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Murakami UominiSenzaDonne

Come anticipato in un recente post, eccomi a parlarvi dell’ultima opera del grandissimo scrittore giapponese Murakami Haruki. Confesso che ho acquistato questo libro, subdolamente incellofanato dall’editore Einaudi, a scatola chiusa, cioè senza prima sfogliarlo o leggere la quarta di copertina. Una volta arrivato a casa l’ho aperto e mi sono accorto che non si trattava di un romanzo (genere che preferisco in assoluto) ma di una raccolta di sette lunghi racconti.

Un pochino deluso ho iniziato a leggere di malavoglia il libro: ultimamente, infatti, i racconti mi annoiano anche se io stesso all’inizio della mia breve (seppur onorata) carriera di anziano e artigianale prosatore ne ho scritti diversi e con intima soddisfazione.

Questa sensazione, però, è durata il tempo di leggere due pagine del primo dei racconti: Drive my car. Subito sono stato catturato dall’atmosfera che Murakami in poche righe riesce a creare con la sua prosa tanto essenziale quanto profonda.

Sta di fatto che sono riuscito a chiudere il libro solo dopo averlo – letteralmente – mangiato, masticato e bevuto tutto senza tirare il fiato.  Ogni racconto è diverso dall’altro per quanto riguarda personaggi e ambientazione ma con lo stesso chiaro intento di dimostrare come possono reagire gli uomini senza donne, donne spesso traditrici, ogni volta donatrici di affetto vero e consolatorio con il loro corpo, offerto gratuitamente ma quasi mai in forma duratura.

Ovvio che Murakami parla non in generale ma solo del mondo che conosce, un Giappone moderno dove la tristezza, la solitudine e la tendenza al suicidio sono parte integrante della cultura di una popolazione seriosa, incapace di godere appieno dei piaceri della vita (un lavoro soddisfacente, dell’ottimo cibo, il sesso senza problemi moralistici) e che non sa immagazzinare tutta la positività di un rapporto uomo-donna per affrontare in pace la vecchiaia.

Cosa fanno di bello/brutto gli uomini senza le donne? Come passano le loro giornate? Sono tristi, sono allegri? Insomma è possibile per un uomo impostare la propria vita prescindendo dalle donne? Con questa raccolta di racconti, Murakami cerca di dare una risposta a questi importanti quesiti, ragionando con la sua mentalità di uomo giapponese dei nostri tempi. Ovvio che non vi rivelerò le sue risposte: a voi il piacere o il dispiacere di apprendere, siate voi uomini o donne che leggerete il libro, il comportamento di sette diversi esemplari maschili di fronte a una particolare situazione di disagio.

I titoli dei racconti sono:

  1. Drive my car
  2. Yesterday
  3. Organo indipendente
  4. Sharazad
  5. Kino
  6. Samsa innamorato
  7. Uomini senza donne

Per terminare, vi trascrivo un breve paragrafo tratto dal racconto Organo indipendente:

“C’è una cosa che ricordo bene, riguardo al dottor Tokai. Ora non rammento perché fossimo venuti a parlare di quest’argomento, ma una volta lui mi espose la sua opinione sulle donne in genere.

Era sua convinzione personale che ogni donna nascesse dotata di un organo speciale, un organo per così dire indipendente, che le permetteva di dire bugie. Quali bugie, in quali circostanze e in quale modo, dipendeva da una donna all’altra, con piccole variazioni. Ma tutte a un certo punto mentivano, senza esitazioni. Sia su dettagli di poco conto, sia su cose gravi. In quei momenti la loro espressione, il loro tono di voce, non si alteravano. Perché non erano loro, le donne in questione, ad agire, ma l’organo indipendente. Ragion per cui non succedeva mai che la consapevolezza di mentire turbasse la loro coscienza o impedisse loro di dormire serenamente – a parte alcuni casi eccezionali.”

Care amiche e cari amici, siete d’accordo con l’opinione del dottor Tokai? Sorriso

Arrivederci alla prossima settimana.

Nicola

 

NicPerùR

Puntuale come un orologio svizzero, alla fine di un lungo riposo estivo, eccomi di nuovo qui nel mio amato blog per riprendere, con tutte le amiche e gli amici che mi hanno seguito in passato, il colloquio interrotto alcuni mesi fa. Il terribile caldo che ha imperversato sul nostro paese finalmente è finito e il mio cervello (quei due neuroni che mi sono rimasti) ha ripreso a funzionare quel tanto da permettermi di raccontarvi ciò che ho fatto durante la mia assenza dalla Rete.

Essenzialmente ho cercato di rimettermi in salute ma non sono stato sempre fermo nella mia casa di campagna. Ho fatto una breve puntata in montagna a Pinzolo e un’altrettanta toccata e fuga al mare di Rapallo sempre in compagnia di cari amici: qualche scarpinata su sentieri ombreggiati o tutti al sole, alcuni bagni in acqua salata e un po’ di piscina in campagna, giusto per sopravvivere alla calura di questa torrida estate.

In questi mesi ho letto 3 soli libri: La conquista del Perù di W.H. Prescott, Storia della bambina perduta di Elena Ferrante e Uomini senza donne di Murakami Haruki.

Il primo l’ho affrontato per documentarmi sulla storia degli Inca (scoperti e brutalmente sottomessi dagli spagnoli nella prima metà del quindicesimo secolo) per potere incontrare con un minimo di informazioni in testa i loro attuali e simpaticissimi discendenti  nel mio recentissimo viaggio in Perù. Il libro in questione è una rarità: pubblicato nel 1847 nella New England (Stati Uniti), tradotto in italiano e stampato nel 1959 dalla Editrice Le Maschere, l’ho trovato nella fornitissima biblioteca dei miei defunti suoceri. Oggi quest’impegnativo e interessante tomo, ristampato qualche anno fa da Newton Compton, non è più reperibile nella nostra lingua. Esiste, però, ancora in inglese e si può ordinare su Hoepli.it, la grande libreria on line.

