Oggi, osservando la parte sinistra della home page del mio blog qui sulla piattaforma WordPress, mi sono accorto di avere raggiunto un traguardo che, a prima vista, sembra essere davvero riguardevole.

    Orpo! ho esclamato con malcelato orgoglio.

    Chi l’avrebbe mai detto che, con le mie facezie lanciate quasi settimanalmente nell’immenso oceano web, avrei raggiunto più di 500 individui! Tra questi ci sono uomini e donne in carne e ossa che conosco e frequento nella vita reale ma, in maggioranza, ahimè, si tratta di conoscenze puramente virtuali.

    Quasi volando a 10 centimetri dal pavimento (purtroppo il soffitto di casa mia non è altissimo) sono andato in cucina, ho stappato una bottiglia di champagne (una di quelle costose che tengo in serbo solo per le grandi occasioni) e con due flûte di puro cristallo di Boemia sono andato in soggiorno dove mia moglie dormiva della grossa davanti alla televisione. L’ho svegliata con delicatezza e le ho spiegato le ragioni dei festeggiamenti in corso. Lei ha aperto un occhio, ha afferrato la flûte, ha bevuto con grande piacere lo champagne francese e si è riaddormentata di nuovo subito dopo avere sentenziato: "Avrei preferito che tu avessi vinto al lotto, così potevamo cambiare la nostra auto vecchia di 15 anni!"

     Dunque, dalla mia signora non ho ricevuto né baci e abbracci né complimenti per il traguardo raggiunto dal mio blog. Di colpo sono ritornato con i piedi per terra e ho capito che la mia gioia di qualche istante prima era esagerata e che il traguardo raggiunto non era quella gran cosa da festeggiare…

    Tornato davanti al portatile ho riaperto WordPress e sono andato nella sezione relativa all’amministratore del mio sito dove vengono elencati tutti gli indirizzi web dei miei seguaci. Ne ho scelto uno a caso e sono andato a visionare il relativo blog. Sorpresa: il blog era inesistente!

Cattura15

    Ne ho aperto un altro, sempre a caso, e questo risultava expired da 71 giorni:

Cattura 

A questo punto mi è venuto un angosciante sospetto e così, armato di santa pazienza, ho cliccato, uno per uno, su tutti gli indirizzi dei miei followers ed è risultato che quasi il 90% dei 500 simpatizzanti o avevano chiuso il proprio blog o non l’avevano aggiornato da un sacco di tempo, forse disamorati dal fatto di avere pochi commenti e scarse visualizzazioni.

    Mi sono cadute, letteralmente, le braccia…

    Inevitabilmente mi sono chiesto: “Perché WordPress non aggiorna il suo database, cancellando i siti inattivi o, al limite, eliminando quelli che non esistono più?”. Uno come il sottoscritto finisce per montarsi la testa credendo di avere tanti affezionati lettori quando, in realtà, su 500 in portfolio, a seguirmi (quando va bene) sono una cinquantina di persone e a leggermi con attenzione/a commentarmi sono (al massimo) una decina. I like di simpatia di certo mi fanno piacere, ma è inutile contarli perché, spesso, sottintendono veloci passaggi senza lettura, cioè sono un puro segno di gentilezza nei miei confronti. I miei post, cosa ormai nota, prevedendo più videate, si possono apprezzare (poco o tanto) solo soffermandosi nel sito diversi minuti.

    Nell’analisi eseguita andando a sbirciare nei siti dei miei 500 followers, ho individuato alcuni blogger russi, alcuni spagnoli, tedeschi e americani: tutta gente simpatica e carina ma che non capisce una sola parola d’italiano e che, difficilmente, possono appassionarsi ai pensieri e alle divagazioni del Signor Giacomo. Fra questi 500 seguaci ho scoperto parecchi blogger che presentano unicamente un loro libro auto-prodotto; dei fotografi bravi ma che pubblicano solo loro foto; alcuni promoter di ditte sartoriali, di prodotti di bellezza femminile, di palestre che offrono sconti ai nuovi clienti, eccetera. Mi pare poco probabile che tutti questi signori e signore possano perdere tempo a leggere i miei lunghi post settimanali…

    Perché, allora, si sono iscritti al mio blog? mi domando. Ovvio che la loro iscrizione non è stato altro che un tentativo di promuovere se stessi o la propria attività imprenditoriale. Infatti la netiquette consiglia di andare almeno una volta a ringraziare del gradito passaggio chi si iscrive al tuo blog. Detto brutalmente, si tratta di spam che non dovrebbe esistere su una piattaforma di prestigio come WordPress che ha la missione di accogliere gente appartenente alla categoria dei blogger, cioè di persone che amano scrivere/leggere e scambiare opinioni sui vari post che vengono pubblicati ogni giorno.

    Nell’elenco dei miei seguaci, infine, ho trovato una folta schiera di bravi e (più o meno) famosi blogger che hanno un bellissimo sito tenuto aggiornato con regolarità, che possono vantare moltissimi commenti e un numero spropositato di aficionados ma che, purtroppo, non amano contraccambiare le visite ricevute.  Con il banale trucchetto dell’iscrizione a un blog, seguito da uno o più like, attirano gente nel proprio sito, la affascinano con la loro bravura, la convincono a iscriversi, aumentando così il target del loro blog, ma poi non contraccambiano mai l’amore e la considerazione appena acquisita. Questi blogger, però, posso giustificarli: avendo tanti commenti a cui rispondere non hanno il tempo materiale di contraccambiare le visite che ricevono. Se lo facessero, sarebbero costretti a stare tutto il santo giorno collegati a Internet.

   Ci sono poi quelli che hanno smesso di seguire il mio blog perché non gradiscono più ciò che pubblico. In questo caso non posso farci niente, però credo che sarebbe più corretto se costoro cancellassero l’iscrizione dal sito che non intendono più visitare, rendendo così davvero onesto e reale il numero di followers che tanto ingolosisce noi (piccoli) blogger.

    E’ ovvio che non si può piacere a tutti. Succede anche ai grandi scrittori-comunicatori di stancare i propri lettori o di avere dei detrattori, ma a me farebbe meno male se un eventuale giudizio negativo sui miei post venisse dichiarato non con l’indifferenza-assenza, ma spiegando il proprio pensiero chiaramente nei commenti, convinto come sono che una critica ben documentata può solo far crescere chi mette in pubblico i propri scritti.

    Termino questa (noiosa) analisi dei dati statistici del mio blog ringraziando con tutto il cuore chi mi segue con costanza e che, di tanto in tanto, spende parte del proprio prezioso tempo per leggere e commentare i miei post. Dunque, è con questi 30/40 amici che oggi festeggio, con grande allegria, un traguardo piccolo ma per me importante, fregandomene altamente dei cosiddetti followers fantasma…

Brindiamo

   

Alla prossima.
Nicola

Crediti: alcune delle immagini pubblicate nel post le ho trovate su internet e ai rispettivi autori va il mio più sentito grazie.

Il momento che stiamo vivendo è bruttissimo non solo per la cattiva situazione economica che c’è in molti paesi del mondo, compreso il nostro, ma anche per le terribili guerre che si stanno combattendo non lontano da noi. I morti e i feriti nei combattimenti ormai non si contano più e non fanno più nemmeno notizia sui giornali o sui telegiornali. Se potessi, con una bacchetta magica, farli terminare non ci penserei nemmeno un istante.  Vivere in pace sul nostro martoriato pianeta è un’utopia che i signori della guerra disdegnano a priori. Eppure la pace, a parole, la sostengono tutti…

Per distogliere dalla mente questi tristi pensieri, faccio ricorso a un breve capitolo del primo libro che ho scritto parecchi anni fa ricordando una guerra particolare e abbastanza cruenta, ma senza morti e feriti, a cui ho assistito quand’ero bambino.

