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Siracusa 3 giugno 2016, venerdì.

Il programma odierno prevede una gita a Catania, visita della città, pranzo da una sorella di Teresa, una veloce puntata nei dintorni per ammirare la Riviera dei Ciclopi con i suoi scenografici isolotti. Per realizzare il tutto, visto che c’è da coprire solo una distanza di una settantina di chilometri, ce la prendiamo comoda. La giornata è splendida. Ci accompagnerà un sole caldo ma per nulla fastidioso.

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Catania e l’Etna

Verso le dieci del mattino siamo a Catania, parcheggiamo (a fatica) l’auto in vicinanza della Piazza Stesicoro e cominciamo l’esplorazione della città:

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Piazza Stesicoro

Il primo impatto è magnifico. La piazza Stesicoro mostra da una parte il monumento a Vincenzo Bellini e dall’altra la Chiesa di San Biagio, le rovine dell’Anfiteatro Romano e, a sinistra nella foto, l’imponente settecentesco Palazzo Tezzano.

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Palazzo Tezzano

L’edificio è di forma quadrangolare con cortile interno che la costruzione contorna formando una "U" con l’interruzione a nord. Vi si accede dalla piazza Stesicoro attraverso un ampio portone, posto al centro del prospetto principale. Il tetto è impreziosito da un balcone monumentale sopra al quale torreggia un orologio. Il prospetto è simmetrico ed è diviso nel senso dell’altezza da false colonne in pietra chiara che, contrastando con il tono grigio basalto dell’intonacatura, creano una suddivisione in cinque unità architettoniche per lato. In passato questo palazzo ha ospitato l’Ospedale San Marco, il Tribunale di Catania e altri uffici pubblici, mentre attualmente è sede dell’Archivio Ceramografico dell’Università degli Studi  e ospita la Scuola Media "L. Capuana".

L’anfiteatro Romano che si vede in piazza Stesicoro è un piccolo frammento di quello più grande situato tra piazza S. Francesco, via Vittorio Emanuele, via Timeo e via Teatro greco. Il suo aspetto attuale risale al II secolo ed è stato portato alla luce a partire dalla fine del XIX secolo:

Catania - Teatro Romano

Anfiteatro Romano

Lasciata piazza Stesicoro ci avviamo verso il centro storico di Catania. Durante il tragitto lungo la panoramica e trafficatissima Via Etnea:

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Via Etnea

incontriamo la Basilica della Collegiata:

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Basilica della Collegiata

La facciata campanile (tipica della tradizione siciliana) è su due ordini. Nel primo ci sono sei colonne in pietra, sormontate da una balaustra. Nel secondo ordine c’è un finestrone centrale e, ai lati, quattro grandi statue di San Pietro, San Paolo, Sant’Agata e Santa Apollonia. Sul secondo ordine un elemento centrale ospita le campane. Si accede alla chiesa mediante una grande scalinata, sulla quale, a delimitare il sagrato, è posta una cancellata in ferro battuto. Al suo interno i bellissimi affreschi di Giuseppe Sciuti:

Camminando sempre sulla Via Etnea raggiungiamo il famoso centro storico di Catania, riconosciuto patrimonio dell’umanità dall’Unesco per la magnificenza delle due grandi piazze che si susseguono una all’altra, lasciando senza fiato i turisti. C’è una nota canzone siciliana il cui ritornello dice, tra l’altro: Lassa tutte cose e veni ‘cca… (la potete  ascoltare nel filmato) per esaltare le bellezze della Sicilia e che ben si addice alle due piazze che stiamo per vedere.

La prima che s’incontra è Piazza dell’Università. Da un lato si ha questa vista:

Università degli Studi a sinistra nella foto

Dall’altro, invece:

Palazzo dell’Università (Rettorato) a sinistra nella foto

Ma non sono solo le facciate di questi due importanti palazzi che rendono magnifica la piazza. Potete ammirare anche i loro bellissimi interni visionando il mio filmato. Proseguendo il cammino si arriva in Piazza del Duomo:

Piazza del Duomo

In questa vista dall’alto si nota l’ampiezza della piazza con la centrale Fontana dell’Elefante. Andando nel particolare, a colpire la vista è il Duomo (Cattedrale di Sant’Agata): 

e il Palazzo dei Chierici:

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la Fontana dell’Amenano:

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il Mercato del pesce:

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e, infine, la Porta Uzeda:

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Lasciato il centro storico, raggiungiamo Piazza Vincenzo Bellini con l’imponente Teatro Massimo:

Teatro Massimo Vincenzo Bellini

e con il Palazzo delle Finanze:

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Arriva così l’ora di pranzo. In tutta fretta torniamo sui nostri passi per recarci da Mirella, una delle sorelle di Teresa, che ci ha preparato una tavola imbandita di specialità catanesi nel suo appartamento all’ultimo piano di un prestigioso palazzo da cui si gode un panorama grandioso della città e, in lontananza, dell’Etna. (Vedi filmato)

Dopo il sontuoso pranzo e un riposino di un’oretta, Mirella ci porta, percorrendo alcuni chilometri nei dintorni della città, sulla Riviera dei Ciclopi. Qui ci attendono un mare azzurro spettacolare, la vista degli isolotti del Ciclope e dei bagnanti in acqua anche se siamo appena all’inizio di giugno…

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In questa deliziosa località di mare finisce la nostra gita a Catania e dintorni. Riprendiamo l’auto e torniamo a Siracusa. L’indomani è il giorno della partenza per Milano.

Chi desidera visionare su YouTube il filmato della giornata, basta che clicchi sull’immagine sottostante:

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°°°

Siracusa 4 giugno 2016, sabato.

Oggi è il giorno della partenza per Milano. Si torna a casa.

La nostra prima vacanza in Sicilia è giunta al termine. Non ci resta che ringraziare caldamente Teresa e Peppino, i nostri deliziosi anfitrioni, e iniziare a preparare le valige. Finita questa incombenza, abbiamo ancora un paio d’ore a nostra disposizione. Come sfruttarle al meglio? Chicca ha un’idea: fare un giro nel famoso Mercato di Ortigia. Ottima idea! Sicuramente lì potremo acquistare delle specialità locali da portare a Milano.

Detto e fatto.

Il mercato è uno spettacolo che meritava di essere visto: volete sincerarvene con i vostri occhi? Cliccate sull’immagine qui sotto:

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Fine

Crediti: alcune immagini aeree di Catania le ho trovate su Internet e da Wikipedia ho estratto le informazioni sui palazzi storici della città. Tutte le altre foto sono originali e sono state scattate da mia moglie Chicca. I filmati sono miei.

Nicola

 

    Inizio oggi un nuovo reportage. Questa volta non mi sono spinto in mondi lontani come il Perù o la Cina, ma ho rivolto la mia attenzione alla Sicilia, un’isola in cui non avevo mai messo piede per tantissime ragioni, la più importante delle quali era che, avendo avuto le ferie sempre nel mese di agosto, recarmici per visitarla nella nostra stagione più calda mi veniva sconsigliato da tutti.  Così, anno dopo anno, ho sempre rimandato di raggiungere questa meta. Ora, essendo in pensione e potendo disporre liberamente del mio tempo libero, alla fine di maggio di quest’anno (2016) ho accolto l’invito di Teresa e Peppino, una coppia di cari amici siciliani doc e mi sono deciso a fare quel passo nella stagione più acconcia per visitare l’isola.

    Teresa e Peppino sono, al pari di me, milanesi di adozione, con l’unica differenza che io sono pugliese di Foggia solo per nascita, mentre loro hanno vissuto un terzo della loro vita in Sicilia, e ci ritornano regolarmente almeno due volte all’anno per dare un’amorevole spolveratina alle loro radici e per rivedere con piacere parenti stretti e amici. A parte gli anni della prima infanzia, durante i quali passavo l’intera estate fra l’Incoronata (Foggia) in campagna e al mare di Peschici, da quando io vivo a Milano sono tornato in Puglia solo poche volte, promettendo sempre a me stesso di tornarci più spesso.
   
    Dunque, per qualche puntata parlerò di questo viaggio propiziato, tra l’altro, da un pressante invito ad assistere nel teatro greco di Siracusa alle due tragedie in cartellone a fine maggio: l’Alcesti di Euripide e l’Elettra di Sofocle. Confesso che, avendo fatto il liceo scientifico e amando poco il teatro in genere, la cosa mi spaventava oltre che incuriosirmi. Mi spaventava in ragione della mia crassa ignoranza di quel periodo letterario dell’antica Grecia, ma, allo stesso tempo, mi incuriosiva perché volevo capire se il mio rigetto del teatro sia classico sia moderno era definitivo oppure, finalmente, modificabile.

    Milano, Venerdì 27 maggio 2016   
    Partenza da Milano, programmata per le ore 10, con un volo Alitalia. Come di norma, per qualche sconosciuto problema all’imbarco, siamo partiti con un’ora di ritardo e siamo arrivati a Catania alle 13. Stranamente c’è foschia anche se fa abbastanza caldo. Per tutta la durata del viaggio affittiamo un’auto all’Avis e ci avviamo verso Siracusa, la città che sarà il punto centrale da dove giornalmente partiremo per esplorare i luoghi che i nostri amici Peppino e Teresa hanno previsto di farci conoscere in questo nostro primo assaggio della Sicilia e dove ogni sera torneremo per dormire. Io e mia moglie Chicca ci sistemiamo nell’albergo Domus Mariae, mentre i nostri anfitrioni utilizzeranno la loro bella casa di proprietà in Siracusa vecchia.
    
    Usciti dall’aeroporto di Catania prendiamo autostrada (gratuita) e  superstrada così, in meno di un’ora, raggiungiamo Siracusa. Anche se è un po’ tardi per il pranzo ci fermiamo al ristorante "Da Enrico", dove il mio amico Peppino è conosciuto e non fanno storie per servirci. Ottimi antipasti, spaghetti alle vongole veraci, e un delizioso capriccio di cannolo ci fanno dimenticare gli inevitabili piccoli contrattempi avuti durante il viaggio e ci mettono nella condizione mentale e fisica ideale per iniziare la nostra breve vacanza siciliana.

    Sistemati i bagagli, noi in albergo e gli amici a casa loro, ci diamo appuntamento per una prima veloce occhiata alla città. Di nuovo insieme c’incamminiamo lungo via della Maestranza in direzione della Piazza del Duomo.