Il secondo l’ho letto per curiosità: il fatto che l’autrice (o l’autore) fosse un nom de plume e, tra l’altro, fosse nella rosa dei probabili vincitori del premio Strega, mi ha spinto ad acquistare l’ultimo volume della quadrilogia. Nel seguito del post ve ne parlerò diffusamente.

Il terzo, essendo io un appassionato cultore di Murakami Haruki, non potevo assolutamente perderlo: leggere quei sei pregnanti racconti mi ha ulteriormente confermato che questo scrittore giapponese è uno dei più grandi autori di questo secolo. Vi consiglio, perciò, di acquistare Uomini senza donne! 

Dunque, quest’estate ho letto poco. In verità, non sono stato il solito fancazzista: gran parte del tempo libero l’ho dedicato all’ideazione e alla preparazione del mio secondo libro a fumetti (il primo, come ben sapete, è quello con protagonista Il Signor Giacomo che ha dato il titolo al presente blog). In questa nuova pubblicazione (ora in vendita su Amazon) racconto graficamente 100 avventure di Betta e del suo papà bellissimo. Coloro che mi seguono con assiduità conoscono già questa terribile/spiritosa ragazzina: infatti le prime 14 strisce sono visibili nei due post pubblicati prima della parentesi estiva. Comunque, la prossima settimana vi racconterò vita morte e miracoli di questo nuovo personaggio.

Adesso, invece, ecco alcune osservazioni sull’ultimo libro di Elena Ferrante:

FerranteStoriaBambinaPerduta

 

Dico subito che ho letto velocemente questo romanzo e mi è persino dispiaciuto che sia terminato lasciando insoluti due misteri. Aggiungo che è scritto benissimo e con un ritmo tale da far perdonare alcune ripetizioni necessarie per chi, come me, non aveva letto le prime tre parti della storia dell’amicizia tra due donne durata, fra liti e riappacificazioni, un’intera vita. I personaggi sono ben delineati e caratterizzati con maestria.

Premesso ciò, a questo punto dovrei esprimere un giudizio positivo sul libro che narra la maturità e la vecchiaia delle due protagoniste: Elena, la scrittrice e Lila, la sua amica geniale. Purtroppo non è così.

Se vado a considerare azioni e pensieri delle due donne e di tutti gli altri personaggi della saga che si svolge in una Napoli degradata e povera dove, per sopravvivere, molti sono costretti a compiere fatti e misfatti di ogni genere, sono costretto a dire che il libro mi ha deluso e amareggiato. Nessuno dei personaggi, comprese le due protagoniste principali, si salva da un giudizio morale estremamente negativo.

Le donne passano con scarso o nullo pentimento da un letto a un altro e lo stesso dicasi degli uomini: essere sposati o meno non fa alcuna differenza. Il sesso in un ambiente di sinistra (estrema, in taluni casi, fortemente critica verso lo stato e le istituzioni) dove interagiscono gli attori della storia è decisamente libero e viene considerato alla stregua di merce di scambio per ottenere vantaggi economici e posizioni privilegiate nella società. Il concetto di famiglia tradizionale, a cui io sono ancora legato, è completamente stravolto: i figli generati in questo bailamme di relazioni più o meno clandestine vengono spesso e volentieri lasciati in mano a nonni, suoceri, ex suoceri, ex mariti, amici che, bontà loro o obtorto collo, se ne prendono cura, salvo poi essere costretti a leggere disquisizioni filosofiche sui migliori metodi per educare la prole. Tutto questo comportamento “libero” è giustificato dal fatto di potersi “realizzare” nelle rispettive professioni. Bell’esempio di società da presentare ai lettori!

Elena e Lila sono due personaggi molto complessi ma decisamente riusciti, ma, a causa della loro scarsa moralità, non sono riuscito ad amarli, pur non essendo io un bacchettone. Nel quartiere degradato di Napoli, sfondo principe del romanzo, si finisce per giustificare tutto e il contrario di tutto, fino a proteggere la fuga e la latitanza di un terrorista rosso pluriomicida, e a guardare quasi con benevolenza la sua fermezza quando, catturato dalle forze dell’ordine, non esprimerà mai una parola di pentimento per tutto ciò che ha compiuto combattendo con le armi lo Stato, mentre la sua compagna di vita (che in prigione collaborerà con la magistratura) verrà considerata una bieca traditrice della causa anarco-marxista professata da entrambi in passato.

Non mi esercito a raccontarvi la trama di questo quarto volume non solo perché i personaggi e gli intrecci famigliari sono un vero zibaldone (all’inizio del quarto volume per fortuna c’è l’elenco delle famiglie, dei mariti, degli amanti, degli ex mariti e di altri personaggi coinvolti nei tre precedenti capitoli della saga, alcuni dei quali già morti, finiscono per essere solo un coro alle avventure/disavventure delle due amiche.

Ciò detto, capisco che parecchi altri lettori, non avendo le mie idiosincrasie politiche-moralistiche, possano amare questa complessa saga e possano considerare Elena Ferrante una grande scrittrice, essendo lei riuscita, con indiscutibile bravura, a creare una trama corposa piena di colpi di scena e mai noiosa.

L’ultima considerazione, tutta personale, che mi sento in dovere di fare è la convinzione che a scrivere questo ponderoso, approfondito affresco della Napoli dal dopoguerra fino ai nostri giorni, non è stata una sola donna ma un gruppo affiatato di scrittori (uomini e donne), nati e vissuti a Napoli, i quali hanno riunito le loro indubbie competenze e conoscenze della città per creare una saga tutta di sinistra e che hanno usato il nom de plume “Elena Ferrante” per raccontarla in italiano a un pubblico in grado di apprezzarla senza condizionamenti di alcun genere.