Buona lettura.

Nicola

La guerra del latte

Mucca1

L’estate del 1952 si presentava, in modo non difforme da tutte quelle precedenti, calda, stupendamente oziosa, inframmezzata dai soliti lavoretti fatti giusto per non dispiacere ai nonni che lo ospitavano nella masseria a Incoronata in Puglia.
I nonni confidavano molto in Nicola e nella sua capacità di affrontare con grinta la vita. Spettava a lui, in un futuro non lontano, portare la famiglia a un livello sociale più elevato e questo lo obbligava, quasi sempre, a comportarsi in modo da non deludere le loro aspettative.

Per nonno Pietro, Nicola da subito era diventato “il nostro ometto”.

Una simile definizione, se da un lato soddisfaceva la parte più profonda del suo io infantile, dall’altro, gli andava stretta e insopportabile proprio per la responsabilità che essa comportava. Lui avrebbe preferito mille volte di più potersi abbandonare a quelle gratificanti marachelle che sono il vero pane dei bambini della sua età.

Nonostante avesse solo dieci anni, Nicola aveva capito che conveniva dare ai nonni e ai genitori un’immagine di sé il più possibile rassicurante e matura: ciò faceva distogliere il loro sguardo vigile dalla sua persona quel tanto da permettergli un certo margine di manovra. In quei momenti di distrazione familiare, rari in verità, dava il meglio di sé e riusciva a godere di tutte le opportunità che la libertà e la sua fantasia gli offrivano.

Proprio in quei momenti nascevano le “azioni avventurose” più belle.

Con tale espressione, lui e il cugino Pietro, indicavano quei comportamenti che, una volta scoperti, avrebbero avuto ben altri appellativi e sarebbero stati salutati a scapaccioni e non certo a battimani.

Una di queste azioni, rimasta negli annali della famiglia Losito, fu la cosiddetta “guerra del latte”.

Ogni estate, alla masseria si riuniva una folla di parenti provenienti da diverse città d’Italia. I nonni Palmieri avevano generato sette figli e questi, sposandosi, si erano sparpagliati per tutta la penisola. La loro grande casa e le lunghe vacanze scolastiche erano il luogo e l’occasione adatti a riunirne buona parte. Nell’e¬state del ‘52 il lungo tavolo di cucina ospitava almeno venti persone tra adulti e bambini.

Fra questi c’era Pietro, il carissimo cugino di Roma.

Dopo pranzo, il nonno faceva sempre un breve pisolino seduto scomodamente sulla stessa sedia utilizzata poc’anzi per il pasto. La nonna e le donne di casa, figlie e nuore, rassettavano la cucina chiacchierando fra di loro a bassa voce per non disturbarlo. I bambini, se lo desideravano, potevano salire in camera per dormire o leggere.
In campagna non c’erano altre alternative. La temperatura esterna sconsigliava azioni più impegnative. Lui e il cugino Pietro, però, quel giorno non avevano sonno. I giornalini a disposizione erano stati letti e riletti più volte, per cui entrambi vagolavano annoiati per la cucina. Col proposito di fare qualcosa di diverso dall’ascoltare le chiacchiere delle donne, presero il corridoio che, attraverso l’atrio adibito ad attrezzeria, portava alla stalla. Anche qui, con i due cavalli da una parte e le sei mucche dall’altra, si respirava la stessa atmosfera oziosa del dopo pranzo.
Che inventare allora?
Saliti in groppa a Luna e Fiorello, da quell’alta e privilegiata posizione presero a imitare sfrenate cariche della cavalleria contro orde di indiani cattivissimi e dal volto variamente dipinto. A un certo punto, buttando l’occhio dall’altro lato della stalla e vedendo le enormi e gonfie mammelle delle mucche che ruminavano tranquille, a Nicola venne un’idea.

La comunicò al cugino e lui l’approvò immediatamente.

Fu così che i due bambini, afferrate per i capezzoli le mammelle delle due mucche più distanti e spremendole con forza diedero vita, con mirati spruzzi di latte, a una fantastica e combattutissima battaglia. Le mucche, per un po’ li lasciarono fare, poi cominciarono a dare segni evidenti di insofferenza, muggendo e scalciando nel contempo.

Era quello il momento di sospendere le ostilità e porre fine alla guerra.

La battaglia aveva però lasciato visibili macchie sui loro pantaloncini e magliette, macchie che, asciugandosi, si erano trasformate in striature giallastre accompagnate da un acre odore di latte, molto fastidioso all’olfatto. Fu questa la ragione per cui il ritorno in cucina dei due guerrieri non venne accolto con acclamazioni e applausi?
Parrebbe di sì. Il forte olezzo che viaggiava insieme a loro e la situazione disastrosa dei loro indumenti, trasformarono immediatamente l’esito della gloriosa tenzone in una storica disfatta. Mamme e nonni ci misero ben poco a capire cosa i due cugini avevano combinato nella stalla.

Nicola, rincorso da sua madre, si prese subito due solenni sculaccioni e una memorabile tirata d’orecchie. Pietro, prima che la sua potesse afferrarlo per affibbiargli la meritata punizione, fu raggiunto dal bastone che il nonno teneva sempre a portata di mano.

A quel punto successe il finimondo.

Mentre i due bambini piangevano a voce spiegata, la mamma di Pietro, offesa perché a punire il figlio fosse stato il suocero e non lei, iniziò a litigare con la madre di Nicola, colpevolizzandola per non essere mai stata capace in vita sua di bloccare in tempo le malefatte del figlio. Lei, per difendersi, contrattaccò facendo l’elenco delle cose orribili commesse da Pietro sin dal giorno della nascita. I nonni, nel tentativo di frenarle, difendendo ora uno ora l’altro dei nipoti, non fecero che provocare un ulteriore inasprimento della lite che proseguì furiosa per un paio d’ore.

Nessuno, nel frattempo, sembrava più interessarsi di Nicola e Pietro che, archiviato il pianto, si guardarono negli occhi e con gesti del capo e della mano si accordarono per salire in camera da letto e allontanarsi in fretta da un campo di battaglia diventato molto più pericoloso di quello affrontato prima nella stalla.
La guerra del latte si era rovinosamente trasformata nella ”guerra delle zie”, una battaglia così aspra e astiosa da lasciare tra le due donne strascichi e malumori mai interamente sopiti anche dopo anni di successive frequentazioni.

I due cugini, invece, amici per la pelle, nel giro di cinque minuti avevano dimenticato la punizione ricevuta. Dalla camera da letto situata proprio sopra la cucina, se la godettero un mondo nel sentire le loro madri mentre si beccavano in modo così acceso, impegnate, col procedere dello scontro, più nella strenua difesa della bontà e intelligenza del proprio figlio, che nello scusarsi del comportamento incosciente e birichino di entrambi.
Alla masseria una vera pace tornò solo al momento della partenza di Pietro per una nuova destinazione, una settimana dopo. La sua famiglia non si fermava mai per più di un mese in campagna: la loro vacanza, in agosto, proseguiva al lago di Lesina presso i nonni materni. Doversi lasciare così presto, per i due cugini era un grosso dispiacere: in barba alla nota insofferenza fra le rispettive madri, loro due si volevano un bene dell’anima. Il distacco era condito, come sempre, da lucciconi agli occhi. Per Nicola, in assenza del cugino, le “azioni avventurose” ancora possibili in quell’estate che stava volgendo al termine, sarebbero state purtroppo monche di un protagonista attivo ed efficiente.