Duomo di Siracusa

      Una volta lì, dalla Cattedrale sta uscendo una bella coppia di sposi che viene subito attorniata da amici e parenti e dai casuali spettatori presenti nella piazza. Il Duomo, dedicato a Santa Lucia, costruito sopra un antico tempio greco, è il degno coronamento di una lunga, stretta e bellissima piazza su cui si affacciano antichi palazzi con bar, ristoranti e negozi a piano terra. In fondo a destra c’è la Chiesa di Santa Lucia alla Badia aperta per permettere la vista di un famoso quadro di Caravaggio, fuggito precipitosamente da Malta e rifugiatosi a Siracusa nel 1608. Il quadro rappresenta il Seppellimento di Santa Lucia.

Caravaggio_SeppellimentodiSanta Lucia

    Dopo aver gustato un ottimo gelato in un bar di fronte al Duomo, ci avviamo verso la casa dei nostri amici, costeggiando il lungomare, un po’ tormentati dal vento che soffia forte in quella parte dell’isolotto di Ortigia dove ci troviamo e che costituisce la parte antica di Siracusa, oggi legata alla terraferma da tre ponti. Su quest’isolotto sorse il primo nucleo abitativo di coloni corinzi e solo in seguito la popolazione si estese sulla terraferma. Come vedremo in seguito, Ortigia termina con il Castello Maniace che visiteremo poco prima della fine del nostro soggiorno a Siracusa.

    Siracusa, sabato 28 maggio 2016.
    Sveglia alle otto. Prendiamo l’auto e ci dirigiamo verso le famose Fonti del Ciane, ma le troviamo chiuse. Ciane dal greco significa "verde-azzurro" perché richiama il colore delle acque del fiume omonimo, noto per la presenza del papiro che cresce sulle sue rive. Internet, comunque, mi ha aiutato a scoprire questo luogo che non ho potuto vedere dal vivo:

Ciane Papiro

    Riprendiamo il cammino in direzione di Noto, meta principale della giornata odierna. Oggi è una splendida giornata di sole e non fa troppo caldo: è proprio il clima ideale per visitare questa deliziosa cittadina, famosa per le sue costruzioni in un barocco così particolare da ottenere una propria denominazione, il barocco notino. Lasciata l’auto all’ingresso della città, ci accoglie un mercatino di specialità locali immerso in un parco con piante fiorite e frondosi alberi con parecchi anni sulle spalle. Superata l’imponente Porta Reale c’immettiamo nel Corso Vittorio Emanuele, la via principale della città. Da quel momento in poi è tutto un susseguirsi di magnifiche costruzioni antiche, tutte ben restaurate, che meritano, una per una, delle foto ricordo. La Cattedrale di San Nicolò con la sua ampia scalinata, il Palazzo Ducezio, Palazzo Nicolaci di Villadorata, le tante abitazioni con terrazzi mozzafiato (vedi filmato). Immersi in tanta bellezza non ci accorgiamo che è ora di pranzo. Peppino ci guida verso il famoso Caffè Sicilia dove gustiamo la granita di latte di mandorla e l’immancabile brioche che qui ha il tuppo.

Brioche-siciliana-col-tuppo

    Finita la visita di Noto si torna a Siracusa, spizzichiamo qualcosa di buono a casa dei nostri amici (beh, più che di una casa in realtà si tratta di un grande appartamento signorile all’interno di un antico palazzo protetto dalle belle arti che non posso mostrarvi solo per questioni di privacy) mia moglie e io ci fermiamo in albergo per riposarci un paio d’ore perché più tardi, al Teatro Greco di Siracusa, ci aspetta l’Alcesti di Euripide. E’ quasi il tramonto quando con l’auto raggiungiamo il teatro; i diversi e vivi colori della vegetazione che circonda il teatro e il sole calante fanno da cornice al nostro ingresso nel luogo da tempo immemorabile dedicato alle rappresentazioni delle opere fondamentali della letteratura greca antica.

Teatro_greco_di_Siracusa_-_aerea

    Immagino che vogliate conoscere il mio giudizio sullo spettacolo a cui ho assistito per la prima volta nella mia vita. Come ho detto all’inizio del post, ero un po’ prevenuto, timoroso e anche curioso. Bello, molto bello, devo ammettere, anche se non ho capito tutto, non conoscendo a priori la storia di questa eroica moglie che si sacrifica (scioccamente, come oggi alcuni pensano) al posto del marito. E’ stato piacevole guardarsi attorno e osservare l’attenzione con cui gli spettatori seguivano l’andamento della rappresentazione che molti, come i miei amici, avevano già visto altre volte ma che avevano scelto di rivedere per poi disquisire tra i vari allestimenti realizzati in passato e le nuove interpretazioni degli attori diretti da un nuovo regista.

Alcesti

    Prima di darvi appuntamento alla prossima puntata, vi consiglio di guardare il mio filmato della giornata. Oltre alle immagini fisse scattate da mia moglie e quelle in movimento da me girate con la videocamera, ho inserito diverse popolari canzoni siciliane che, forse, non avete mai sentito e che ho scovato in Internet, interpretate da cantanti locali e gruppi musicali decisamente bravi. Basta cliccare sull’immagine qui sotto per spostarsi su YouTube:

Noto Cattedrale

Arrivederci a presto.

Nicola

Prima di iniziare vorrei dirvi che ogni mio pensiero, cuore e vicinanza va oggi alle vittime dell’ennesimo gesto terroristico perpetrato ieri con bestiale ferocia a Bruxelles.

Nicola

Martedì 8 Settembre, Cusco.

A Cusco, capitale storica della civiltà inca, si conclude il nostro tour in Perù. Oggi dobbiamo visitare diversi e importanti siti archeologici sulle colline che circondano la città e, infine, esplorare la città stessa. Non è un programma molto intenso e quindi ce la prendiamo comoda. Dopo un’abbondante colazione, usciamo dall’albergo alle nove in punto e ci dirigiamo in pulmino verso quel che rimane del più famoso tempio inca, il Coricancha, dedicato al culto del dio Sole:

Cori Cancha

a fianco e sopra queste rovine gli spagnoli hanno costruito il Convento di Santo Domingo:

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Si entra nel Convento da una piazzetta situata dalla parte opposta a quanto visibile nella foto sopra:

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Ci accoglie un bellissimo chiostro, cioè un ampio cortile con al centro una fontana ottagonale, attorniata da un porticato tutto decorato da grandi dipinti coloniali spagnoli raffiguranti la vita del Santo Domingo. In molti di questi quadri sono raffigurati cani che stringono una fiaccola tra i denti. Sono i cani da guardia di Dio, in latino domini cani, ovvero il nome dell’ordine religioso ispirato al santo cui è consacrato il convento.

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L’interno del convento conserva e custodisce le antiche tracce del Coricancha: possenti muri e alcune stanze che hanno resistito, contrariamente alla nuova costruzione, ai disastri provocati dai vari terremoti che nel tempo hanno colpito Cusco:

Dal terrazzo del convento si ha una bella vista della città:

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Usciti dal convento, saliamo sul pulmino e raggiungiamo una delle colline che circondano Cusco dove c’è l’importante sito archeologico inca Sacsayhuaman (falco soddisfatto) che copre un’area di 6 Km. quadrati a 3700 m.s.l.m. Si tratta dei resti di un’antica fortezza inca semidistrutta dagli spagnoli e le cui pietre vennero portate a Cusco per costruire palazzi e chiese:

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Da Sacsayhuaman si gode una spettacolare vista di Cusco:

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Insieme alla guida abbiamo girato in lungo e in largo nel sito archeologico, ammirando, passo passo, diverse curiosità regalate ai posteri dagli antichi ed estrosi architetti inca:

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La zampa di un puma

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Sagoma di un lama (evidenziata nelle foto che segue)

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Qui ci siamo sbizzarriti a fare decine e decine di foto degli enormi massi rimasti in loco dopo la razzia perpetrata in passato dagli spagnoli: massi tutti lavorati a mano, uno per uno, da volenterosi operai inca.

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In questo antico luogo gli abitanti di Cusco oggi si riuniscono per fare picnic, per sciare d’inverno, per prendere il sole d’estate. A poche centinaia di metri da qui si può vedere il famoso Cristo Blanco di Cusco:

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In programma subito dopo ci sarebbero altri tre siti archeologici, ma siamo un po’ stanchi e decidiamo di soprassedere. Siccome sono curioso di natura, una volta tornato a Milano, sono andato su Internet e ho dato un’occhiata a ciò che abbiamo saltato quel giorno:

1) Tambomachay (bagno dell’inca), centro dedicato al culto dell’acqua:

Tambomachay

2) Qenqo (labirinto), anfiteatro dedicato al culto della Pachamama (madre terra):

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Monolite di Qenqo

Qenqo

3) Puka Pukara (fortezza), un antico rifugio usato dai messaggeri inca (chaski) per riposarsi dopo le lunghe spedizioni e utilizzato come forte dopo l’arrivo degli spagnoli:

Puka Pukara

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Quando rientriamo a Cusco è ormai ora di pranzo. La guida ci saluta e ci dà appuntamento all’indomani per accompagnarci all’aeroporto. Una volta fatto un veloce spuntino in un modesto ristorante, siamo finalmente liberi di girare a nostro piacimento la città. Imperdibile la splendida Plaza de Armas con le sue chiese, i suoi portici e il suo giardino e la fontana al centro:

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La Cattedrale in Plaza de Armas

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Chiesa della Compagnia di Gesù in Plaza de Armas

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I portici

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La fontana

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Mentre una parte del gruppo si dedica agli ultimi acquisti di souvenir peruviani, Barbara e Sergio s’inoltrano nella città vecchia e ci regalano queste immagini:

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Piazzetta di San Biagio

Per la prima volta le periferie di una città peruviana non sono degradate, ma mostrano scorci di intensa bellezza. Non per niente Cusco è stata la capitale del grande impero inca. Qui i nostri due amici incontrano e fotografano un corteo di maschere popolari di varie zone del Perù che si mettono in bella mostra danzando a suon di musica: un vero spettacolo colorato e intrigante!

