaso di cristallo a bernoccoli di qualche famoso designer?”

Lo scrittore ha giurato di non avere più niente che valesse duemila euro, ma forse il suo editore poteva concedergli un anticipo sul prossimo libro, se il soggetto gli pareva interessante.

Ho accettato la dilazione, e ci siamo accordati sulla parola per il versamento dei cinquemila. Gli ho dato la mano. Me l’ha stretta con fermezza. E ho appena fatto in tempo a ritirarla che è ricomparsa Helena.

Mi sentivo in colpa, come se avessi fatto qualcosa di male, mentre avevo appena concluso un accordo di cui sarebbe stata lei la beneficiaria. Mi ha chiesto cosa diavolo ci facevo ancora lì fuori da più di mezz’ora, era arrivata a pensare di tutto. Ero tentata di dirle guarda che ho appena fatto un grosso affare solo per il tuo bene, ma mi sono limitata a un pensa un po’ come vola il tempo, giusto due chiacchiere con questo artigiano sulla ristrutturazione della nostra scala a casa, quante volte ne abbiamo parlato. E ho lanciato all’uomo un’occhiata che diceva acqua in bocca sul nostro patto.

Helena ha cercato di trascinarmi dentro, ma le ho detto che l’avrei raggiunta in due minuti. Mi ha chiesto cosa dovessi fare in quei due minuti. Quel carpentiere lì davanti a me era di un paesino vicino al nostro, le ho spiegato, e avevamo ancora da definire i dettagli dei lavori da fare.

Helena ha detto che mi avrebbe aspettato davanti allo spazio Mikael Agricola.

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Alla prossima settimana!  Sorriso