Mio cugino, in seguito, intraprese la carriera militare in aeronautica, raggiungendo, alla fine, il grado di colonnello. Io, invece, mi laureai in ingegneria elettronica.
Da pensionati, di tanto in tanto, ci incontriamo e, come tutti i vecchi di questo mondo, spesso ricordiamo i bei tempi della nostra adolescenza.
Ci credereste?
Pietro non ha ancora dimenticato il colpo di bastone ricevuto, quella volta, dal nonno e a me provoca ancora sofferenza l’umiliante sculacciata infertami da mia madre di fronte a tutta la parentela.
Se lo incontraste e vi capitasse di parlare con lui della famosa “guerra del latte”, non dategli assolutamente retta.
Quel giorno, la battaglia con le mammelle delle mucche l’ho vinta io.
Giuro.

    Inizio oggi un nuovo reportage. Questa volta non mi sono spinto in mondi lontani come il Perù o la Cina, ma ho rivolto la mia attenzione alla Sicilia, un’isola in cui non avevo mai messo piede per tantissime ragioni, la più importante delle quali era che, avendo avuto le ferie sempre nel mese di agosto, recarmici per visitarla nella nostra stagione più calda mi veniva sconsigliato da tutti.  Così, anno dopo anno, ho sempre rimandato di raggiungere questa meta. Ora, essendo in pensione e potendo disporre liberamente del mio tempo libero, alla fine di maggio di quest’anno (2016) ho accolto l’invito di Teresa e Peppino, una coppia di cari amici siciliani doc e mi sono deciso a fare quel passo nella stagione più acconcia per visitare l’isola.

    Teresa e Peppino sono, al pari di me, milanesi di adozione, con l’unica differenza che io sono pugliese di Foggia solo per nascita, mentre loro hanno vissuto un terzo della loro vita in Sicilia, e ci ritornano regolarmente almeno due volte all’anno per dare un’amorevole spolveratina alle loro radici e per rivedere con piacere parenti stretti e amici. A parte gli anni della prima infanzia, durante i quali passavo l’intera estate fra l’Incoronata (Foggia) in campagna e al mare di Peschici, da quando io vivo a Milano sono tornato in Puglia solo poche volte, promettendo sempre a me stesso di tornarci più spesso.
   
    Dunque, per qualche puntata parlerò di questo viaggio propiziato, tra l’altro, da un pressante invito ad assistere nel teatro greco di Siracusa alle due tragedie in cartellone a fine maggio: l’Alcesti di Euripide e l’Elettra di Sofocle. Confesso che, avendo fatto il liceo scientifico e amando poco il teatro in genere, la cosa mi spaventava oltre che incuriosirmi. Mi spaventava in ragione della mia crassa ignoranza di quel periodo letterario dell’antica Grecia, ma, allo stesso tempo, mi incuriosiva perché volevo capire se il mio rigetto del teatro sia classico sia moderno era definitivo oppure, finalmente, modificabile.

    Milano, Venerdì 27 maggio 2016   
    Partenza da Milano, programmata per le ore 10, con un volo Alitalia. Come di norma, per qualche sconosciuto problema all’imbarco, siamo partiti con un’ora di ritardo e siamo arrivati a Catania alle 13. Stranamente c’è foschia anche se fa abbastanza caldo. Per tutta la durata del viaggio affittiamo un’auto all’Avis e ci avviamo verso Siracusa, la città che sarà il punto centrale da dove giornalmente partiremo per esplorare i luoghi che i nostri amici Peppino e Teresa hanno previsto di farci conoscere in questo nostro primo assaggio della Sicilia e dove ogni sera torneremo per dormire. Io e mia moglie Chicca ci sistemiamo nell’albergo Domus Mariae, mentre i nostri anfitrioni utilizzeranno la loro bella casa di proprietà in Siracusa vecchia.
    
    Usciti dall’aeroporto di Catania prendiamo autostrada (gratuita) e  superstrada così, in meno di un’ora, raggiungiamo Siracusa. Anche se è un po’ tardi per il pranzo ci fermiamo al ristorante "Da Enrico", dove il mio amico Peppino è conosciuto e non fanno storie per servirci. Ottimi antipasti, spaghetti alle vongole veraci, e un delizioso capriccio di cannolo ci fanno dimenticare gli inevitabili piccoli contrattempi avuti durante il viaggio e ci mettono nella condizione mentale e fisica ideale per iniziare la nostra breve vacanza siciliana.

    Sistemati i bagagli, noi in albergo e gli amici a casa loro, ci diamo appuntamento per una prima veloce occhiata alla città. Di nuovo insieme c’incamminiamo lungo via della Maestranza in direzione della Piazza del Duomo.

Duomo di Siracusa

      Una volta lì, dalla Cattedrale sta uscendo una bella coppia di sposi che viene subito attorniata da amici e parenti e dai casuali spettatori presenti nella piazza. Il Duomo, dedicato a Santa Lucia, costruito sopra un antico tempio greco, è il degno coronamento di una lunga, stretta e bellissima piazza su cui si affacciano antichi palazzi con bar, ristoranti e negozi a piano terra. In fondo a destra c’è la Chiesa di Santa Lucia alla Badia aperta per permettere la vista di un famoso quadro di Caravaggio, fuggito precipitosamente da Malta e rifugiatosi a Siracusa nel 1608. Il quadro rappresenta il Seppellimento di Santa Lucia.

Caravaggio_SeppellimentodiSanta Lucia

    Dopo aver gustato un ottimo gelato in un bar di fronte al Duomo, ci avviamo verso la casa dei nostri amici, costeggiando il lungomare, un po’ tormentati dal vento che soffia forte in quella parte dell’isolotto di Ortigia dove ci troviamo e che costituisce la parte antica di Siracusa, oggi legata alla terraferma da tre ponti. Su quest’isolotto sorse il primo nucleo abitativo di coloni corinzi e solo in seguito la popolazione si estese sulla terraferma. Come vedremo in seguito, Ortigia termina con il Castello Maniace che visiteremo poco prima della fine del nostro soggiorno a Siracusa.

    Siracusa, sabato 28 maggio 2016.
    Sveglia alle otto. Prendiamo l’auto e ci dirigiamo verso le famose Fonti del Ciane, ma le troviamo chiuse. Ciane dal greco significa "verde-azzurro" perché richiama il colore delle acque del fiume omonimo, noto per la presenza del papiro che cresce sulle sue rive. Internet, comunque, mi ha aiutato a scoprire questo luogo che non ho potuto vedere dal vivo:

Ciane Papiro

    Riprendiamo il cammino in direzione di Noto, meta principale della giornata odierna. Oggi è una splendida giornata di sole e non fa troppo caldo: è proprio il clima ideale per visitare questa deliziosa cittadina, famosa per le sue costruzioni in un barocco così particolare da ottenere una propria denominazione, il barocco notino. Lasciata l’auto all’ingresso della città, ci accoglie un mercatino di specialità locali immerso in un parco con piante fiorite e frondosi alberi con parecchi anni sulle spalle. Superata l’imponente Porta Reale c’immettiamo nel Corso Vittorio Emanuele, la via principale della città. Da quel momento in poi è tutto un susseguirsi di magnifiche costruzioni antiche, tutte ben restaurate, che meritano, una per una, delle foto ricordo. La Cattedrale di San Nicolò con la sua ampia scalinata, il Palazzo Ducezio, Palazzo Nicolaci di Villadorata, le tante abitazioni con terrazzi mozzafiato (vedi filmato). Immersi in tanta bellezza non ci accorgiamo che è ora di pranzo. Peppino ci guida verso il famoso Caffè Sicilia dove gustiamo la granita di latte di mandorla e l’immancabile brioche che qui ha il tuppo.