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Verso sera, tornando a piedi in albergo, diamo un ultimo sguardo alla città:

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Il palazzo di giustizia

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Un moderno murales alto quattro metri e lungo 20

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Il retro e il davanti di una pittoresca fontana

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Il nostro tour si conclude a sera assistendo a uno spettacolo di danze e musiche popolari (arte nativa) in un grande teatro: un paio d’ore decisamente piacevole.

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Come sempre, chi desidera approfondire la visita di Cusco non ha che da cliccare sulla foto che segue:

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Credo che anche voi, avendo dato un’occhiata alle foto pubblicate nel post, possiate essere d’accordo con me nel dire che Cusco con i suoi 500.000 abitanti è la città più bella del Perù. Dalla piazza delle armi si dipartono strade e vicoli deliziosi e molto ben tenuti, cosa che capita di rado di vedere nelle altre città peruviane. Anche per questo Cusco viene, a ragione, considerata la vera capitale del Perù. La città, grazie al suo splendido insieme architettonico, è stata dichiarata patrimonio dell’umanità dall’Unesco nel 1983. Noi siamo rimasti a Cusco un solo giorno, ma è stato sufficiente per afferrarne la grande bellezza e armonia.

Termino qui dandovi appuntamento a una prossima puntata per le conclusioni di rito sul nostro tour in Perù.

Nicola

Crediti: foto di Barbara e Sergio, Giorgio e Chicca. Immagini di repertorio le ho scaricate da Internet. Il filmato della giornata è mio.

 

 

 

 

Lunedì 7 Settembre 2015, Yanauara (Urubamba)

Anche se il programma odierno prevede una sola visita, tutto l’intrepido gruppo, alle 7 di mattina, con le valige appresso, è già pronto ad affrontare la visita clou del nostro tour: Machu Picchu. Si parte presto perché non è semplice arrivare nel sito più rappresentativo dell’antico Perù. Il pulmino ci accompagna alla stazione di Ollantaytambo dove prenderemo il treno per Aguas Calientes, poi, da lì, prenderemo un bus che, attraversando per qualche chilometro la foresta amazzonica, ci porterà – finalmente – all’ingresso del Machu Picchu che, in lingua quechua vuol dire “vecchia cima”.

Ma procediamo con ordine. Lasciato l’albergo La Hacienda del Valle:

1322 albergo di Valle Sacra

arriviamo a Ollantaytambo dove c’è la stazione ferroviaria:

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Durante il viaggio abbiamo quasi sempre la compagnia del fiume Urubamba, acque sacre per il popolo inca:

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Vediamo montagne, campi e terrazzamenti coltivati:

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Dopo circa un paio d’ore arriviamo a Aguas Calientes:

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A piedi raggiungiamo la stazione degli autobus per Machu Picchu:

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Gli autisti dei piccoli bus sono piuttosto bravi,

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perché la strada è sterrata, stretta e a doppio senso di marcia:

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Dopo mezz’ora di sobbalzi, pericolose curve e azzardate precedenze a bus che viaggiano in senso opposto lungo la via che attraversa per circa otto chilometri la foresta amazzonica, finalmente arriviamo davanti alla biglietteria di Machu Picchu:

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e qui inizia lo spettacolo! Vista nell’immaginario collettivo come i resti di un’antica e fascinosa città perduta, questa località è oggi universalmente conosciuta sia per le sue imponenti e originali rovine, sia per l’impressionante vista che si ha sulla sottostante valle dell’Urubamba, circa 400 metri più in basso. Da Wikipedia leggo che Machu Picchu fa parte dei Patrimoni dell’umanità stilati dall’UNESCO: eletto nel 2007 come una delle Sette meraviglie del mondo moderno. È il terzo sito archeologico più grande del mondo dopo gli scavi di Pompei e Ostia Antica. In un anno moltissime persone visitano le rovine e l’UNESCO ha espresso preoccupazione per i danni ambientali che un tale volume di turisti può arrecare al sito. Le autorità peruviane, che ovviamente ricavano dei notevoli vantaggi economici dal turismo, sostengono che non ci siano problemi e che l’estremo isolamento della valle dell’Urubamba sia, da solo, sufficiente a limitare il flusso turistico. Inoltre centinaia di operai, giornalmente, si adoperano per curare il verde e tenere pulito l’ambiente. Con i miei occhi ne ho visti alcuni che, muniti di spazzolini da denti e piccole spugne, erano intenti a togliere muffe da alcuni massi di una costruzione.

Ma lasciamo parlare le immagini:

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Giriamo all’interno della fortezza fino all’una, giusto il tempo di percorrere in lungo e in largo questo splendido sito archeologico e di scattare centinaia di foto e girare parecchie riprese con la videocamera. All’uscita, in attesa del bus che ci riporterà a Aguas Calientes, facciamo un veloce spuntino al bar vicino alla biglietteria. Per concludere, vi cito solo che Machu Picchu fu scoperto nel 1911 da Iram Bingham:

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che lo trovò praticamente invaso dalla prepotente vegetazione amazzonica:

Machu Pichu Scoperta

mentre oggi, dopo anni di lavori, è così:

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Ritornati a Aguas Calientes, visitiamo questa piccola cittadina di circa 3000 abitanti, annidata all’interno della profonda valle sottostante Machu Picchu e circondata da alte mura di pietra e dalla foresta amazzonica:

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Aguas Calientes

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Di nuovo saliti sul treno panoramico che percorre tutta la Valle Sacra, questa volta non scendiamo a Ollantaytambo ma proseguiamo per la stazione di Poroy:

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Poroy

dove ci attende il nostro pulmino per condurci a Cusco, meta finale del tour in Perù:

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Cusco

L’albergo dove passeremo due notti e l’Eco Inn, distante un quarto d’ora a piedi dal centro della città:

Hotel Eco Inn 5- Cusco

Hotel Eco Inn 4- Cusco

Purtroppo siamo tutti molto stanchi e, dopo la cena, andiamo subito a dormire. La visita della città è rimandata a domani…

Chi vuole approfondire la conoscenza di Machu Picchu con il video riepilogativo della giornata, basta che clicchi con il mouse sull’immagine che segue:

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Arrivederci alla prossima puntata!

Nicola

Crediti: le foto, al solito, sono di Barbara, Sergio, Giorgio e Chicca. Alcune foto di repertorio le ho scaricate da Internet. Il filmato è mio.

 

 

 

Domenica 6 Settembre 2015, Yanuhara (Urubamba)

 Mappa dintorni Cusco

Questa mattina non ci è pesato minimamente essere svegliati alla solita ora antelucana: infatti alle 7.30 siamo già tutti pronti per affrontare la nostra nuova giornata in Perù. Forse a contribuire a questa insolita voglia di muoverci è stata la consapevolezza di essere posizionati al centro della Valle Sacra, proprio dove il popolo inca ha raggiunto il massimo del suo splendore e dove maggiori sono le antiche tracce della loro presenza. Infatti, se guardate la cartina, si nota che partendo da Urubamba, la cittadina nelle cui vicinanze è situato il nostro albergo, nel giro di pochi chilometri ci sono tutte le più importanti località inca che tra oggi e domani sono nel nostro itinerario di viaggio.

Urubamba

Saliti sul nostro pulmino, in quattro e quattr’otto raggiungiamo Ollantaytambo:

0981f Ollantaytambo

e il suo Parco Archeologico Nazionale:

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Vi ricordo che qui siamo a 2800 mt e salire la scalinata della fortezza che si para davanti ai nostri occhi non è proprio uno scherzo:

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Ma l’intrepido gruppo non si spaventa e, gradino per gradino, fermandosi di tanto in tanto per tirare il fiato, raggiunge felicemente la vetta di questa imponente costruzione inca:

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che domina la sottostante vallata:

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La fortezza è difesa da grandi e ripide terrazze:

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Questa strategica fortificazione, fatta costruire da Pachacutec, l’inca che aveva conquistato la regione, era anche un centro cerimoniale con un grande tempio ormai crollato:

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Osservate nella foto che segue l’incastro perfetto degli enormi massi (tutti lavorati a mano) che formano le mura della costruzione (muratura poligonale ciclopica): tra un macigno e l’altro non passa un filo d’aria:

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Due righe di storia. Dopo essere stato sconfitto da Francisco Pizarro, Manco Inca si rifugiò in questa fortezza e Hernando Pizarro, il fratello minore di Francisco, nel 1536 con un manipolo di 70 cavalleggeri e un gran numero di fanti, sia spagnoli sia indigeni, non riuscì a catturarlo. L’esercito spagnolo fu bersagliato da una pioggia di sassi, frecce e lance e dovette ritirarsi. Per riuscire nel suo intento, Hernando Pizarro dovette ritornare con un esercito quattro volte più numeroso e costringere con l’inganno Manco Inca a scendere a valle e a combattere in un luogo aperto, dove purtroppo fu sconfitto.

Finita la visita alla fortezza, scendiamo di nuovo a Ollantaytambo per scattare qualche foto del paese:

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Ripreso il pulmino, ci dirigiamo verso Chinchero: durante il breve trasferimento l’autista ferma il mezzo sulla strada per farci vedere un curioso (forse unico al mondo) albergo sospeso nel vuoto a 4000 metri:

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Le tre alcove oblunghe e attrezzate sono raggiungibili solo a piedi da provetti scalatori e sono considerate, a buona ragione, le strutture ricettive più pericolose del pianeta terra. Nella foto che segue è visibile un tratto del ripido sentiero di montagna che porta all’albergo:

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Prima di arrivare a Chinchero, diamo un’occhiata a un mercatino dove c’è un’ampia scelta di cappelli peruviani:

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Chinchero

Nella periferia di Chinchero ci fermiamo a visitare una piccola fabbrica a conduzione  famigliare dove la lana viene filata, colorata  e trasformata in manufatti di ottima qualità. Una gentile signorina ci spiega tutti i passaggi da loro compiuti per arrivare al prodotto finito. L’alpaca, il tipico animale peruviano, con la tosatura fornisce la materia prima:

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segue la lavatura a mano e la filatura:

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c’è poi la colorazione a caldo, rigorosamente eseguita con prodotti naturali:

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la tessitura a disegno:

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infine, la vendita:

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Terminata questa visita, entriamo in Cinchero e ci dirigiamo verso un grande mercato artigianale dove, come è ovvio, le nostre amate mogli si scatenano a fare acquisti:

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Per fortuna le nostre signore, pur comprando a man bassa, non hanno speso molto: in Perù i manufatti sono tutti a un costo davvero abbordabile e, inoltre, è accettata la trattativa. Quasi sempre si arriva velocemente a un buon compromesso tra il dare e l’avere.