Sbaglierò, ma io la penso così.

Nicola

Chi segue il mio blog sa che sono un fan sfegatato di Murakami Haruki, perciò non si sorprenderà se di tanto in tanto propino una recensione di un suo libro o pubblico uno dei tanti racconti che ha scritto… Questa volta, tratto da “L’elefante scomparso e altri racconti” – Einaudi ET Euro 12,50, ospito un breve ma intenso brano dal titolo lunghissimo che dovrebbe invogliarvi ad approfondire la conoscenza di questo famoso scrittore giapponese in sentore di premio Nobel della letteratura…

Buona lettura.

Nicola

Vedendo una ragazza perfetta al 100% in una bella mattina di aprile

di Murakami Haruki

Ragazza-per-la-strada

In una bella mattina di aprile, in una via laterale del quartiere di Harajuku, sono passato accanto a una ragazza perfetta, al 100%.

Non era una gran bellezza. E nemmeno di un’eleganza strepitosa. I capelli dietro la testa le avevano preso una brutta piega dormendo, e doveva essere vicina alla trentina. Eppure già a cinquanta metri di distanza avevo capito che era la ragazza perfetta per me. Dal momento in cui la vidi il cuore prese a battermi all’impazzata e l’interno della bocca mi divenne secco come la sabbia del deserto.

Forse anche a voi piace un tipo particolare di ragazza. Quelle che hanno le caviglie sottili, per esempio, o dei grandi occhi, o delle belle mani…, non so, magari vi attirano quelle che amano mangiare con calma, lentamente, o qualche altra caratteristica del genere. Ovviamente ho anch’io il mio tipo. Mi è già successo di andare al ristorante e restare affascinato dal naso della ragazza che sedeva alla tavola accanto.

Nessuno però può dire come dev’essere quella perfetta al 100%. Prendiamo la ragazza di quel mattino, non ricordo neppure che forma avesse il suo naso. Anzi, non ricordo neppure se avesse un naso. Tutto quello che ricordo è che non era una gran bellezza. Molto strano, vero?

— Ieri sono passato accanto alla ragazza perfetta al 100%, — dico a uno.

— Ah si? — mi risponde lui. — Era molto bella?

— No, non direi.

— Allora era proprio il tuo tipo?

— Non mi ricordo. Ho dimenticato tutto, che forma avessero i suoi occhi, se avesse molto seno o no…

— Strano.

— In effetti.

— Allora cos’hai fatto? — continua lui con aria annoiata. — Le hai parlato, l’hai seguita?

— Non ho fatto nulla, — rispondo io. — Le sono semplicemente passato accanto.

Lei camminava da est a ovest, io da ovest a est. In una mattina di aprile veramente piacevole.

Avrei voluto parlarle, anche soltanto per una mezz’oretta. Chiederle di lei, raccontarle di me. E soprattutto spiegarle le complicate combinazioni del destino che avevano fatto sì che noi due passassimo uno accanto all’altra in una strada laterale di Harajuku in una bella mattina di aprile del 1981. Di sicuro tutto ciò era denso di caldi segreti, come un antico meccanismo costruito in tempi di pace.

Dopo aver parlato di queste belle cose, avremmo potuto pranzare insieme, andare a vedere un film di Woody Allen, fermarci al bar di qualche albergo a bere qualcosa. E con un po’ di fortuna, magari finire insieme in un letto.

Una tale possibilità bussava alla porta del mio cuore.

La distanza tra lei e me si era ridotta a quindici metri.
«Bene, adesso le rivolgo la parola, — ho pensato. — Ma cosa le dico?»

«Buongiorno. Posso parlarle un momento, per favore? Mi bastano trenta secondi».

Assurdo. Mi avrebbe preso per un rappresentante di una compagnia di assicurazioni.

«Mi scusi, sa se c’è una tintoria aperta ventiquattr’ore su ventiquattro, da queste parti?»

Ancora peggio. Tanto per cominciare, non avevo neanche la borsa con la roba sporca!

Che fosse meglio dirle subito tutta la verità?

«Buongiorno. Lei per me è la ragazza perfetta al 100%».

Non mi avrebbe mai creduto. E anche supponendo il contrario, era probabile che non avesse nessuna voglia di parlare con me. «Io per lei sarò pure la ragazza perfetta, ma lei per me non è affatto l’uomo perfetto», mi avrebbe risposto. In tal caso, mi sarei sentito perduto, ne sono certo. Ormai ho trentadue anni, tutto sommato invecchiare significa proprio questo.

Le sono passato di fianco davanti a un negozio di fiori. Un lieve spostamento d’aria tiepida mi ha accarezzato la pelle. Il marciapiede d’asfalto era bagnato d’acqua, ho sentito un profumo di rose. Non le ho rivolto la parola, non ce l’ho fatta. Lei indossava una maglia bianca, e nella mano destra teneva una busta bianca alla quale mancava il francobollo. Una lettera per qualcuno. A giudicare dagli occhi terribilmente assonnati, poteva darsi che avesse passato la notte a scriverla. Poteva darsi che quella busta contenesse tutti i suoi segreti.

Ho fatto pochi passi e quando mi sono voltato la sua figura era già scomparsa tra la folla.

Naturalmente adesso so benissimo in che modo avrei dovuto abbordarla, quella volta. Ma comunque sarebbe stato un discorso troppo lungo, non avrebbe funzionato. Le idee che mi vengono in mente non sono mai molto pratiche.

Ad ogni modo quel discorso cominciava con «c’era una volta…» e finiva con «non pensa che sia una storia molto triste?»