Brioche-siciliana-col-tuppo

    Finita la visita di Noto si torna a Siracusa, spizzichiamo qualcosa di buono a casa dei nostri amici (beh, più che di una casa in realtà si tratta di un grande appartamento signorile all’interno di un antico palazzo protetto dalle belle arti che non posso mostrarvi solo per questioni di privacy) mia moglie e io ci fermiamo in albergo per riposarci un paio d’ore perché più tardi, al Teatro Greco di Siracusa, ci aspetta l’Alcesti di Euripide. E’ quasi il tramonto quando con l’auto raggiungiamo il teatro; i diversi e vivi colori della vegetazione che circonda il teatro e il sole calante fanno da cornice al nostro ingresso nel luogo da tempo immemorabile dedicato alle rappresentazioni delle opere fondamentali della letteratura greca antica.

Teatro_greco_di_Siracusa_-_aerea

    Immagino che vogliate conoscere il mio giudizio sullo spettacolo a cui ho assistito per la prima volta nella mia vita. Come ho detto all’inizio del post, ero un po’ prevenuto, timoroso e anche curioso. Bello, molto bello, devo ammettere, anche se non ho capito tutto, non conoscendo a priori la storia di questa eroica moglie che si sacrifica (scioccamente, come oggi alcuni pensano) al posto del marito. E’ stato piacevole guardarsi attorno e osservare l’attenzione con cui gli spettatori seguivano l’andamento della rappresentazione che molti, come i miei amici, avevano già visto altre volte ma che avevano scelto di rivedere per poi disquisire tra i vari allestimenti realizzati in passato e le nuove interpretazioni degli attori diretti da un nuovo regista.

Alcesti

    Prima di darvi appuntamento alla prossima puntata, vi consiglio di guardare il mio filmato della giornata. Oltre alle immagini fisse scattate da mia moglie e quelle in movimento da me girate con la videocamera, ho inserito diverse popolari canzoni siciliane che, forse, non avete mai sentito e che ho scovato in Internet, interpretate da cantanti locali e gruppi musicali decisamente bravi. Basta cliccare sull’immagine qui sotto per spostarsi su YouTube:

Noto Cattedrale

Arrivederci a presto.

Nicola

Bukowski-by-origa

    L’autore dell’immagine è Graziano Origa, Origafoundation – Opera propria, CC BY-SA 3.0

Care amiche e amici,
confesso che da tempo immemorabile avevo deciso di ignorare del tutto i libri di Charles Bukowski, uno scrittore famoso per l’eloquio sboccato e per gli argomenti quasi sempre sopra le righe con cui amava scandalizzare il mondo letterario a lui contemporaneo.

Su Wikipedia, infatti, si legge: "Henry Charles "Hank" Bukowski Jr. (Andernach, 16 agosto 1920 – San Pedro, 9 marzo 1994), nato Heinrich Karl Bukowski (noto anche con lo pseudonimo Henry Chinaski, suo alter ego letterario) è stato un poeta e scrittore statunitense di origine tedesca che ha scritto sei romanzi, centinaia di racconti e migliaia di poesie, per un totale di oltre sessanta libri. In questi tratta della sua vita, caratterizzata da un rapporto morboso con l’alcol, da frequenti esperienze sessuali (descritte in maniera realistica e senza troppi eufemismi) e da rapporti tempestosi con le persone. La corrente letteraria a cui spesso viene associato è quella del realismo sporco."

Qualche mese fa un amico mi ha regalato diversi libri di Bukowsi in formato ebook e, così, mi sono deciso finalmente ad affrontare quest’ostico scrittore tanto disprezzato da molti quanto amato da molti altri.
Il primo libro che ho scelto di affrontare è stato "Scrivo poesie solo per portarmi a letto le ragazze", colpito dal titolo davvero originale e, al contempo, parecchio auto-ironico.

Si tratta di una raccolta di racconti quasi tutti autobiografici in cui Bukoswki non smentisce la sua volontà di essere il più possibile sgradevole per il comune lettore, rivelando una sincerità al limite del masochismo (cioè consapevole di essere uno sporcaccione per nulla pentito) e riuscendo, in questo modo, ad accaparrare la simpatia di tutti coloro che riescono a digerire il turpiloquio altrui pur non professandolo mai personalmente. Tra i tanti racconti di questo libro ce ne sono alcuni godibilissimi, diversi troppo realistici sull’argomento sesso, altri molto profondi sulla scrittura e sugli scrittori di prosa e di poesia e sul rapporto conflittuale tra autori ed editori, questi ultimi, quasi sempre, incapaci di riconoscere il vero talento ma attenti unicamente al guadagno che uno scrittore di successo può procurare. Tra i brani che mi sono piaciuti ne ho scelto uno da proporvi perché esprime concetti condivisibili da chi, come il sottoscritto, non molti anni fa, si è calato (scioccamente) anima e corpo nel difficile mondo degli scrittori che sperano di raggiungere la fama con le loro opere letterarie, uscendone – per fortuna – senza essersi fatto troppo male. La casa degli orrori, per inciso, è l’ambiente dove uno scrittore vive e dove esercita la sua passione.

A presto.

Nicola

La casa degli orrori di Charles Bukowski

     Parlare di scrittura è come parlare d’amore o di fare l’amore o di vivere d’amore: se ne parli troppo puoi farlo svanire. Senza cercarli, ho, per mia disgrazia, incontrato molti scrittori, sia di successo che d’insuccesso – mi riferisco alla loro arte. Come esseri umani sono un branco di cattivi, un branco da disprezzare, lamentosi, egocentrici, perfidi. Una cosa che hanno quasi tutti in comune: ognuno di loro pensa che la sua opera sia grandiosa, forse la migliore. Se hanno successo prendono la cosa come scontata e dovuta. Se falliscono sentono che gli editori, le case editrici e gli dei sono contro di loro. Ed è vero che molti pessimi scrittori sono spinti e manipolati finché non raggiungono la cima, qualunque sia il motivo. È anche vero che molti bravi scrittori sono morti di fame, o sono quasi morti, o si sono suicidati, o sono impazziti, e così via, per essere riscoperti in seguito come talenti eccelsi (seppur morti). Questo dato storico infonde coraggio allo scrittore scadente. Gli piace immaginare che il suo (di lei o di lui) fallimento sia dovuto a una moltitudine di cose che esulano dal semplice fatto di avere scarso talento. Be’, ce ne sono tanti così.

     In più, quando penso agli scrittori che conosco, per lo più poeti, noto che sono sostenuti da altri – mogli, quasi sempre madri che si fanno carico del sostentamento economico di quelli che conosco. E vivono anche abbastanza agiatamente con televisori, frigoriferi pieni e appartamenti o case in riva al mare – quasi tutti a Venice o a Santa Monica, e prendono il sole di giorno, sentendosi sull’orlo della tragedia, questi miei amici (?) e poi di sera, magari una bottiglia di vino e un panino al crescione, seguito da una lettera piagnucolosa sulla loro indigenza, la loro grandezza indirizzata a qualcuno da qualche parte. Qualsiasi cosa pur di scrivere, lavorare, creare, buttare giù parole. Be’, credo che sia sempre meglio che lavorare a una punzonatrice. Le mogli e le madri lavoreranno alla punzonatrice, non preoccupatevi di quello. E i poeti, non avendo vissuto nel mondo là fuori, nel mondo reale, non avranno nulla su cui scrivere, ma scriveranno comunque con un ego grande così e tantissima noia.