Risaliti sul pulmino, facciamo un salto al sito archeologico di Moray, percorrendo una strada a doppio senso, sterrata e sconnessa, spesso affiancata a un profondo strapiombo e con la montagna incombente dall’altra parte. La via è così stretta da permettere il passaggio di una sola vettura: diverse volte, infatti, rischiamo letteralmente la vita fermandoci sul ciglio per lasciare il passo a bus e camioncini che arrivano in direzione opposta!

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Per fortuna arriviamo senza danni a destinazione. Qui ci attende lo spettacolo affascinante e imponente di un antico Anfiteatro inca:

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Sulle pareti di quell’enorme cavità sono stati ricavati diversi livelli di terrazze concentriche, ognuna delle quali sembra avere, a seconda della sua profondità, un diverso microclima. La guida sostiene che gli incas le abbiano utilizzate per scoprire quali fossero le condizioni più favorevoli alle diverse coltivazioni agricole. Ecco perché l’anfiteatro viene anche chiamato Vivaio Inca.

Ripreso il cammino, facciamo una variazione al programma per potere visitare delle saline molto scenografiche. Durante il percorso per raggiungerle incrociamo Yucay. Qui ci fermiamo giusto il tempo di scattare qualche foto:

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con una simpatica Plaza de Armas:

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e una bella Chiesa:

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A circa 10 km. da Maras, un altro grandioso spettacolo si presenta davanti agli occhi: le saline inca: le nostre macchine fotografiche impazziscono letteralmente per cercare di cogliere nelle circa 3600 vasche le varie sfumature di colori che corrispondono ai diversi stadi di raccolta del sale. Spero che le foto riescano a darvi un’idea di questa meraviglia della natura:

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Queste saline, risalenti all’epoca degli inca, derivano da una sorgente d’acqua calda, carica di sali, in cima alla sovrastante collina da cui scende sotto forma di piccolo torrente. L’acqua viene poi deviata nelle varie pozze e fatta opportunamente evaporare, ricavando varie tipologie di sale. Molte le donne che abbiamo visto al lavoro:

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Ritornati sul pulmino, ci rimettiamo in moto per tornare a Urubamba. Lungo il percorso riusciamo  vedere un classico terrazzamento inca:

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e, quando passiamo per Calca, ci saluta sorridente una signora che vende porcellini d’india allo spiedo:

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Solo allora ci rendiamo conto che non abbiamo ancora pranzato e così, verso le 16, raggiunta Urubamba, ci fermiamo in un ristorante ancora aperto che offre un self service ben fornito e lunghi tavoli dove tutto il gruppo può finalmente sedersi e rifocillarsi:

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Dopo esserci abbondantemente serviti di piatti tradizionali locali, ripartiamo satolli e soddisfatti,  e la guida ci porta all’ultima tappa della giornata: Pisac:

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Qui troviamo un altro importante mercato dell’artigianato che si svolge di domenica, cioè proprio il giorno in cui stiamo transitando attraverso questa cittadina coloniale andina:

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1316b pisac

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Mancano solo due giorni alla fine del viaggio in Perù e perciò, inutile dirlo, le nostre signore si dedicano con grande solerzia e determinazione all’acquisto di mille piccoli regali da fare agli amici una volta tornati in Italia.

Dopo circa un’ora trascorsa nel mercato, pieni di sacchetti e pacchetti, risaliamo sul pulmino e torniamo in albergo dove poi ceneremo.

Se siete arrivati in fondo a questo lungo post, potete quindi capire come sono state “leggere” le nostre giornate in Perù… Occhiolino

Se poi desiderate vedere anche il filmato che racconta e completa questa parte del tour, basta che clicchiate sull’immagine sottostante:

Travel Photography 

Arrivederci alla prossima puntata!

Nicola

Crediti: le foto originali sono di Barbara, Sergio, Giorgio e Chicca. Il filmato è del sottoscritto. Alcune immagini di repertorio le ho scaricate da Internet e agli autori va il mio ringraziamento.

Sabato 5 Settembre 2015, Puno.

Lasciamo l’albergo Josè Antonio alle ore 7, carichiamo le valige sul pulmino e siamo pronti ad affrontare una nuova giornata di trasferimento, alla fine della quale arriveremo nella Valle Sacra, dopo avere percorso – con varie e strategiche soste – circa 380 km. La guida, per sedare qualche borbottio del gruppo, decisamente stanco di passare così tante ore in viaggio, ci avverte che non sarà un giorno noioso perché vedremo molte cose interessanti, tutte legate alla storia antica del Perù: insomma dobbiamo cancellare la stanchezza perché sta per iniziare una full immersion nei luoghi dove la civiltà degli Inca è nata e si è sviluppata, creando opere d’arte e costruzioni strategiche che, ancora oggi, destano meraviglia per imponenza e tecnica costruttiva.

Durante la notte deve avere piovuto parecchio perché, quando riattraversiamo Juliaca, le strade sterrate della periferia di questa cittadina di 300.000 abitanti sono terribili da percorrere a causa dei lavori di sistemazione di un selciato costellato da enormi buche colme d’acqua che il nostro pulmino e tutte le altre auto in coda cercano, nei limiti del possibile, di evitare guidando a zig zag. Fortunatamente, usciti da Juliaca, la strada è di nuovo asfaltata bene e le nostre budella sottosopra possono riassestarsi  e ci permettono di apprezzare, al riapparire del sole, il panorama che ci circonda. Al momento ci troviamo sulla Interoceanica e, per notevoli tratti, costeggiamo la ferrovia che unisce Puno a Cusco:

Treno Puno-Cusco

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Il primo paese in cui ci fermiamo è Pucarà, noto per una curiosa tradizione legata ai tori portafortuna (toritos) in ceramica di produzione locale, spesso visibili sui tetti delle case, e per un museo (Museo Litico) dove sono esposti alcuni monoliti polimorfi ritrovati in un sito archeologico preincaico a due passi dal paese:

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Puma trasformato in serpente

Puma trasformato in serpente

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Sacerdoti divoratori di bambini

I torelli di Pucarà vengono venduti a coppie per una ragione precisa: quando un uomo e una donna si uniscono in matrimonio, i genitori della sposa come augurio di buona riuscita del nuovo ménage, regalano al genero un torello e lo stesso fanno i genitori dello sposo alla nuora. Questi due torelli in ceramica vengono poi fissati sul tetto della casa dove i due novelli sposi andranno a vivere. Tutti noi del gruppo, ovviamente abbiamo acquistato sulle bancarelle una coppia di toritos… anche se siamo sposi parecchio maturi:

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Dopo aver percorso un centinaio di km. arriviamo a Abra la Raya (4338 m.s.l.m): qui troviamo un mercatino attrezzato dove infreddoliti artigiani vendono i loro articoli:

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Poco distante da Abra termina la regione di Puno e inizia quella di Cusco, centro nevralgico della civiltà Inca. Durante questo tratto di strada incontriamo diversi paesi (Marangani, Sicuani e altri) che meriterebbero di essere visitati ma il programma della giornata non ce lo permette. E’ ormai ora di pranzo, infatti la guida, come da istruzioni, ci porta in una verdeggiante area, spuntata dal nulla, dove c’è un ristorante di tutto rispetto, attrezzato per ricevere gruppi di turisti e dove è imbandito un ottimo buffet con una grande varietà di cibi:

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Per la seconda volta da quando sono in Perù riesco a mangiare come si deve, scegliendo da solo le varie portate nella quantità giusta per non appesantirmi troppo dato che siamo circa a metà del trasferimento e ci sono mille altre cose da vedere.

Dopo un’ora di sosta saliamo di nuovo sul pulmino per recarci a Raqchi, un importante sito archeologico inca che vale davvero la pena di visitare e fotografare. Come prevedibile, anche qui c’è un esteso mercato di prodotti artigianali, preso d’assalto dalle nostre signore ben disposte a fare acquisti.

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Mentre gironzolo fra le varie bancarelle, noto un gruppo di studenti delle scuole medie che parlottano fra loro guardando nella mia direzione e poi una ragazzina viene verso di me e, in un inglese parlato con inflessioni spagnole, mi chiede se voglio essere intervistato per una ricerca che devono fare come compito:

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Mi assoggetto volentieri all’interrogatorio, in verità molto elementare, alla fine del quale ci fotografiamo a vicenda in ricordo del simpatico incontro. Mentre parlavo con i ragazzi, senza che me ne accorgessi, un artista di strada mi ha fatto una caricatura, costringendomi in maniera abbastanza pressante ad acquistarla per la modica somma di 10 soles, poco più di due euro e trenta centesimi:

NicPerùM

Superato il mercato ci dirigiamo a piedi verso il parco archeologico in cui giganteggiano le rovine del tempio inca  Wiracocha che oggi assomiglia a un imponente acquedotto romano, senza in realtà esserlo:

Raqchi - Tempio Wiracocha 

In passato questo tempio era protetto da un tetto sostenuto da 22 colonne circolari fatte da blocchi di pietra di cui si vedono ancora le tracce a destra nella foto. Di fianco si trovano i resti di molte case e di edifici circolari  adibiti a magazzino di derrate alimentari (qolqas):

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Molto intelligentemente gli inca avevano distribuito in varie località strategiche del loro territorio questi speciali magazzini dove venivano conservate derrate da usare in tempo di carestie o per sfamare gli eserciti che passavano di lì.