***

C’erano una volta in un posto lontano un ragazzo e una ragazza. Il ragazzo aveva diciotto anni, la ragazza sedici. Né l’uno né l’altra potevano dirsi molto belli, erano soltanto due ragazzi normali e solitari come ce ne sono ovunque. Però erano fermamente convinti che da qualche parte al mondo esistessero la ragazza e il ragazzo perfetti per loro, al 100%.

Un giorno camminando per la strada si trovarono faccia a faccia.

— Che sorpresa, ti ho cercata dappertutto, — disse il ragazzo alla ragazza. — Forse non mi crederai, ma tu per me sei la ragazza perfetta al 100%.

— Anche tu per me sei il ragazzo perfetto al 100%, — disse la ragazza. — Sei esattamente come ti immaginavo, in tutto e per tutto, mi sembra di sognare.

I due sedettero su una panchina nel parco, e parlarono, parlarono, senza stufarsi mai. Non si sentivano più soli. Trovare il compagno, la compagna perfetta, ed essere a propria volta trovati da lui, da lei, che cosa meravigliosa!

Nel cuore però nutrivano un piccolo, piccolissimo dubbio. Era giusto che un sogno si realizzasse così facilmente?

— Senti, facciamo un’altra prova, — disse allora il ragazzo in una pausa della conversazione. — Se siamo veramente perfetti al 100% l’uno per l’altra, di sicuro un giorno ci incontreremo di nuovo da qualche parte. E quando ci rincontreremo, se ci troveremo ancora perfetti al 100%, ci sposeremo subito, lì sul posto. Sei d’accordo?

— Sì, sono d’accordo. — rispose la ragazza.

Così i due si separarono.

Invece non c’era nessun bisogno di fare un’altra prova. Erano assolutamente perfetti l’uno per l’altra, al 100%. Ma le onde inevitabili del destino si presero gioco di loro.

Un inverno, entrambi si buscarono una brutta influenza che imperversava quell’anno, e dopo essere rimasti per molte settimane tra la vita e la morte, al risveglio avevano dimenticato completamente il proprio passato. Le loro teste erano vuote come il salvadanaio del giovane D. H. Lawrence.

Siccome però erano due ragazzi intelligenti e perseveranti, a costo di molti sforzi acquisirono una nuova coscienza e nuove capacità emotive, e tornarono a fare magnificamente parte della società. Furono di nuovo in grado di prendere la metropolitana, di cambiare linea, di andare alla posta per spedire una raccomandata. E sperimentarono di nuovo l’amore, al 75 o all’80%.

Intanto il ragazzo aveva compiuto trentadue anni, la ragazza trenta. Il tempo era passato a una velocità strabiliante.

Poi, in una bella mattina di aprile, lui stava camminando in una via laterale di Harajuku, da ovest a est, per fare colazione al bar, mentre lei percorreva la stessa strada da est a ovest per spedire una raccomandata. Si incrociarono a metà strada. Per un attimo un barlume dei vecchi ricordi illuminò i loro cuori.

«E la ragazza perfetta per me, al 100%», si disse lui.

«E il ragazzo perfetto per me, al 100%», si disse lei.

La luce dei loro ricordi però era troppo debole, le loro parole non erano chiare come quattordici anni prima. Si passarono accanto senza parlarsi, e scomparvero tra la folla in direzioni opposte.

Non pensa che sia una storia molto triste?


È così che avrei dovuto parlarle.

1Q84

Copyright © 2011 by Einaudi Editore – Euro 20,00 – pag. 718

Con questo libro, Murakami Haruki ha fatto un grosso regalo ai suoi lettori: al prezzo di uno ci ha donato due romanzi. Due romanzi in uno, un romanzo diviso in due diverse storie, Libro 1 e 2 (aprile-settembre): Chiaro?

No?

Vabbé, capirete meglio leggendo il seguito del post.

Il titolo 1Q84 (strano anziché no) si legge così: mille-qu-ottantaquattro. La Q, inserita tra i numeri 1 e 84, sta per Question mark, punto interrogativo in inglese, oppure può leggersi come il numero 9 (kyuu) in giapponese. Ciò significa che non siamo nell’anno 1984 ma in un anno parallelo e misterioso dove in cielo, di notte, appaiono due lune. La prima luna è quella solita che conosciamo tutti, l’altra, più piccola e grigia, la vedono solo i due protagonisti della storia, Aoname e Tengo. Molti critici hanno visto nel titolo del libro un omaggio a George Orwell.

Aoname è una donna killer sui generis (verrebbe da dire “un buon killer”) perché uccide solo uomini cattivi, uomini che hanno fatto del male a bambine o donne. Tengo è un giovane laureato che insegna matematica a studenti che devono superare l’esame d’ingresso all’Università e, nel tempo libero, scrive racconti e romanzi che gli vengono regolarmente rifiutati dalle case editrici. Non perché siano brutti o scritti male, ma solo perché a loro manca quel pizzico di genialità che gli editori pretendono per trasformare, gratuitamente, un manoscritto in un libro in grado di aspirare al successo. Tengo, però, non è un tipo che si deprime per così poco. Filosoficamente accetta il giudizio del suo editor di riferimento e, rifiutato un romanzo, comincia a scriverne subito un altro, facendo tesoro delle critiche ricevute.

Chissà se i quaranta e passa milioni di italiani che scrivono brutti romanzi, regolarmente rifiutati dalle case editrici, (tra questi mi ci metto anch’io) sono capaci di ragionare come Tengo… Secondo me, no. Noi che scriviamo abbiamo tutti un alto concetto di noi stessi. Al 99,9% sosteniamo che gli editori non capiscono un tubo di letteratura, quella vera, quella grande e che, per vendere e guadagnarci sopra, costoro pubblicano solo porcherie scritte da attori, escort, comici, gente che per qualche ragione ha avuto cinque minuti di notorietà in tv o al cinema. Sarà poi vero questo nostro pensiero? O forse sarebbe più onesto ammettere che la maggior parte di noi farebbe miglior figura lasciando i propri capolavori chiusi a chiave nel cassetto? Ok, oggi non voglio innescare polemiche e perciò chiudo subito la parentesi e torno a 1Q84.