     È praticamente impossibile scrivere sulla scrittura. Mi ricordo che una volta dopo avere tenuto un reading di poesia ho chiesto agli studenti: “Ci sono domande?”. Uno di loro mi ha chiesto: “Perché scrive?”. E io gli ho risposto: “Perché lei porta quella maglietta rossa?”.
     Essere scrittore danna l’anima ed è difficile. Se hai talento può lasciarti per sempre in una notte di sonno. Ciò che ti fa andare avanti nel gioco non è facile a dirsi. Troppo successo è distruttivo; la mancanza di successo è distruttiva. Un piccolo rifiuto può fare bene all’anima, ma il rifiuto totale crea bisbetici e pazzi, stupratori, sadici, ubriaconi e poeti mancati che picchiano le mogli. Tanto quanto fa il troppo successo.

     Anch’io sono stato fuorviato dal concetto romantico della scrittura. Da giovane ho visto troppi film sul grande Artista, e lo scrittore era sempre un tizio tragico e dannatamente interessante con un bel pizzetto, occhi lucenti e verità profonde che gli scaturivano continuamente dalla bocca. Che bello sarebbe essere così, pensavo, ah. Ma non è così. Gli scrittori più bravi che conosco parlano pochissimo, voglio dire, quelli che scrivono bene. Infatti, non c’è niente di più noioso di un bravo scrittore. Tra la gente o anche con solo una persona, è sempre occupato (nel subconscio) a registrare qualsiasi dannata cosa. Non gli interessa fare discorsi o essere l’Essenza della Festa. È avido, risparmia benzina per la macchina da scrivere. Parlando puoi allontanare l’ispirazione, con la bocca puoi distruggere il genio donatoti da Dio. L’energia arriverà fino a un certo punto. Anch’io sono avido. Bisogna esserlo. Le uniche energie a cui si può rinunciare, l’unico tempo che si può donare è il tempo per l’Amore. L’amore dà forza; distrugge odi innati e pregiudizi. Rende la scrittura più completa. Ma tutte le altre cose devono essere risparmiate per il lavoro. Uno scrittore dovrebbe effettuare quasi tutte le sue letture da giovane; mentre comincia a formarsi, la lettura diventa distruttiva – toglie la puntina dal disco.

     Uno scrittore deve continuare a scrivere, a colpire nel segno, o si ritroverà nei bassifondi. E non c’è modo di risalire. Perché dopo qualche anno dedicato alla scrittura, l’anima, la persona, la creatura non riesce più a operare in nessun altro campo. È inutilizzabile. È uccello in una terra di gatti. Non consiglio mai a nessuno di diventare scrittore, a meno che lo scrivere sia l’unica cosa che gli impedisca di impazzire. A quel punto, forse, ne vale la pena.

Fine

Contributi: Il racconto di Charles Bukowski è stato estratto dal libro Scrivo poesie solo per portarmi a letto le ragazze edito da Feltrinelli nella collana Universale Economica e a cui vanno le mie più sentite scuse per il furto perpetrato al solo scopo di informare i miei amici lettori. Un ringraziamento va anche a Wikipedia da cui ho estratto informazioni su Bukowski.

Questa settimana vi risparmio i miei pensieri e le mie divagazioni per parlarvi brevissimamente di un evento musicale a cui ho assistito quest’estate.

Rapallo fine agosto 2016

Capita raramente di trovarsi al posto giusto nel momento giusto, vero? Bene, a me è capitato quest’estate proprio quando ascoltavo i fratelli Menin esibirsi in un repertorio di canzoni vintage ancora in grado di fare accapponare la pelle per i tanti ricordi gradevoli che esse riescono a evocare a gente della mia età.

 
f-lii-menin-in-concerto

Senza l’ausilio di microfoni e accompagnandosi solo con la chitarra (Guido) e con il Cajòn (Giulio), i due fratelli Menin hanno cantato superbamente per un’ora e mezza, divertendosi e divertendo noi spettatori, il tutto – ça va sans dire – gratuitamente.
Il repertorio? Ci trovavamo a Rapallo, cioè in Liguria, quindi non potevano mancare testi di De Andrè (Creuza de ma), di Paolo Conte (Genova per noi), del pezzo storico ligure Quartu au ma. Canzoni da cabaret come E la vita, la vita l’è bela, Ho visto un re, Ma mamma Maria,  Azz!  Quattro bellissime canzoni dei New Trolls: Miniera, Aldebaran, Quella carezza della sera, Let it be me. E, giusto per accontentare il palato di qualche spettatore meridionale, Tammurriata nera e Però quando te dico vattenne, tu te n’a ii.
Ovviamente l’elenco non è completo, visto che il concerto è terminato alle 23 e, come era prevedibile, l’ultimo pezzo è stato Il materasso, per dire a noi spettatori di una certa età che era ora di andare a dormire… Applausi a non finire per i due magnifici interpreti non sono certo mancati.
Se vi va di ascoltare la loro interpretazione di questo successo di Arbore, potete cliccare sulla foto dei due fratelli oppure su questo link: Il materasso, cover dei F.lli Menin.
Di quella simpaticissima serata fra amici ho registrato tutte le canzoni e mi sarebbe piaciuto postarne il video completo su YouTube, ma è risultato troppo pesante da trasferire con una connessione lenta, perciò dovrete fidarvi della mia parola. I due arzilli giovanotti sono decisamente in gamba!
Alla prossima!
Nicola

Carissime amiche e carissimi amici,

eccomi di nuovo qui per raccontarvi le mie peripezie giornaliere in famiglia e fuori casa. Avete passato delle belle vacanze? Mi auguro di sì. Presto vi racconterò le mie avventure estive: abbiate solo un po’ di pazienza, sto facendo il punto della situazione. Molte cose nuove sono avvenute o stanno per avvenire in casa. Seguitemi e saprete tutto per filo e per segno.

Un bacione a tutti dalla vostra bellissima, simpaticissima, spiritosissima e… modestissima Betta.

Striscia 66 - 2015

Striscia 67 - 2015

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Arrivederci alla prossima puntata.

Betta

Diciamoci la verità: quante volte, arrivati alle soglie dell’estate, abbiamo pensato: “Finalmente andrò in vacanza e potrò fare tutto quello che ho rimandato: 1) per mancanza di tempo dovuta ai troppi impegni di lavoro/scuola, 2) per stanchezza fisica e mentale, 3) per tutti gli altri mille piccoli ma tediosi impedimenti che non ci hanno permesso di realizzare ciò che la nostra geniale capoccia ha partorito durante il lungo periodo autunno/inverno?

Evito di menare il can per l’aia e scendo subito nel personale.