Come si vede dalle foto precedenti, il cielo non promette nulla di buono, così ci rimettiamo in viaggio sperando che la pioggia non ci rovini le ultime visite che dobbiamo fare prima di arrivare a Cusco, tappa finale della giornata. Siamo fortunati, infatti quando arriviamo a Urcos per fare una breve sosta tecnica il sole è tornato a splendere:

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Nella foto non si  vede bene, ma in cima alla collina c’è una statua del Cristo Blanco, statua che vedremo anche in altri luoghi:

Urcos Cristo blanco

Nella Plaza de Armas c’è una bella chiesa:

Urcos Chiesa

Un monumento ricorda le lotte degli inca contro i conquistatori spagnoli:

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Un simpatico cartellone ricorda a tutti gli uomini di rispettare le donne e di non considerarle un puro oggetto di arredamento della casa:

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Ci rimettiamo in cammino e, dopo appena sette chilometri, arriviamo a Andahuaylillas (da non confondere con Andahuaylas, a ovest di Cusco) una bella località a sud-est di Cusco, abitata da 3000 anime:

Andahuaylas_panoramic_view

Andahuaylas_Central_Plaza

Andahuaylas_Central_Plaza_Statue

Andahuaylas_taxi

A Andahuaylillas c’è la splendida Chiesa di San Pedro, considerata la Cappella Sistina d’America:

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Purtroppo all’interno della chiesa non è possibile fotografare e anche su Internet non esistono immagini decenti da farvi vedere. Costruita dai gesuiti nel XVII secolo, la chiesa ospita molte sculture e numerosi quadri fra i quali una notevole tela dell’Immacolata Concezione di Esteban Murillo. Le decorazioni barocche sono di grande impatto visivo. Di fianco al sagrato c’è un famoso albero fiorito che, se non ricordo male, è stato piantato all’epoca della costruzione della chiesa:

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A questo punto non manca molto alla Valle Sacra per concludere la giornata. Risaliamo sul pulmino e facciamo quest’ultimo tratto di strada sapendo che presto potremo riposare in albergo per prepararci ai nostri due ultimi importantissimi giorni in Perù. Qualcosa però sembra andare storto, infatti lasciamo la via asfaltata e ci immergiamo in una campagna desolata e polverosa dove, a parte qualche cane randagio, non si vedono anime vive. La strada sterrata è piena di buche che fanno sobbalzare in modo esagerato sia il nostro mezzo che noi stessi. Le poche case che incontriamo sono le classiche e fatiscenti casupole a un solo piano che abbiamo visto in tutte le periferie delle città peruviane. Ovvio che il pensiero che attanaglia le menti dell’intrepido gruppo è: dove diavolo ci stanno portando?

Forse abbiamo sbagliato direzione, infatti al primo contadino che incontriamo l’autista si ferma per chiedere informazioni, ottenendo una risposta in una lingua che nessuno di noi capisce… Purtroppo la strada è proprio questa, perché al primo slargo possibile non torniamo indietro ma proseguiamo ancora verso il nulla. Dopo una mezz’ora di questa sofferenza e con lo stomaco ormai in gola arriviamo a un’alta recinzione in muratura a cui si accede tramite un imponente cancello che ci viene aperto suonando diversi colpi di clacson. Ciò che ci appare è un paradiso davvero impensabile in quella zona desolata che abbiamo appena attraversato:

Hotel La Hacienda del Valle

Hotel La Hacienda del Valle1

Hotel La Hacienda del Valle2

Hotel La Hacienda del Valle4

Il nome dell’albergo è La Hacienda del Valle ed è situato nella località di Yanahuara a 20 minuti dal centro di Urubamba, un paese bagnato dal fiume sacro che ha il suo stesso nome. In quest’albergo a quattro stelle dormiremo due notti.

Urubamba

Chi desidera approfondire questa parte del viaggio può cliccare sull’immagine che segue:

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Arrivederci alla prossima puntata.

Nicola

Crediti: Foto originali di proprietà di Barbara e Sergio, Giorgio e Chicca. Alcune immagini di repertorio le ho scaricate da Internet. Il filmato è stato girato da me.

Venerdì, 4 Settembre 2015, Puno.

E’ la prima volta, in Perù, che dormiamo a una certa altitudine e, per quel che mi riguarda, non è stata una gran bella notte: ho avuto difficoltà di respirazione e mi sono svegliato parecchie volte per andare in bagno. Così, alle 6.30 quando è suonata la sveglia, non mi sento granché in forma, ma, sollecitato dalla mia signora, faccio buon viso a cattiva sorte e mi preparo per scendere a fare colazione in albergo e lì, come prima cosa, mi bevo quell’infuso salvifico a base di acqua calda e foglie di coca che, a detta della guida, dovrebbe darmi nuova energia per affrontare la giornata. In realtà non provo nessuna scossa elettrica al fisico poiché la cosiddetta mate-coca che danno gratuitamente ai turisti nei bar degli alberghi altro non è che una tisana calda. Comunque sia, alla fine di un’abbondante colazione, ogni malessere è scomparso e mi sento pronto per partire. Alle 7.30 arriva la guida con il pulmino per portare l’intrepido gruppo a un imbarcadero sul lago Titicaca. Qui saliamo su un piccolo battello che ci condurrà alle islas flotantes, (isole galleggianti) abitate dagli Uros, una comunità che, secoli fa, per sfuggire alle aggressioni degli inca, le costruirono utilizzando canne galleggianti totora che si trovano in abbondanza nello stesso lago.

Le canne tendono a marcire nel tempo per cui gli Uros di tanto in tanto devono provvedere a tagliarne di nuove e a disporle sopra le vecchie. Quando sbarchiamo su una delle isole (fino a oggi se ne contano 87) sta piovendo ed è un pochino problematico camminarci su. Sembra di essere, se mi è permesso il paragone, su un materasso ad acqua, per cui occorre stare attenti a non cadere o a inciampare malamente. Veniamo accolti da un gruppo di simpatiche signore abbigliate nei loro costumi tradizionali molto colorati e condotti all’interno di una loro casa tipica (una capanna costruita con canne), dove ci viene spiegato in lingua aymara (con traduzione simultanea da parte della guida) come vivono e cosa mangiano gli appartenenti alla comunità.

Le due precedenti foto sono tratte da Internet in quanto la pioggia ci ha impedito di farne di nuove al nostro arrivo. Solo verso la fine della visita il tempo è cambiato e ci ha permesso di prendere qualche istantanea prima di ripartire con il battello:

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Questo è il pavimento delle isole galleggianti: un tappeto di canne…

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Questa bella e sorridente signora Uros ci sta spiegando il metodo usato per costruire l’isola e far sì che non affondi. In un’estesa riserva ecologica presente nel lago:

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essi tagliano e raccolgono un certo numero di parallelepipedi galleggianti (altro non sono che le radici delle canne stesse):

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Legando fra loro questi parallelepipedi, ottengono un insieme galleggiante piuttosto robusto:

Con le canne formano delle fascine e le sovrappongono ai parallelepipedi, alternandole come direzione in modo da non lasciare spazi vuoti, ottenendo così il pavimento su cui muoversi. Man mano che, a causa della pioggia, le canne del pavimento marciscono, aggiungono delle nuove fascine e la vita dell’isola può continuare. Queste piattaforme galleggianti vengono ancorate come una qualsiasi nave, altrimenti il vento e le correnti del lago le sposterebbero velocemente dalla loro posizione di partenza. Una torre di vedetta permette di controllare la situazione logistica della propria isola e delle isole vicine:

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La barca che si vede nella foto (anch’essa fatta di canne e quindi soggetta a deperimento) viene usata per la pesca, attività che fornisce gran parte del cibo giornaliero di questa popolazione. Vicino alla radice le canne totora sono commestibili e la guida, per dimostrarlo, ne ha staccato un pezzetto e se l’è mangiato. Poi ne ha offerto un po’ anche a noi… ma tutti abbiamo cortesemente rifiutato. Sorpresa

Di barche ce ne sono di vario tipo e vengono adoperate per far fare ai turisti, a pagamento, dei giri sul lago:

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Gli Uros per le attività giornaliere usano invece barche più moderne, spesso motorizzate e meno deperibili…

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Ecco l’interno di una casa:

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Un bar per turisti con un tetto più solido:

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Terminata la visita alle isole galleggianti, risaliamo sul battello e facciamo rotta verso l’isola di Taquile, a una ventina di km. da qui. L’acqua del lago Titicaca al momento è quieta e così la moglie del guidatore del battello può dedicarsi in santa pace al suo lavoro di uncinetto:

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Dopo circa due ore di navigazione arriviamo sull’isola:

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Un cartello ci dà il benvenuto e ci avvisa di non regalare caramelle ai bambini e, se possibile, di evitare di fotografarli, a meno di non dare loro una piccola mancia…

Per arrivare nel centro del paese ci aspetta un panoramico sentiero lastricato con una pendenza terribile adatta a persone allenate alle passeggiate in montagna e finalmente capiamo perché la nostra guida porta in spalla una bomboletta di ossigeno! Vi ricordo che qui siamo quasi a 4000 metri sul livello del mare e non poche volte qualche turista ha avuto problemi di respirazione nell’affrontare questa salita:

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Si capisce che la salita è dura? Con la lingua fuori

Fortunatamente l’intrepido gruppo sopporta bene la fatica e, ancora vivo, arriva al traguardo dove ci aspetta una moltitudine di abitanti dell’isola del tutto indaffarata a lastricare la Plaza de armas. E’ un vero spettacolo vedere buona parte della comunità, uomini e donne, riunita per lavorare insieme a uno stesso progetto e, naturalmente, gratis. C’è chi scava, chi raccoglie in sacchi il sovrappiù di terra, chi taglia le pietre in misura e chi, infine, le posiziona:

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Sull’isola vive una comunità di circa 2500 persone soggette a un sistema sociale che poggia su 25 autorità (rigorosamente solo uomini) che durano in carica un anno e vengono eletti in piazza per alzata di mano. Anche i turisti presenti sull’isola al momento delle elezioni possono dare il loro voto! Le autorità sono al servizio della comunità ogni giorno per almeno tre ore, mentre per il resto della giornata possono dedicarsi agli affari della propria famiglia. Costoro si riconoscono dal tipico abbigliamento: cappello sopra la cuffia di lana e una larga fascia colorata in vita a cui è legata una speciale borsa. Nella foto sotto se ne vedono tre che sorvegliano che il lastricato venga fatto ad opera d’arte.