Tengo, un bel giorno, viene chiamato dal suo amico editor Komatsu che gli propone di rivedere il manoscritto di Fukaeri, una giovane scrittrice che ha avuto l’idea geniale che ancora manca a Tengo, ma che, al contrario di lui, non ha le basi grammaticali e sintattiche per dare una giusta forma al suo romanzo. Pur sapendo che ciò che sta per compiere è un’azione disonesta, Tengo accetterà di fare il gost-writer di Fukaeri perché La crisalide d’aria, il romanzo di quella scrittrice alle prime armi, gli è piaciuto tantissimo e sarebbe un peccato mortale non farlo partecipare al più importante concorso giapponese dedicato agli esordienti. Il romanzo, dopo l’intervento di Tengo, vincerà il primo premio e diventerà in pochi mesi il best seller dell’anno. A questo punto cominciano i guai per Fukaeri, Tengo e Tomatsu. Ma non vi svelerò altro.

Aoname è una bellissima ragazza che, oltre a insegnare ginnastica in una palestra, sa come fare rilassare i muscoli delle persone stressate o malate, ridando ai suoi pazienti mobilità e benessere. Nel tempo libero, invece, è una spietata killer. Con una particolare tecnica di sua invenzione che non lascia tracce compromettenti, uccide uomini malvagi su ordinazione di Shizue Ogata, una ricca vedova che abita nella Casa dei Salici e svolge attività di protezione nei confronti di donne violentate.

1Q84 procede a capitoli rigorosamente alternati, uno con protagonista Aoname e l’altro con protagonista Tengo. Due storie parallele che, ovviamente, solo alla fine si congiungeranno. Non vi dico come, non per cattiveria ma per lasciare a voi il piacere di scoprire in che modo.

Questo libro potrà apprezzarlo chi ama le storie trilling, condite con un pizzico di quegli elementi magici di cui Murakami è maestro e troverà in Aoname la perfetta interprete del genere.

Piacerà anche a chi ha velleità letterarie: in 1Q84 viene infatti disvelato il mondo dell’editoria e degli editor che manipolano e decidono delle sorti di uno scrittore. Ma la parte dedicata a Tengo non è solo questo. Anche qui c’è mistero, fantasy e intrigo.

Man mano che si procede nella lettura verrà spontaneo chiedersi come Aoname e Tengo faranno a incontrarsi e se mai s’incontreranno, cioè nascerà il desiderio di sapere quando e come i libri 1 e 2 si fonderanno in uno solo. Me lo sono chiesto anch’io e la soluzione adottata da Murakami non mi è dispiaciuta. Tutto avviene avendo come sottofondo musicale La sinfonietta di Janáček, un brano che aleggerà spesso e volentieri su tutte le pagine del romanzo.

Dunque 1Q84 è un libro che consiglio vivamente a tutti coloro che, oltre al piacere di leggere un testo profondo (ammiratori di Fabio Volo, astenersi!), sanno apprezzare anche la geniale inventiva di uno dei più grandi scrittori del nostro tempo. Naturalmente il mio è un giudizio partigiano: ormai lo sanno tutti che adoro Murakami Haruki.

Al posto delle tante citazioni che si potrebbero estrarre a iosa da questo lungo romanzo, vorrei che leggeste con spirito critico questo brano che riveste un’importanza strategica per la comprensione finale di 1Q84: “Il paese dei gatti” (pagine 493-496).

Pagina 1

Pagina 2

Pagina 3

 

Su Internet ho letto che è già uscito in Giappone e in Francia 1Q84 – Libro 3. Non vedo l’ora che esca la traduzione italiana, sono curioso di sapere quale altro coniglio Murakami tirerà fuori dal suo fornitissimo cilindro.

Nicola

Dance clip_image003

  Edizione ET Scrittori, Euro 13,50

Eccomi qui, con grande piacere, a parlarvi di questo libro di Murakami Haruki che ho finito di leggere ieri a notte fonda. Il romanzo parte con lentezza (infatti pagine e pagine sono spese per raccontare la noia esistenziale del protagonista, un giornalista free lance che vive con insofferenza il lavoro che gli dà da vivere) ma poi prende il volo e ti cattura così tanto che non vorresti smettere di leggere finché non sei arrivato alla fine. Sta tutta qui la bravura di Murakami, un autore giapponese che sto apprezzando così tanto da essermi procurato quasi tutte le sue opere.

Quello che segue è l’elenco completo, a oggi, dei suoi scritti tradotti in italiano da Giorgio Amitrano.

Romanzi:

· Nel segno della pecora 1982

· La fine del mondo e il paese delle meraviglie1985

· Norwegian Wood (Tokyo Blues) 1987

· Dance Dance Dance 1988

· A sud del confine, a ovest del sole1992

· L’uccello che girava le Viti del Mondo 19941995  (vedi la mia recensione di qualche tempo fa: https://nictrecinque42.wordpress.com/2011/06/30/luccello-che-girava-le-viti-del-mondo/)

· La ragazza dello Sputnik1999

· Kafka sulla spiaggia 2002

· After Dark2004

· 1Q84 (Libro 1 e 2 – Aprile – Settembre) – 2009

Racconti:

· Tutti i figli di Dio danzano

· I salici ciechi e la donna addormentata

Ho segnato in rosso quelli che ho comprato e già letto. A Natale mi regalerò (o meglio, mi farò regalare) quelli che mi mancano per completare la raccolta.