Ecco i buoni propositi che avevo fatto per l’estate appena terminata: “Leggere la pila di libri accumulati da tempo sulla scrivania; scrivere il romanzo che (di sicuro) mi porterà fama e ricchezza; disegnare (si fa per dire…) le strisce giornaliere di Betta e il suo bellissimo papà; curare il prato (cercando di non litigare con i sassi che compaiono misteriosamente durante l’inverno); pitturare la tettoia delle auto e la casetta degli attrezzi ammalorate dal maltempo e dall’irrigazione automatica dell’estate 2015; aiutare mia moglie nelle faccende domestiche; badare all’adorabile cane lasciatoci (molto carinamente) in custodia da mia figlia, super impegnata sul lavoro; etcetera etcetera… “

Uno potrebbe (giustamente) sostenere: “Visto che sei un pensionato, cosa ci vuole a realizzare quel modestissimo elenco che hai appena fatto? Basta che ti alzi alle otto del mattino e fai subito colazione; un’ora la dedichi alla lettura; un paio d’ore le usi per scrivere una ventina di pagine del tuo nuovo romanzo (ricordati che Simenon, il famoso autore del Commissario Maigret, buttava giù un libro di oltre 100 pagine ogni settimana e, in più, trovava il tempo da dedicare ogni giorno a una delle 10.000 donne che si è portato a letto nella sua vita); un’ora per curare il prato è più che sufficiente. Diciamo che, così facendo, la mattinata se n’è belle che andata. A questo punto ti siedi a tavola e mangi ciò che la tua cara moglie, con grande amore, ti ha preparato; dopo pranzo dormi un’oretta in poltrona (giusto per favorire la digestione); poi ti metti alla scrivania e disegni (?) tre o quattro strisce di Betta, cercando di essere il più possibile spiritoso. Mezz’ora per questa faccenda (artistica) penso possa bastare. Se guardi l’orologio vedrai che hai ancora quasi tutto il pomeriggio e la sera liberi per dare retta alla tua signora, per portare in giro il cane a fare i bisognini e per rilassarti in giardino.

Non mi dire che questo è un programma impossibile da rispettare!

Esatto. Non è (era) un programma molto impegnativo per un qualsiasi pensionato in buona salute e con parecchie velleità artistiche/pratiche per la testa. Purtroppo quest’estate mi sono scoperto più fancazzista del solito e – ahimè – non ho realizzato quasi nessuno di quei buoni propositi.

Vediamo perché.

Leggere, oddio, ho leggiucchiato, ma, a parte la trilogia di Kent Haruf, tutti gli altri libri che avevo acquistato o che mi erano stati regalati si sono rivelati vera e propria fuffa da cestinare.

Il più importante impegno (scrivere un nuovo romanzo) l’ho tolto subito dalla lista. Al momento di sedermi alla scrivania mi sono ricordato che avevo deciso, ormai da tempo, di abbandonare del tutto la scrittura. Saggia e doverosa decisione maturata in seguito alla convinzione di avere esaurito gli argomenti (vedi la terza voce nel menù sopra il titolo del blog) che avrebbero potuto destare qualche interesse in un pubblico diverso dai parenti e dai quattro amici che mi ritrovo. (Si prega di battere le mani per avere evitato in questo modo che venissero abbattuti almeno un paio d’alberi della foresta amazzonica!)

Di Betta e il suo bellissimo papà ho disegnato un certo numero (piccolo) di strisce che forse pubblicherò a puntate nel blog.

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Di curare il prato non ce n’è stato bisogno. I malefici sassi se ne sono stati buoni buoni nel sottosuolo e l’erba l’ha tagliata ogni settimana una ditta che possiede una falciatrice a motore i cui interventi noi li paghiamo profumatamente.

Mia moglie, un vero tesoro, non ha chiesto i miei servigi: evidentemente ha capito subito che quest’estate non ero in vena di darle retta.

Il cane? Beh, quello l’ho lasciato libero di concimare il prato a suo piacimento e poi era così impegnato a inseguire i gatti dei vicini e ad abbaiare a qualsiasi essere vivente in movimento attorno alla casa che, praticamente, non ha mai richiesto la mia attenzione.

Allora perché quest’estate sono stato così fancazzista?

Sarò sincero. Purtroppo avevo e ho alcuni problemi fisici da risolvere: perdere un po’ di peso e guarire da un doloroso problema alle mie estremità (spina calcaneare in entrambi i piedi). Con il prezioso aiuto della mia signora che ha scoperto una speciale dieta a zona, (tre normali pasti al giorno ben equilibrati fra proteine, carboidrati, grassi e vitamine e tre spuntini tra un pasto e l’altro) in quattro mesi ho perso, spero definitivamente, circa sei chili mangiando di tutto, cioè carne, pesce, verdura, frutta, dolci. Alla faccia dei vegani e dei vegetariani, veri e propri terroristi alimentari che si perdono tutto quanto c’è di sfizioso e salutare nell’infinita varietà di cibi che esistono al mondo!  Visti i buoni risultati, continuerò così anche durante l’inverno per arrivare al peso forma di 75 chilogrammi. Manca pochissimo a raggiungere quest’obbiettivo…

Ho cercato di curare il dolore ai piedi, seguendo le indicazioni mediche, con un ciclo di tre sedute di onde d’urto che, però, non hanno risolto il problema.  Dopo avere letto un articolo scientifico su Internet, ho proseguito con esercizi di fisioterapia specifici per le caviglie, camminando parecchio e andando in bicicletta regolarmente ogni giorno. Con questo daily training, oltre al ridurre il fastidio ai piedi, ho dato anche una valida mano alla dieta dimagrante. In agosto sono stato quattro giorni al mare, dove ho passeggiato sulla spiaggia facendo lambire le mie estremità dall’acqua fredda, e quattro giorni in montagna dove, con amici, mi sono lanciato in alcune gite, scegliendo camminamenti di notevole difficoltà sia in salita che in discesa. Risultato di questi due brevi intermezzi lontano dal mio buen ritiro di campagna: il dolore acuto ai piedi è molto diminuito. Persiste ancora una modesta dolenza che, mi auguro, scomparirà proseguendo gli esercizi ginnici anche in autunno e in inverno.

Alla luce di quanto vi ho appena rivelato, converrete con me che il mio fancazzismo estivo, in realtà, non è poi così criticabile, anzi, chi mi conosce arriva a definirlo laborioso, il che mi fa assomigliare al grande Murakami, il mio idolo letterario, il quale, come è noto, è diventato uno scrittore di libri memorabili sviluppando con encomiabile tenacia l’arte della corsa a piedi.

Chissà se anche lui aveva da combattere le spine calcaneari ai piedi…

Murakami, allenandosi per maratone classiche e non (leggete al riguardo il suo libretto “L’arte di correre”) è diventato un big della letteratura mondiale. Io, di sicuro, non lo raggiungerò su questo versante, ma spero, comunque, di farmi passare il mal di piedi!

Risultato immagine per murakami l'arte della corsa

Un cordiale saluto a tutti!

Nicola

 

E’ molto brutto quando si è costretti a parlare della morte. Ne convengo e forse non sarebbe nemmeno un argomento da trattare in un blog come il mio in cui la leggerezza e l’allegria sono di casa sempre e comunque.

Oggi, sconvolto e amareggiato da una notizia appena ricevuta, però, sento il bisogno di esternare il mio pensiero riguardo al comportamento di quella signora che ha il compito insindacabile di mettere la parola fine al nostro percorso terreno.

Tutti, prima o poi, dobbiamo morire: da qui non si scappa. E’ inutile che ce lo nascondiamo sperando – scaramanticamente – di lasciare questa terra il più tardi possibile. Superati i cent’anni, quell’odiata e odiosa signora si presenterà al nostro cospetto e ci darà il benservito. Lei farà giustamente il suo dovere istituzionale e tutti, parenti, amici e conoscenti, non avranno di che ridire o contestare. A quell’età abbiamo di sicuro superato il nostro limite, non serviamo più a nulla, anzi, siamo un peso per la società ed è corretto che ci togliamo di torno.