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Sull’abbigliamento dei taquilegni ci sarebbe da scrivere un trattato, ma, per evitare di dire inesattezze, mi limiterò a brevi accenni. Essendo persone generalmente taciturne essi lasciano che a parlare siano alcuni capi del loro vestiario. Per le donne parlano la mantella copricapo e la gonna: quelle sposate ce l’hanno entrambe nere. Guardate la foto sotto e facilmente scoprirete la donna non maritata:

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Per gli uomini dice tutto la cuffia allungata con pon pon e paraorecchie che portano sempre in testa (il cosiddetto chullo). Salvo errore o confusione, se il pon pon pende a destra del viso l’uomo è fidanzato, se pende a sinistra significa che è sposato. Se il pon pon non pende nè a destra nè a sinistra immagino voglia dire che l’uomo è libero oppure che vuole essere lasciato in pace…

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Un isolano felicemente scapolo.

Gli uomini, di norma, masticano foglie di coca e quando sono vecchi sulle loro guance si vede un caratteristico rigonfiamento:

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Quasi tutti gli anziani, per sentirsi ancora utili, lavorano all’uncinetto:

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Le donne, forse per proteggersi dal freddo, portano un certo numero di gonne e sottogonne che le fanno sembrare più grassottelle di quanto siano in realtà: che sia una malizia di queste parti per attrarre il maschio? I bambini vanno tutti a scuola e hanno la stessa divisa anche se qui non ci sono grandi differenze sociali. Sull’isola ci sono scuole fino alle classi superiori: chi vuole frequentare l’università deve andare a Puno.

Una volta alla settimana in piazza si celebra il baratto, cioè lo scambio di merce. La religione vigente è quella cattolica e il divorzio non è ammesso. Un uomo e una donna possono convivere e avere un figlio senza essere sposati. Il matrimonio è molto costoso in quanto si deve offrire da mangiare a tutta la comunità. Si parla di circa una quarantina di pecore da dare in pasto ai partecipanti alla grande festa di nozze e ogni pecora costa una cifra per loro enorme (circa quaranta dollari). Di solito le nozze delle coppie che convivono vengono organizzate dopo la nascita di un figlio. Da fidanzati o conviventi è possibile lasciarsi ma, una volta sposati non è più permesso. Il coniuge che desidera separarsi deve lasciare l’isola per sempre e andare a vivere altrove.

Pur avendo a disposizione un lago ricco di pesce, la popolazione di Taquile non ama la pesca, preferisce coltivare la terra (la presenza delle terrazze di origine pre-inca ne è il segno evidente) e allevare il bestiame. L’unico albero che attecchisce qui è l’eucalipto, il resto della vegetazione è composto da arbusti tipici di un territorio desertico.

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Sull’isola non ci sono ristoranti ma le famiglie a turno ospitano gruppi di turisti dietro il pagamento di una somma piuttosto modesta.

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A noi hanno offerto pesce non pescato da loro ma acquistato a Puno, riso in bianco e tre tipi di patate. Una con la buccia marroncina come le nostre, ma più piccola, una dalla buccia viola e un’altra a forma di carota, tutte cotte al vapore. Io le ho assaggiate ma non ce l’ho fatta a finirle: avevano un sapore indefinibile e non propriamente gradito al mio palato che rifiuta cibo sconosciuto. Ma, come ormai sapete, quanto a gusto io non faccio testo.

Terminata la visita a Taquile, non ci resta che riprendere il battello per tornare a Puno. Prima di raggiungere l’albergo, gironzoliamo un po’ nella via principale della città. La strada è piuttosto affollata e con grande sorpresa notiamo che diversi ristoranti sono gestiti da italiani o figli d’italiani, provenienti dal Veneto:

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Siccome oggi mi sono dilungato troppo, chi vuole approfondire la conoscenza degli Uros e delle loro isole galleggianti, osservare dal vivo la comunità che vive sull’isola di Taquile e dare un’ulteriore occhiata a Puno, una città di circa 180.000 abitanti, può cliccare sull’immagine che segue e guardare il filmato relativo a questa nostra giornata in Perù:

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Appuntamento alla prossima puntata!

Nicola

Crediti: le foto di questa puntata, a parte le prime due, sono tutte originali e scattate da Barbara e Sergio, Giorgio e Chicca. Il filmato, come sempre, è stato girato ed elaborato da me.

Mercoledì 2 Settembre 2015, Arequipa.

Dopo la lunga tirata di ieri (con incidente al pulmino) che da Nazca ci ha portato a Arequipa verso mezzanotte, la nuova guida, bontà sua, ci concede di dormire fino alle otto per potere affrontare, un’ora più tardi, dopo un’abbondante colazione, la visita della città. Dalle finestre dell’Hotel a cinque stelle El Cabildo che ci ospiterà anche stanotte, abbiamo un’ottima vista dei tre grandi vulcani Pichu Pichu, Chachani, El Misti caratteristici della zona, l’ultimo dei quali è ancora attivo e incombe minaccioso sulla città:

I tre vulcani fotografati ieri sera

Vulcani Chachani e El Misti

Il Chachani a sinistra e El Misti a destra, del quale si intravede un pennacchio di fumo…

El Misti

El Misti e, sotto, la città di Arequipa

Arequipa, 1.200.000 abitanti, fu fondata nel 1540 dagli spagnoli, attratti dalla rigogliosa valle bagnata dal fiume Chili ed è conosciuta come la città bianca per il colore chiaro delle pietre vulcaniche con cui vennero costruite le prime case. Altri invece dicono che il nome deriva dal fatto che è stata fondata da uomini bianchi. Ci sono altre versioni per spiegare il nome della città, come si legge su Wikipedia: una dice che quando i sudditi dell’Inca Mayta Cápac, meravigliati dalla bellezza della valle del Chili, gli chiesero il permesso di fermarsi per costruire lì una città, egli rispose in lingua quechua Ari qhipay, cioè sì, fermatevi qui. Un’altra versione fa risalire il nome della città a una parola nella lingua aymara degli indigeni: ari qquepan, una conchiglia marina utilizzata come tromba bellica per suonare la carica delle truppe.

Arequipa è una città ricca, perché, oltre all’agricoltura con le sue coltivazioni intensive di frutta, legumi, cotone, nelle vicine montagne ci sono grandi giacimenti di argento, oro e rame. Comunque, come succede in molte parti del mondo, la ricchezza non è mai distribuita equamente, perciò le periferie raccolgono la parte della popolazione più povera. Il traffico in città è caotico e presto l’inquinamento raggiungerà i livelli critici di Lima. Arequipa è ricca anche di costruzioni di pregio in parte risalenti all’occupazione spagnola, di belle chiese barocche, di monasteri e di viste panoramiche da mozzafiato. Una di queste è il cosiddetto Belvedere di Carmen Alto che è la prima tappa del nostro giro turistico odierno in città: qui abbiamo potuto ammirare la bellezza e rigogliosità della Valle del fiume Chili, sovrastata dal vulcano El Misti:

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El Misti nella nebbia mattutina…

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Alcuni prodotti della Valle del Chili

La seconda tappa, che raggiungiamo in pulmino, è il quartiere Yanahuara con la bella Chiesa di San Giovanni Battista, una scenografica piazzetta e una vista panoramica della città vecchia:

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Chiesa di San Giovanni Battista

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Sembra impossibile, ma c’è anche chi dorme davanti alla propria mercanzia…

A piedi poi abbiamo raggiunto l’antica Chiesa della Compagnia di Gesù (1600-1660) con a sinistra dell’altare la Cappella di Sant’Ignazio e, subito adiacente uno splendido Chiostro. La facciata della chiesa è un notevole esempio di barocco meticcio arequipegno, mentre la cappella è soprannominata Cappella Sistina per i suoi affreschi ispirati alla flora e alla fauna amazzonica che ricoprono sia le pareti che la cupola. Nel chiostro, oggi, ci sono negozi di souvenir, mostre di pittura e quant’altro.

Chiesa della Compagnia di Gesù

Cappella di Sant'Ignazio

Chiostro Chiesa Gesuiti

Chiostro

L’altra visita importante della mattinata è il Monastero di Santa Catalina. Si tratta di un’estesa costruzione (oltre 20.000 mq.) abitata da suore di clausura domenicane che ora vivono solo in una parte del monastero in stanze più moderne e confortevoli. Quello che visitiamo è la parte antica, non più abitata dalle religiose. Si parte dalle abitazioni delle novizie fino ad arrivare a quelle delle suore che avevano preso i voti perpetui. Della parte più antica abbiamo visto le cucine, il lavatoio, i giardini e i chiostri. Nel monastero, che per certi versi sembra una città in miniatura, colpiscono i colori vivi (il rosso e il blu) delle pareti esterne delle varie abitazioni che segnalano ai visitatori quali sono le zone riservate alle novizie e quali quelle destinate alle suore di clausura.

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Agli albori dell’ordine monastico, molte novizie erano le seconde figlie femmine di famiglie spagnole molto ricche che entravano giovanissime in convento portando con sé fino a quattro serve in pro del fatto che i genitori facevano sostanziose offerte in denaro o dono di possedimenti al monastero. Dunque le (sfortunate) giovinette conducevano una vita ritirata ma senza privarsi del lusso a cui erano abituate: questo finché il Papa non intervenne duramente per cancellare ogni privilegio e permettere l’ingresso in convento anche di donne davvero interessate a una vita di preghiere e di rinunce. Architettonicamente il monastero non ha un grande pregio, però è interessante visitarlo per i numerosi disimpegni (giardini e chiostri) dove sostare in religioso raccoglimento, per il sapiente uso dei colori, per le strette e fiorite strade di collegamento e per i tanti archi di sostegno fra le casupole. Un’attenta manutenzione, infine, ha reso questo convento un luogo molto gradito ai visitatori, un must dove sbizzarrirsi a fare un’infinità di foto e filmati.

Terminata questa visita, la guida ci abbandona in Plaza de Armas, (tutte le città e i paesi in Perù, hanno questo tipo di piazzale) lasciandoci liberi di esplorare Arequipa a nostro piacimento, ma prima ci dà appuntamento per le sette di domani per intraprendere il nuovo trasferimento che ci porterà alla città di Puno.

La piazza è circondata da ariosi portici, ha al centro un bel giardino e su un lato c’è la Cattedrale che, purtroppo, è chiusa per restauro.

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Cattedrale

Non vi ingannino le foto, alcune le ho scaricate da Internet perché la piazza è circondata da strade con un traffico di automobili e bus così caotico che è impossibile riprenderla come si vorrebbe.