Murakami Haruki è uno scrittore a tutto tondo perché si è cimentato in varie tipologie di romanzo, passando con grande disinvoltura dalla classica storia d’amore di Norwegian Woods al mystery di L’uccello che girava tutte le viti del mondo, al magico e psicologico Kafka sulla spiaggia e al noir di Dance Dance Dance. In ogni suo libro ci si affeziona ai personaggi e si fa fatica a staccarsi dalla vicenda narrata perché è grande il coinvolgimento emotivo che lui riesce a procurare al lettore.

Il suo repentino saltabeccare fra realtà e irrealtà regala momenti di alta tensione difficili da dimenticare. I suoi viaggi nel mondo dell’inconscio, dei sogni o degli incubi sono quanto di più realistico io abbia mai letto. In Dance Dance Dance questi viaggi sono accompagnati da un sottofondo musicale di tutto rispetto, da vero conoscitore di musica classica e leggera (Vivaldi, Mozart, Human League, Fleetwood Mac, Abba, Bee Gees ecc…). La vicenda di questo romanzo che si svolge all’inizio degli anni ’80 tra Sapporo, Tokyo e le Hawaii, è complessa, difficile da raccontare in poche parole. Preferisco che sia il lettore a immergersi dentro e a cercare di raccapezzarsi seguendo il proprio intuito. Il protagonista (pensate, non ha nemmeno un nome!) è un giornalista strano, vive e agisce fuori dai normali schemi imposti dalla società, incontra persone, è testimone di fatti che seguono un filo logico (i cosiddetti “collegamenti” tra reale e irreale) che spesso si spezza per poi ricongiungersi e spezzarsi di nuovo, fino al momento clou della storia. Pochi, ma tutti importanti, i personaggi comprimari: Kiki e Mei, prostitute d’alto bordo, Yuki, ragazzina tredicenne di grande bellezza, spesso dimenticata in qualche albergo da Makimura e Ame, genitori divorziati e sempre in altre faccende affaccendati, Gotanda attore di successo e dal fascino irresistibile ma oberato dai debiti, Dick North, poeta senza un braccio, Yumiyoshi, sexy receptionist nel misterioso Hotel Delphin di Sapporo di cui il nostro giornalista s’innamora, l’uomo pecora e, infine, il Letterato e il Pescatore, due poliziotti dal soprannome curioso.

Giusi Meister, un’attenta lettrice ha scritto su Internet questo post:

Commentare un libro di Murakami Haruki è quasi una necessità perché le sue storie si depositano nell’anima e lì, da quest’humus, crescono cose. Cose strane. Strani gli occhi. Strane le facce. Strane le situazioni. Eppure le cornici in cui i nostri sogni cominciano a muoversi sono assolutamente normali. Proprio come nei libri di Haruki. Eppure. Eppure no. C’è una frattura nel mondo, e da quella frattura stilla un liquido che, assorbito, cambia la percezione di quel che ci circonda. I libri di Haruki sono fratture, pezzi che vanno fuori posto, puzzle che non ne vogliono sapere di rispondere alle regole del Reale. E allora ascensori, pozzi, stanze, si trasformano in atanor(*) in cui la materia si scompone e ricompone secondo una legge diversa. Quella della Vita.

Oltre quella frattura nel muro si intravede una luce. La promessa di una vita diversa, che si potrà ottenere al prezzo di ballare, ballare sempre, ballare meglio di tutti. Una danza circolare, che è anche un ritorno a se stessi. A un sé nascosto, profondo, oscuro, coperto e soffocato dalle convenzioni, dalle regole, Un sé che preme per spingere e uscire. Bucare la crosta.

I protagonisti di Murakami Haruki sono "strani" perché hanno visto la frattura nell’Ordine, e hanno ubbidito al loro istinto profondo, all’invito dell’Uomo Pecora. A quell’entità che li ricollega a un passato ancestrale, primordiale. Dimenticato. Il premio è l’amore. Un corpo di donna vicino a cui dormire. Una schiena bianca da adorare. Bellezza e orrore. Incubo e inquietudini. Più reali del reale.

Come sempre, vi presento alcune “chicche” estratte qua e là da Dance Dance Dance, giusto per regalarvi un piccolo assaggio dell’arte di Murakami.

Questa volta si trattava di un servizio sui migliori ristoranti di Hakodate per una rivista femminile. Io e un fotografo dovevamo girare per un certo numero di locali: io scrivevo il testo e lui scattava le foto. Cinque pagine in tutto. Le riviste femminili richiedono articoli del genere, e ci deve pur essere qualcuno che li scrive. È come raccogliere la spazzatura, o spalare la neve. Qualcuno deve pur fare queste cose, che gli piaccia o no. Erano tre anni e mezzo che facevo lavori di questo tipo. Spalavo la neve in nome della cultura.

“Da me ci sono due porte, una per entrare e una per uscire. Rigorosamente divise. Dalla porta d’ingresso non si può uscire, e da quella di uscita non si può entrare. Tutti seguono questa regola. Possono variare le modalità, ma tutti finiscono per andare via. C’è chi è andato via per sperimentare nuove possibilità, chi per risparmiare tempo. Qualcuno è morto. Fatto sta che non è rimasto nessuno. Tranne me, unico superstite. La loro assenza è sempre con me. Le loro parole, i loro respiri, i motivi canticchiati a bassa voce, aleggiano come polvere negli angoli di casa mia.”

"Ma cosa devo fare allora?"

"Danzare – rispose – continuare a danzare, finché ci sarà musica. Capisci quello che ti sto dicendo? Devi danzare. Danzare senza mai fermarti. Non devi chiederti perché. Non devi pensare a cosa significa. Il significato non importa, non c’entra. Se ti metti a pensare a queste cose, i tuoi piedi si bloccheranno. E una volta che saranno bloccati, io non potrò più fare niente per te. Tutti i tuoi collegamenti si interromperanno. Finiranno per sempre. E tu potrai vivere solo in questo mondo. Ne sarai progressivamente risucchiato. Perciò i tuoi piedi non dovranno mai fermarsi."