A volte, penso cioè a tutti coloro che, innocenti, muoiono per colpa di un terremoto o per lo scoppio di una bomba. In questi casi quella signora di cui stiamo parlando dovrebbe rifiutarsi d’intervenire, dovrebbe rivolgersi al suo Diretto Superiore e protestare vivacemente affinché Lui intervenga in tempo a curare i mal di pancia del sottosuolo che ha deciso, senza alcun preavviso, di assestarsi. Deve pretendere che Lui si dia carico di punire chi ha costruito case non sicure, e, soprattutto, si premuri di mettere un po’ di buon senso nelle teste degli odierni signori della guerra o dei terroristi che seminano morte e terrore sperando di trovare nel loro desiderato paradiso delle vergini ben disposte nei loro confronti…

Infine, la signora con la falce dovrebbe rifiutarsi d’intervenire quando un figlio o una figlia sono costretti ad andarsene prima dei loro genitori.

Questa è una delle morti più ingiuste che ci siano. E qui mi fermo, sottolineando, con grande tristezza, questo suo gravissimo errore che, per mille e una ragione, sembra impossibile da correggere. Ma, se lassù Qualcuno è in ascolto, sappia che è ancora in tempo per intervenire e salvare quelli che hanno tutti i diritti di vivere ancora la propria vita.

Resisti Stefania!

Nicola

Care amiche e cari amici,

come ogni anno, all’inizio dell’estate, metto il mio amato blog in sospensione animata. Sposto, cioè, le mie stanche membra (oggi mi sento in vena poetica…) nella casa di campagna dove mi aspettano diversi lavoretti da espletare prima che il sole con i suoi potenti raggi distrugga il mio bellissimo prato. Faccio questo per mettere a riposo per qualche mese sia la mia mente sia il pc portatile.

Quest’anno soprassiederò anche dall’ormai classico quanto oneroso viaggio all’estero anche perché ho appena fatto una breve ma accurata visita alla nostra Sicilia, isola che non conoscevo affatto. Sono stati nostri compagni di viaggio una coppia di amici siciliani che vivono a Milano ma che, spesso e volentieri, tornano in vacanza, nella loro terra d’origine. Sono stati loro a condurci in alcuni dei luoghi più belli dell’isola e a farci conoscere vita morte e miracoli di questa parte dell’Italia tanto chiacchierata, nel bene e nel male, dalla stampa nostrana e straniera.

Ho portato con me la videocamera e una moleskine nuova di pacca con cui ho filmato e annotato le cose più interessanti che ho visto, con la speranza di condividerle con voi nel prossimo autunno quando riaccenderò i riflettori sul mio blog.

Nell’attesa di incontrarci di nuovo vi lascio in lettura uno dei racconti che amo di più e che ho scritto diversi anni fa su una bellissima quanto misteriosa donna di nome Narcisa, augurandomi che vi piaccia e vi faccia riflettere su alcuni fatti della vita che potrebbero essere davvero successi nella realtà a persone a noi vicine e apprezzate.

Un caloroso abbraccio e un arrivederci a tutti voi.

Nicola

Desiderio

Narcisa

«Oggi devo proprio lanciare le tre monetine…» pensò Narcisa guardandosi con un’espressione disgustata allo specchio del bagno.
Il volto che vedeva riflesso non le piaceva affatto.
Due occhiaie profonde come il canale di Loch Linnhe invecchiavano irrimediabilmente un viso che non molto tempo fa doveva essere stato bello da capogiro.
«Ho solo trentacinque anni, cosa diavolo mi sta succedendo?!»
Era questa la sconsolata domanda che ultimamente si faceva almeno due volte al giorno. I capelli biondi, ormai troppo lunghi sulle spalle, avevano un evidente quanto urgente bisogno di un deciso taglio. Con un movimento automatico della mano prese un elastico di stoffa viola dalla consolle sotto lo specchio e, velocemente, se li legò a coda di cavallo. Il viso, liberato in parte dalle chiome, si avvantaggiò subito della luce dell’ambiente.
«Dieci anni in meno, cara mia!» esclamò riavvicinandosi allo specchio mentre una parvenza di sorriso si stampava sulla bocca, soltanto un attimo prima contratta in una smorfia di sconforto.
In parte rincuorata, iniziò l’abituale igiene mattutina.
Regolata l’acqua alla temperatura di trenta gradi, una doccia prolungata le diede un’altra scossa benefica al morale e un sapone verde, dall’odore deciso e penetrante, tenuto in serbo fino ad allora nella sua lucida confezione di alluminio, di certo regalo di qualcuno di cui non ricordava il nome, aggiunse un inaspettato senso di benessere fisico.
Ora non aveva uno specchio davanti a sé, ma scorrendo il corpo con le mani sentì che la pelle era soda e liscia, che i seni non davano segni di sgradevoli cedimenti e che, grazie a interminabili sedute sulla cyclette, su glutei e cosce, da sempre sue armi vincenti, non c’era la minima traccia di cellulite.
Passando poi dal liquido calore dell’acqua della doccia al ruvido tepore dell’accappatoio, per un attimo chiuse gli occhi e un grosso sospiro si sommò all’aria vaporosa del bagno, segnalando così che quel breve istante di benessere era finito.

«Cosa mi manca per essere felice?» le venne da chiedersi.

Questa domanda, più di quella riguardante il suo attuale aspetto fisico, da tempo le procurava un malessere indicibile.

Si ricordava benissimo quando se l’era fatta per la prima volta.
Stava seduta alla scrivania di mogano intarsiato nel suo ufficio alla Paluzzi Costruzioni S.p.A. e aveva appena ricevuto un pacchettino regalo e una telefonata di congratulazioni dal gran capo. Un suo progetto aveva vinto un premio internazionale e aveva forti probabilità di concreta realizzazione.
«Cos’era quel pacchetto?» si era chiesta, presa da una strana ansia.
Compleanno e onomastico erano lontani e il suo capo non era certo il tipo da fare regali per festeggiare i successi di una dipendente.
Chi poteva aver pensato a lei?
Sulla carta d’imballo c’era scritto, in chiara evidenza, Finzi Gioielli – Milano.
Perché aveva paura ad aprire quell’elegante confezione infiocchettata?
Un cattivo presentimento frenava la sua curiosità e, quasi si trovasse alle prese di un angosciante incubo notturno, non riusciva a decidersi a leggere il biglietto di accompagnamento e a scartare il pacchetto.
Con un movimento automatico della mano, aveva aperto la borsetta che stava sulla scrivania e aveva afferrato le sue amate tre monetine.
Quando percepiva che qualcosa non filava nel verso giusto, toccarle era un’ancora di salvezza. Ogni volta le interrogava sulla via da seguire e loro riuscivano sempre a indicargliela.
Ora non si trovava davanti a un bivio, non aveva scelte esistenziali da fare, eppure sentiva che, in quel preciso istante, aveva bisogno del loro aiuto.
C’era un cattivo pensiero da scacciare dalla mente.
«Forza Narcisa deciditi! Cosa ci vorrà mai?»
Di guerre ne aveva combattute tantissime e il conteggio tra vittorie e sconfitte, era di certo a suo favore.
Forza, forza!
Il calore del metallo stretto nella mano, di colpo, si era trasformato in energia e le aveva dato la forza necessaria per procedere.
Con fare ormai deciso aveva estratto dalla busta il bigliettino e aveva iniziato a leggerlo.

Cara Narcisa,
stavolta non voglio usare parole mie. Gli addii sono sempre difficili e penosi e perciò vado a prestito. Per correttezza avrei dovuto citare l’autore, ma sul sito da dove ho scaricato la poesia c’era mistero al riguardo.
Sembra scritta proprio per te.

Il rabbino consulta il pescecane
secondo la Torah e il rituale:
“Dimmi oh caro
dimmi perché fai il male?”
Quello sospira come troppo gli pesasse
e intanto osso ad osso se lo scarna
“Non ho colpa.
In me il tuo dio s’incarna.”

Spero che tu capisca e mi capisca.