E’ ora di pranzo e perciò ci fermiamo a mangiare un boccone in una trattoria dai prezzi modici ma con un menù poco fantasioso in cui il pollo è piatto forte: per quanto mi riguarda passeranno parecchi giorni prima che io trovi qualcosa di veramente sfizioso da gustare in Perù. Ma io sul cibo non sono un grande intenditore…

Dopo mangiato ci rimettiamo in moto e girovagando per il centro diamo un’occhiata ai negozi e alle persone. La gente in gran parte veste all’occidentale. Sono pochi coloro che hanno abiti tradizionali e folcloristici: questo forse perché è un giorno feriale e molti sono al lavoro:

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L’ultima visita della giornata è al Museo Andino Santury, non lontano dalla Plaza de Armas. Lì vediamo, oltre a vari oggetti preziosi e stoffe di epoca inca, la mummia di una bambina sacrificata alle divinità circa 550 anni fa con un preciso rituale: si tratta della famosa Juanita, la principessa dei ghiacci, ora conservata in una teca climatizzata:

Juanita, regina dei ghiacci_1

La mummia di questa bambina di 12 o 14 anni fu scoperta nel 1995, dopo un grosso terremoto, alla base del Monte Ampato, un monte sacro durante il regno degli Inca, dall’antropologo Johan Reinhard che poi scrisse su di lei un libro dove racconta come Juanita fu trovata e come venne sacrificata. La bambina,  accompagnata a Cusco da un gruppo di persone importanti della regione, venne presentata all’Inca Pachacútec in modo che lui le trasmettesse la sua divinità. Qui venne uccisa secondo il rito Capaccocha dai sacerdoti inca: dopo essere stata addormentata, un colpo mortale all’arco sopraccigliare destro avrebbe portato la fanciulla in contatto con gli dei della montagna in un viaggio senza ritorno verso la divinità.

La scienza moderna, con lo studio del DNA di Juanita, è riuscita a carpire molte informazioni sullo stato di salute (malattie, batteri, eccetera) della popolazione inca vissuta qualche anno prima dell’arrivo degli spagnoli in Perù.

Siccome non era possibile fotografare la mummia, ho fatto ricerche in Rete e dopo un sacco di tentativi a vuoto (le foto che la ritraggono sono state quasi tutte oscurate o cancellate) sono riuscito a trovarne tre decisamente valide e che sottopongo alla vostra attenzione, sperando che non vengano oscurate anche queste. Nel post ho inserito la più riuscita, le altre due, altrettanto interessanti, le ho messe nel filmato allegato che potete vedere cliccando con il mouse nella foto qui sotto:

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Si conclude così la nostra unica giornata a Arequipa. Domani si riparte per Puno…

Alla prossima.

Nicola

Crediti: alcune foto le ho scaricate da Internet, tutte le altre sono originali e sono state scattate dai soliti amici che erano con me in Perù: Sergio, Barbara, Giorgio e Chicca. Mio è il video e l’elaborazione al computer. Le notizie storiche e alcune informazioni di carattere generale le ho ricavate da articoli scovati in Rete e spulciando Wikipedia.

1° Settembre 2015, martedì, Nazca

Mettiamo la sveglia alle 5.30 per essere pronti alle 7, con appresso le valigie, ad affrontare una lunga giornata di trasferimento con il pulmino che, secondo programma, ci deve portare a Arequipa in 11 ore, dopo avere macinato circa 570 km. sulla Panamericana Sud. La nebbia mattutina che nasconde il cielo rende indistinto il paesaggio quando lasciamo Nazca. Per fortuna non fa molto freddo: la temperatura si aggira sui 18 gradi.

Mappa Parziale Nazca-Arequipa

Anche la periferia di Nazca fa pena: strade sterrate con le solite bidonville già viste a Lima. Usciti dalla città, dopo pochi chilometri ci si immerge nel deserto: qui, per lunghi tratti, l’unica cosa viva è la famosa autostrada ben asfaltata e ben mantenuta: a sinistra ci sono nude montagne sabbiose, a destra pianure estese dove, di tanto in tanto, compaiono delle casupole, ma non si capisce se sono abitate o abbandonate:

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Per passare il tempo cerco di imparare i segnali stradali che incontriamo. Un modo come un altro, questo, per capire la mentalità del paese che stiamo attraversando: No corras ta familia te espera (non correre la tua famiglia ti aspetta), No adelantar (non sorpassare), Feliz viaje (Buon viaggio), respeta las señales (rispetta i segnali stradali), Curva peligrosa (curva pericolosa) Pare! (Stop), Derrumbes (Frane), derecha (destra), salida (uscita), entrada (entrata).

Arrivati nel distretto di Marcona facciamo una deviazione. Barbara ha letto da qualche parte che a Punta San Juan c’è una riserva naturale molto bella con otarie, leoni marini e pinguini, oltre a varie specie di uccelli che, sebbene sia poco nota al turismo di massa, forse vale la pena di visitare.

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Dopo vari tentativi falliti di trovare la strada per arrivarci (gli abitanti del paese ci danno indicazioni molto vaghe o sbagliate) ci rechiamo nel municipio di San Juan e chiediamo se qualcuno può darci una mappa o, al limite, accompagnarci alla riserva. Dopo tanto girare a vuoto finalmente siamo fortunati perché in uno dei tanti uffici comunali incontriamo Imena e Fabiana, due giovani e simpatiche biologhe che collaborano con i responsabili della riserva e che, senza farsi troppo pregare, acconsentono di accompagnarci in loco precedendoci con la loro auto. La strada sterrata, tanto per cambiare, è piena di buche profonde e dossi alti e irregolari tali da farci sussultare quasi fossimo su un barcone in balia di un mare in tempesta: il pulmino rischia seriamente di distruggere le sospensioni e quant’altro:

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E’ noto che la sorte aiuta gli audaci e così, pur con le budella ormai in gola, arriviamo all’agognato Mirador, un punto di osservazione privilegiato della riserva:

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Barbara ci riprende con le due giovani biologhe peruviane e il nostro autista

Effettivamente la riserva di Punta San Juan meritava di essere vista, ma, per essere apprezzata in pieno, avremmo dovuto entrare nel promontorio e camminare a pochi passi dalle otarie, cosa che non ci viene concessa perché tutta la zona è protetta da un alto muretto e il guardiano, che è in giro per i suoi controlli, non sente le nostre urlate richieste di aprirci le porte di questo paradiso naturale. Non ci resta che ringraziare le due biologhe e riprendere il cammino verso Arequipa.

Sono le 10 del mattino, tra le nuvole fa la sua comparsa il sole e così è meno noioso affrontare di nuovo il deserto e il ripetitivo paesaggio di montagne e pianure sabbiose che si presenta davanti ai nostri occhi. A un certo punto l’autista ferma il pulmino per farci vedere gli effetti di un recente terremoto che ha colpito il Perù. Con molta circospezione ci avviciniamo a una profonda fossa aperta nel terreno che divide in due la pianura per chilometri e chilometri. Di sicuro un terremoto in grado di aprire una simile spaccatura deve avere prodotto seri danni alle persone e ai paesi investiti da questo terribile fenomeno naturale:

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Verso le 11, a 92 km. da Nazca, arriviamo a Puerto Lomas, una spiaggia molto frequentata d’estate:

Puerto Lomas

Puerto Lomas2

Puerto Lomas4

Ovviamente non abbiamo tempo per fermarci e proseguiamo il nostro cammino in direzione di Arequipa. Le uniche soste che facciamo sono riservate a problemi idraulici di noi uomini: foto oscurata per ovvie questioni di decenza… Sorriso

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Più tardi, dopo avere fatto una nuova deviazione, ci fermiamo a Yauca, un paese dove il nostro autista conosce una rivendita dove si può degustare e acquistare ottime olive verdi e nere sott’olio o sott’aceto di produzione locale:

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Rientrati nella Panamericana Sud, durante il tragitto, incontriamo un cartello che segnala il paese di Puerto Inka, altra famosa località balneare e archeologica, ma, dato che non si può vedere tutto, evitiamo di andarci. Comunque da Internet ho scaricato alcune foto giusto per sapere cosa abbiamo perso:

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Proseguendo, di lì a poco ci fermeremo per fare colazione a Chala, un paese di pescatori situato in una splendida e panoramica baia:

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A farci compagnia durante la sosta, in un recinto riparato dal sole, c’è un simpatico esemplare di alpaca, un camelide che vive allo stato brado in diverse zone del Perù:

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Alle 14.30, rifocillati alla buona, riprendiamo il viaggio. Ora affrontiamo zone montuose dove la roccia è molto friabile e tende a cadere sul selciato insieme a sabbia (sono segnalate come zone di arienamento). A un certo punto, infatti, incontriamo una squadra  di operai che, con una ruspa e badili, liberano la carreggiata dai massi e dai detriti sabbiosi staccatisi dalla montagna:

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A montagne e deserto, però, più avanti si alternano vallate rigogliose: la più bella delle quali la vediamo a Ocoña, lambita dall’omonimo fiume che sfocia nell’oceano:

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Ocoña

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Verso le 17 attraversiamo Camanà, una cittadina di 18.000 abitanti:

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Ammucchiata di operai che tornano a casa dopo una dura giornata di lavoro:

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anche il gregge di pecore torna sazio all’ovile:

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Come si può osservare guardando la cartina pubblicata all’inizio del post, superata Camanà, la Panamericana Sud abbandona la costa e l’Oceano Pacifico e s’inoltra all’interno del Perù dove è situata Arequipa. La strada ora comincia a salire e il nostro pulmino, al pari dei grossi camion che incontriamo, è costretto a diminuire la velocità:

Strada verso Arequipa

Come si può notare dalla foto sopra, ormai il sole sta calando e siamo a 178 km. da Arequipa… A questo punto capita quello che nessuno di noi si augurava: il pulmino segnala un problema al radiatore. L’autista è costretto a fermare il mezzo in un tratto di salita molto stretto e con le montagne che incombono ripide a destra e a sinistra del ciglio della strada quasi inesistente. E’ ormai buio. Sotto il muso del pulmino una chiazza d’acqua si allarga a vista d’occhio: si è forato il radiatore, forse per colpa di un sasso presente sulla carreggiata o forse perché l’agenzia ci ha appioppato un mezzo vecchio e ormai usurato. Seguono telefonate concitate tra l’autista e la sua ditta. L’unica cosa che capiamo è che l’uomo deve mettere in atto un trucco per poter proseguire quel tanto da raggiungere un’officina o, per lo meno, per toglierci da quel punto pericoloso della strada. L’autista, infatti, si stende sotto il pulmino e opera ciò che gli è stato suggerito. Quando finisce, riempiamo d’acqua il radiatore e aspettiamo qualche minuto per controllare che la riparazione tenga.