Una piacevole serata di primavera come tante altre. Il cielo del crepuscolo si faceva gradualmente più denso, come se un pennello trasparente continuasse ad aggiungervi del blu, una pennellata dopo l’altra.

Dalla sua sigaretta lasciata nel portacenere si levava un filo di fumo. Il fumo continuava a levarsi verso l’alto, poi si disperdeva fondendosi con il silenzio.

Dopo un attenta lettura di questi brevi esempi non si può che dare ragione a chi ha scritto che “Dance Dance Dance va bevuto tutto d’un sorso. Senza riprendere fiato.”

Per finire, ecco il mio consiglio spassionato: questo è un libro assolutamente da comprare o da farsi regalare perché può accontentare lettori dai palati più diversi: dentro c’è mistero, c’è realtà, c’è una storia d’amore, c’è musica, ed è scritto con i controfiocchi.

Cosa volete di più?

Nicola

Nota Bibliografica (reperita su Internet)

(*)Atanor: Termine derivato dall’ebraico ha-tannut, fornace. Talvolta scritto Athanor, venne adottato dal filosofo spagnolo Raimondo Lullo, che lo fa derivare da adanayoz, immortale, e poi da vari altri alchimisti, per indicare il fornello a fuoco continuo in cui le sostanze che si dovevano fondere erano racchiuse in un recipiente a forma d’uovo, entro il quale tentavano di produrre la pietra filosofale. Nella simbologia alchemica la materia chiusa nell’uovo è la materia umana prima della palingenesi, la chiusura ermetica è l’isolamento dal mondo sensibile, indispensabile per raggiungerla, il fuoco del crogiolo è il potere mentale che va diretto in modo da sciogliere la coscienza dalla cognizione del corpo. Tale crogiolo fa parte degli attrezzi del laboratorio alchemico, ed è anche il recipiente impiegato sul fuoco continuo per la fusione dei metalli, nonché corpo fisico dell’uomo in cui si realizzano le fasi di purificazione degli stati di coscienza, ed è infine l’intero Universo.

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A parte Kazuo Ishiguro (Quel che resta del giorno e Non lasciarmi, entrambi editi da Einaudi) non conoscevo altri autori giapponesi moderni. Questa mia lacuna è stata in parte colmata dalla lettura dell’ultimo romanzo, uscito in Italia, di Murakami Haruki, un autore nato in Giappone nel 1949 a Kyōto e cresciuto a Kōbe.

Il libro di cui oggi vi parlo l’ho acquistato d’impulso, attirato dalla stranezza del titolo e anche perché da tempo volevo testare autori diversi dai soliti quattro o cinque scrittori costantemente in cima alle classifiche di vendita in Italia e altrove.

L’uccello che girava le viti del mondo, edito da Einaudi, è un tomo di ben 832 pagine stampato a caratteri piccoli (ma non piccolissimi) che avrebbe spaventato chiunque, ma non certo me che da qualche settimana sono uscito (quasi) indenne dalla magnifica/devastante/fatigante/stizzosa impresa di leggere l’Ulisse di Joyce.

Parentesi

Ho scritto “stizzosa” perché, per almeno una ventina di volte, avrei voluto gettare dalla finestra quella ponderosa opera osannata da tutti, ma letta fino in fondo quasi da nessuno. Possibile – mi chiedevo mentre leggevo l’Ulisse – che sia cosa basilare, conoscere nomi e cognomi delle cento e passa persone che seguono il funerale di un abitante di una via di Dublino, per nulla famoso? Oppure che sia utile alla storia elencare i nomi dei quaranta componenti della banda che precede la carrozza funebre dello stesso defunto? Io sono convinto che Joyce, scrivendo quelle paginate di elenchi, abbia voluto prendersi gioco dei critici che, all’epoca, avevano disapprovato certi suoi scritti forse un po’ criptici e poco esplicativi.

Chiusa parentesi.

Dunque, superato lo scoglio dell’Ulisse, ero preparato ad affrontare una nuova avventura di molte pagine.

La cosa che mi ha colpito subito è stato il vezzo di Haruki di dare titoli lunghissimi a ogni capitolo delle tre sezioni (La gazza ladra, L’uccello profeta, Il flauto magico) di cui è composto il libro. Ad esempio, il primo capitolo della prima sezione recita: “Dove si parla dell’uccello-giraviti del martedì e di creature con sei dita e quattro seni.”

L’incipit del romanzo, a mio parere, è notevole e ve lo ricopio:

“Avevo la pasta sul fuoco in cucina, quando squillò il telefono. Alla radio davano La gazza ladra di Rossini, il sottofondo ideale per preparare un piatto di spaghetti, e io l’accompagnavo fischiando. Fui tentato di non rispondere, gli spaghetti erano quasi cotti, e Claudio Abbado stava giusto per portare l’orchestra filarmonica di Londra all’apice dell’intensità drammatica. Pazienza, mi rassegnai ad abbassare il fuoco e sollevai il ricevitore. Poteva anche essere un conoscente con qualche nuova proposta di lavoro.

– Vorrei dieci minuti del suo tempo, – disse senza preamboli una voce di donna.

Io sono piuttosto bravo a riconoscere le persone dalla voce, quella lì però non l’avevo mai sentita.

– Scusi con chi desidera parlare? – chiesi educatamente.

– Proprio con te. Dieci minuti, dammi solo dieci minuti del tuo tempo. Vedrai che riusciremo a intenderci perfettamente.-

La donna aveva una voce bassa, morbida, elusiva.

– Intenderci?

– Parlo di feeling.

Sporsi la testa oltre la porta a guardare in cucina: dalla pentola si alzava bianco vapore, Abbado continuava a dirigere la gazza ladra.

– Scusi, ma ho gli spaghetti sul fuoco, non potrebbe chiamarmi più tardi?

– Spaghetti? – fece lei in tono sconcertato. – Spaghetti alle dieci e mezzo del mattino?

– Questo non la riguarda. Ho il diritto di mangiare quello che mi pare all’ora che mi pare, – risposi un po’ irritato.

– In effetti, – disse la donna in tono secco e impersonale, molto diverso da prima. L’umore sembrava leggermente cambiato. – Vabbè, non importa richiamo più tardi.

– Aspetti un momento, – risposi in fretta. – Se è per vendermi qualcosa, guardi che perde il suo tempo, mi telefonasse anche cento volte. In questo momento non posso permettermi di comperare niente, sono disoccupato, non ho soldi da buttare via.

– Lo so, non ti preoccupare.

– Come sarebbe a dire, lo sa?

– Significa che so benissimo che sei disoccupato. Per cui vai pure a prepararti i tuoi preziosi spaghetti.

– Ma lei, cosa diavolo… – Non feci in tempo a terminare, dall’altra parte avevano sbattuto giù il telefono.”

Non male, no?

Prima di acquistare un libro leggo sempre la prima pagina e, solo se m’incuriosisce, caccio i quattrini e me lo porto a casa. Beh, a me quell’incipit parve strepitoso: nella sua semplicità, mi aveva dato la certezza che anche il resto del romanzo sarebbe stato all’altezza di quelle prime righe.

A finire il libro ci ho impiegato una ventina di sere, già perché a me piace leggere la notte a letto, visto che non ho più l’età per fare altro… ahem.

Così mi sono immerso nel mondo onirico, fantasioso e, allo stesso tempo, realistico di Murakami Haruki.

Sembra una contraddizione in termini associare l’onirico al realistico eppure, con grande estro narrativo, Haruki riesce a realizzare questo difficile connubio: ogni situazione, infatti, benché fantasiosa è tenuta saldamente ancorata a terra attraverso la veridicità delle descrizioni e dei dialoghi. Ed è questo che rende la storia sufficientemente credibile.

In un solo punto del romanzo, Haruki esagera quando dà l’idea di non conoscere le difficoltà nell’individuare le password che permettono l’accesso a documenti segreti memorizzati in un computer. Hokada Toru, il personaggio principale del libro, fra milioni di password possibili, ne individua ben due in pochi minuti. Cosa che è decisamente improbabile.

A parte quest’assurdità perdonabile, l’autore, pur nella complessità della trama e nell’uso di lunghi flash back, tiene saldamente la barra della narrazione e scioglierà gradualmente tutti i misteri della vicenda.

La storia in sé e per sé è semplice: una coppia che sembrava affiatatissima, improvvisamente si sfalda. Kumiko, la moglie di Okada se ne va di casa per seguire un altro uomo di cui dice di essere attratta fisicamente. Il racconto, con l’aiuto di numerosi e ben delineati comprimari, si evolve verso la soluzione (non vi rivelo qual è, ovviamente) seguendo i vari tentativi messi in campo da Okada per ritrovare la moglie fuggitiva.

Uno dei comprimari più riusciti è Kasahara May, una ragazzina di 17 anni, vicina di casa di Okada, che lo aiuterà a sopportare la solitudine delle prime e tristi giornate di uomo abbandonato senza un’apparente ragione da una moglie molto amata e desiderata.

Ci sono poi le due sorelle Malta e Creta Kanō, maghe sensitive e misteriose, che aiuteranno Okada a ritrovare il gatto fuggito di casa e gli daranno le prime dritte per cominciare la ricerca della moglie e per comprendere le ragioni della sua fuga.

Nutmeg e Cinnamon, madre e figlio, facoltose persone della società bene di Tokyo, la città dove si svolge la vicenda, che prenderanno a cuore la situazione economicamente disastrosa di Okada e gli forniranno denaro e mezzi per aiutarlo nella ricerca, ormai diventata ossessiva, di sua moglie Kumiko.

Wataye Noburu, fratello di Kumiko, un politico brillante ma infido che odia il cognato e che si adopererà con tutto il suo potere affinché lui non scopra il mistero che sta sotto alla fuga improvvisa della moglie.

Parallelamente alla vicenda principale (che si svolge ai nostri giorni), ma sempre strettamente connessa a essa, ruotano le storie di altri personaggi che hanno vissuto il conflitto russo-giapponese durante la seconda guerra mondiale.

Terribili ed epiche le pagine in cui Boris lo scorticatore, un crudele ufficiale russo, uccide delle spie giapponesi, facendole scorticare vive o spaccando loro la testa con una mazza da baseball, allo scopo di ottenere informazioni militari.

Il romanzo, cioè, alterna pagine di storia realmente accaduta a vicende di fantasia ma anch’esse credibili perché narrate con voce realistica.

La storia, di largo respiro e complessa nella trama, mi ha avvinto e non mi ha stancato nemmeno nelle diverse digressioni dal filone principale.

Ci si affeziona ai vari personaggi e, di conseguenza, si prova dispiacere quando alcuni di loro, come le due sorelle Kanō, si perdono per strada.

In conclusione, posso dirvi che il libro vale i 17,50 euro spesi per acquistarlo.

E cosa c’entra – vi chiederete a questo punto – l’uccello che girava le viti del mondo?

E perché il romanzo ha quello strano titolo?

Beh, sono un po’ cattivello e non ve lo svelo…

Leggete il libro e lo saprete!

A settembre, quando (forse) riaprirò il blog, avremo tempo e modo di parlare ancora di Murakami Haruki. Vi anticipo solo che ho comprato praticamente tutti i romanzi e i racconti editi in Italia di questo autore.

Chissà perché?

Nicola