Visto che il radiatore non perde più, ripartiamo sperando di arrivare sani e salvi a Arequipa: purtroppo non è così. Dopo una decina di chilometri l’autista è costretto a fermarsi di nuovo: il radiatore non ha retto allo sforzo che il pulmino è costretto a fare visto che siamo in montagna e le salite non sono uno scherzo. L’unica nostra consolazione è che abbiamo raggiunto un tratto pianeggiante dove c’è una piazzola che ci permette di uscire dalla pericolosa carreggiata e, inoltre, dall’altra parte della strada c’è un capannone dove si fermano diversi camion per sostare prima di riprendere il viaggio:

0330a                  the van died!!

A questo punto partono nuove telefonate tra l’autista e l’agenzia di viaggio per ottenere un altro mezzo di trasporto, perché quello a nostra disposizione non è più utilizzabile. Cominciamo ad arrabbiarci e a temere che saremo costretti a passare la notte in strada, dato che non si riesce a capire come e quando qualcuno verrà a riprenderci. Non la faccio lunga: dopo un certo numero di chiamate a mezzo mondo, finalmente ci assicurano che nel giro di un paio d’ore verremo recuperati. Le ore, in realtà, saranno quattro, ma un pulmino nuovo di zecca, finalmente, arriva e ci porta, stremati e infreddoliti, a Arequipa. E’ praticamente mezzanotte: il trasferimento da Nazca a Arequipa, un po’ per colpa delle deviazioni da noi fatte fuori programma e molto di più a causa della rottura del mezzo, è durato più di 17 ore…

Per fortuna l’albergo El Cabildo, 5 stelle, è all’altezza delle aspettative e la cena fuori orario ci viene servita comodamente in camera.

El Cabildo Hotel

Ovviamente, dopo mangiato, andiamo subito a letto. L’indomani, manco a dirlo, sarà una giornata intensa…

Se volete rivivere con noi questa interessante giornata in Perù, basta cliccare con il mouse sulla foto seguente che fa vedere quanto è bello il mare a Puerto Inka:

Puerto Inka

Alla prossima!

Nicola

Crediti: Le foto, come al solito, sono quasi tutte originali e sono state scattate da Barbara e Sergio, Giorgio e Chicca. Ringrazio gli autori delle foto che ho scaricato da Internet. Il filmato, come al solito l’ho girato e rielaborato personalmente.

Lunedì 31 Agosto 2015, Paracas.

Non c’è niente da fare: anche oggi sveglia antelucana perché, a detta della nuova guida locale, il programma della giornata è intensissimo. Non ci resta che abbozzare e, giusto per potere scattare qualche foto ricordo della location hollywoodiana dell’hotel che ci ha ospitato per una notte, ci alziamo persino qualche minuto prima dell’orario stabilito. Con le foto e il filmato a mo’ di prova inconfutabile, potremo sempre raccontare agli amici che in quell’albergo ci abbiamo passato diversi giorni conducendo una vita da nababbi…

La prima meta della mattina è il porto di Paracas dove, insieme ad altri gruppi di turisti, prenderemo un battello veloce che ci porterà alle Isole Ballestas, una famosa riserva naturale di diverse specie di uccelli (pellicani bruni, sule variegate, cormorani peruviani, cormorani dalle zampe rosse, sterne) e di fauna marina (otarie, pinguini, leoni marini) che qui convivono senza darsi fastidio l’un l’altro e dove non è permesso ai turisti di mettere piede. C’è cibo per tutti nel mare e a farne le spese sono soprattutto i pesci piccoli. Non essendoci spiagge ma solo scogliere rocciose gli uccelli devono sostare sulla terraferma per cui il suolo è ricoperto dei loro escrementi che arricchendosi di azoto vanno a formare il guano, un fertilizzante molto potente che viene raccolto ogni dieci anni ed esportato in tutto il mondo, rappresentando così una notevole fonte naturale di reddito per il Perù.

Da segnalare e fotografare, prima di arrivare alle isole Ballestas, sulla penisola di Paracas, il notissimo candelabro, un geroglifico di origine sconosciuta:

Candelabro_de_Paracas

Sul suo significato intrinseco ho letto varie interpretazioni che però sono solo ipotesi: a) faro per i naviganti, b) sagoma di cactus, c) costellazione della croce del Sud. Essendo inciso in un terreno sabbioso sorge spontanea la domanda: come mai nel tempo non si è mai ricoperto, scomparendo così alla vista? Il candelabro, a detta della guida, sfruttando gli agenti atmosferici del luogo, si auto-pulisce e perciò, da secoli, rimane inciso nel terreno. Per la stessa ragione non scompaiono le altrettanto famose Linee di Nazca, create dall’uomo (forse) nell’antichità e che vedremo nel corso della giornata. La spiegazione scientifica più accreditata è questa: essendoci una notevole escursione termica tra il giorno e la notte, all’interno dei solchi tracciati e induriti la pressione atmosferica produce un mulinello d’aria che asporta l’eventuale polvere sabbiosa che si è depositata lì durante il giorno.

In mezz’ora di navigazione con un mare non proprio calmissimo e un vento pungente, arriviamo alle Isole Ballestas e subito le macchine fotografiche e le videocamere di noi turisti entrano in funzione tutte in contemporanea: in effetti ciò che appare davanti a noi è uno spettacolo decisamente fuori del comune. Ogni punto di queste isole rocciose è un soggetto degno di essere immortalato: anch’io cerco di darmi da fare più che posso anche se il mare è agitato e il battello ondeggia parecchio. Mentre la guida spiega in più lingue ciò che stiamo vedendo, tutti cercano di inquadrare gli uccelli sia fermi che in volo, il piccolo pinguino in cima a una collina, le otarie nere in acqua ma marroni quando dormono sulle rocce, il poderoso leone marino, un gruppo di cormorani in volo radente in perfetta formazione: insomma questo luogo è il paradiso agognato da fotografi sia dilettanti sia professionisti dove scattare centinaia di foto da far vedere agli amici o da vendere a riviste specializzate.

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Le macchie bianche sulle rocce visualizzano molto bene la produzione di guano…

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Dopo un recente terremoto, l’isolotto sulla destra è ciò che resta della roccia che lo univa alla sporgenza sulla sinistra formando il cosiddetto “castello” visibile in una vecchia foto scaricata da Internet:

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Sul versante di sinistra della collina quella macchia nera altro non è che un colonia di cormorani a riposo!

Cormorani in formazione

Ecco un gruppo di cormorani in uno spettacolare volo radente sincronizzato!

Tornati a riva, un po’ congelati ma molto soddisfatti, riprendiamo il pulmino e ci dirigiamo verso Nazca. Durante il percorso, di tanto in tanto, incontriamo degli agglomerati di casupole, unico segnale di vita nel deserto, e poi una cittadina che si chiama Ica:

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Qui vediamo per la prima volta dei curiosi taxi a tre ruote variamente colorati:

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Non lontano da questa cittadina si trova l’Oasi di Huacachina che compare al viaggiatore alla stregua di un miraggio nel bel mezzo di un deserto:

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Oasi Huacachina

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Salire su queste colline sabbiose è faticosissimo: a ogni passo fatto il piede affonda e scivola indietro. Quindi 200 passi in salita equivalgono a quasi il doppio, oltretutto percorsi in pieno sole… Per un turista grassottello e sedentario come me arrivare in cima a una collina di quel tipo è un’impresa memorabile accolta con applausi da buona parte (magra) del gruppo che era già lì da un pezzo!

A termine dell’escursione pranziamo in un buon ristorante dell’oasi e subito dopo riprendiamo il viaggio in pulmino. A pochi chilometri da Nazca ci fermiamo a un belvedere (Torre Mirador, una piattaforma metallica alta una decina di metri) nel deserto dove è possibile ammirare un paio delle famose Linee di Nazca tracciate tra il 500 a.c. al 500 d.c. dagli antichi abitanti della zona. Nella foto che segue ci sono le mani (a destra) e l’albero (a sinistra).

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La foto aerea non rende bene l’effetto grafico di queste famose linee, ma nel filmato allegato le potrete osservare meglio.

Dopo questa breve sosta siamo di nuovo in movimento diretti verso la meta finale della giornata: Nazca in una foto d’archivio aerea.

PanoramaNazca

E’ quasi sera quando arriviamo in città e così, avendo ancora un po’ di tempo, la guida ci porta a visitare il Museo Didattico Antonini costituito da un italiano e che adesso è anche sede del Centro Italiano di Ricerche Archeologiche Precolombiane:

 Museo Antonini

Qui vediamo diverse tombe e mummie oltre a oggetti di uso comune prima che Colombo scoprisse l’America:

Museo Antonini_Mummia

Museo Antonini_Mummia1

Museo Antonini_Tazza1

e un antico e ancora funzionante acquedotto (Acquedotto di Bisambra):

Museo Antonini_Acquedotto

Dopo quest’ultima interessante visita, finalmente raggiungiamo l’hotel Nazca Lines:

Hotel Nazca Lines

dove mangeremo e andremo subito a dormire, per nulla attratti dalle splendide e curate piscine che abbiamo intravisto dalle finestre delle nostre camere. Oggi abbiamo visitato luoghi e guardato cose memorabili macinando più di 200 chilometri: l’allegro gruppo, sebbene affaticato, non può certo lamentarsi…

Chi desidera approfondire la conoscenza di questa parte del nostro viaggio in Perù, può cliccare sull’immagine seguente che porta al filmato del giorno:

Mappa Paracas-Nazca

Arrivederci alla prossima puntata!

Nicola

Crediti: alcune foto aeree le ho scaricate da Internet, ma la maggior parte sono state scattate da mia moglie o da me. Il filmato, come sempre, è un condensato di lunghe riprese realizzate con una buona videocamera Canon. La parte di video relativa alle Isole Ballestas risulta un po’ mossa non perché mi tremava la mano, ma perché eravamo su un battello e il mare non era molto calmo… Occhiolino