Marco

«Ecco, questo sì che è un bel modo di piantare una donna! Se avesse scritto soltanto stronza certamente non avrebbe avuto lo stesso effetto!» aveva pensato Narcisa, piena d’amarezza.
«Come al solito ha voluto strafare…»
A quel punto mancava solo di aprire il pacchetto. Con mani nervose aveva strappato il nastro e la carta da regalo. Dalla scatolina imbottita era uscito un pescecane stilizzato in argento. Decisamente stupita, per alcuni minuti, era rimasta attonita a osservarlo.
«Ah, così io sarei lo squalo che mangia le sue vittime…» aveva alfine mormorato, piena di stizza.
No, non si riconosceva assolutamente in quel ritratto dipinto dagli occhi di Marco.
«Non ho mai mangiato gli uomini, io! Caro Marco, tu non mi hai mai capito…»
A ben vedere, se cattiveria c’era stata nella ricerca del regalo di addio, qualcosa non aveva funzionato. La cura dell’artista nel realizzare il pescecane con le branchie dipinte di marrone sull’argento lucente rendevano l’oggetto molto attraente, una vera delizia per gli occhi.
A ferirle il cuore e la mente erano l’anonima poesia e i pensieri che le scatenavano in testa ogni volta che la leggeva e rileggeva.
«Sant’Iddio, quell’imbecille di poeta non poteva cercare un verbo meno odioso di scarnare?»
Narcisa non solo mangia gli uomini, ma li scarna osso per osso!
Ma io ti amavo Marco e non mi sono mai saziata di te…
Finora a tutti i suoi uomini era piaciuto entrare e uscire dal suo letto.
Perché Marco non l’aveva apprezzato?
D’accordo, mille volte Marco aveva detto che nel suo letto lui si voleva fermare.
Perché Marco non ha capito che ciò non era possibile?
Era stata chiara sin dall’inizio e lui lo sapeva.
Per lei amore e libertà dovevano sempre restare due cose ben distinte.
L’amore, il sesso, sì perfetto, ma poi ognuno a casa propria!
Perché adesso glielo faceva pesare con così tanta acrimonia?
Scarnare…
Oh che sgradevole poesia!
Quel brutto giorno, tristezza e apatia le erano entrate così a fondo nella mente e nel corpo da toglierle persino la forza di odiare chi l’aveva così malamente scaricata.

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Cosa le mancava per essere felice? ripeté ancora a se stessa.
Non certo gli uomini. Un fischio e poteva averne quanti ne voleva…
Non certo il successo. Era apprezzata e temuta sul lavoro. Una donna dirigente a trentacinque anni in una società di soli uomini non era mica uno scherzo!
E allora?
Poteva contare su tanti amici e amiche che accorrevano a ogni suo squillo e lei stessa sapeva donarsi agli altri senza farlo mai pesare.
Eppure da qualche tempo qualcosa in lei si era guastato e Marco col suo benservito gliel’aveva fatto notare col massimo della brutalità.

L’aria dattorno si era raffreddata, l’effetto benefico della doccia era ormai del tutto vanificato. Doveva sbrigarsi se non voleva beccarsi un raffreddore. Un po’ di trucco agli occhi bastava per affrontare la sua prima domenica da single. Stava quasi per uscire dal bagno quando un’occhiata alle unghie la convinse a tornare sui suoi passi.
«Non posso interrogare I Ching con le mani così in disordine!» disse a se stessa.
Aprì l’armadietto appeso al muro. In bella vista c’erano dieci bottigliette colorate che aspettavano solo la sua scelta. La prima, al color nero seppia, era affiancata a una blu, poi a una verde seguivano sette diverse tonalità di rosso. L’ultima, dal color rosa pallido, non l’aveva mai aperta.
Oggi era proprio la giornata adatta per iniziarla. Così facendo avrebbe affrontato con umiltà l’appuntamento con l’oracolo.
Tutto doveva essere predisposto per ascoltare con dignità e compostezza il responso dell’antica saggezza cinese.
Per i suoi amici I Ching (La Legge) erano un gioco di società, stupido come poteva essere stupida la lettura dell’oroscopo. Per lei invece rappresentavano la filosofia della vita a cui aggrapparsi. Erano la sua religione, la sua guida spirituale e tutte le volte che aveva domandato, aveva ricevuto la giusta risposta.
In dieci minuti riuscì a stendere lo smalto sulle unghie e, una volta seccato, corse in camera a indossare un abito comodo.
Era pronta ad affrontare una nuova sentenza.

Dalla borsetta estrasse le tre monetine e stringendole nella mano come se dovesse comunicare a loro il suo attuale umore, si diresse verso lo studiolo attrezzato per quando si portava il lavoro a casa. Liberò il piano della scrivania dal portatile e dall’ultima relazione ai soci dello studio e, su un foglio di carta bianca, depose le monete. Dalla libreria estrasse i suoi tre libri di riferimento: “Come consultare I Ching” di Alfred Douglas, in edizione economica Bur del 1976, “I Ching” di Paola Mariani e Patrizia Meanti in edizione cartonata Mursia e infine, il più prezioso, la traduzione in lingua inglese dei “I Ching” curata da Lao Hai–hsuan, regalo del suo ultimo viaggio in Cina.
Seduta alla scrivania, con grande solennità e serietà iniziò la procedura, ricordando a se stessa che le antiche regole assegnavano il valore 2 alla stessa faccia di ognuna delle tre monete (verso yin) e, alle facce opposte, il valore 3 (verso yang). Prima di lanciare contemporaneamente le tre monete con la mano destra, formulò mentalmente la sua richiesta all’oracolo e poi la mise anche per iscritto. La domanda era chiara e definitiva:

«Da domani cosa devo fare della mia vita?»

Per costruire l’esagramma con cui interrogare I Ching, lanciò per sei volte le monete trascrivendo sul foglio con la sua penna stilografica dall’inchiostro verde il risultato numerico dei singoli lanci. A ogni sequenza, somma dei numeri 2 e 3, associò il corrispondente simbolo grafico: una linea spezzata mobile se la somma era 6, una linea intera mobile se la somma era 9, una linea intera fissa se la somma era 7 e infine una linea spezzata fissa se la somma era 8.
Con la combinazione da lei trovata, unica tra le 64 possibili, individuò, in uno dei tre libri che aveva sulla scrivania, la pagina dove era scritta la risposta alla sua domanda.

Lesse più e più volte le poche righe che l’oracolo cinese aveva preparato per lei. Infine prese un nuovo foglio di carta e con studiata lentezza ci scrisse sopra a penna tutto quello che da domani avrebbe dovuto fare della sua vita.

Il giorno dopo, lunedì 26 febbraio 2007, Narcisa si alzò molto prima dell’alba.

Non fece colazione ma spese più di un’ora per mettere in perfetto ordine ogni angolo della casa. Quando si ritenne soddisfatta, si vestì di tutto punto decisa a uscire. Arrivata nei pressi della porta di colpo si fermò. Come assalita da un improvviso furore tornò in camera da letto e da un cassetto dell’armadio a muro estrasse la trousse argentata con chiusura a cordoncino che usava sempre nei suoi viaggi in giro per il mondo. Andò poi in bagno, raccolse il sapone verde con il suo contenitore di alluminio, il fermacapelli elastico viola e la bottiglietta di smalto rosa per le unghie. Dalla borsetta estrasse la stilografica e le tre monetine. Da sopra il trumò del soggiorno afferrò il pescecane d’argento e per un istante se lo avvicinò al petto.
Con quei sette oggetti nelle mani andò in cucina e si sedette pensierosa a tavola.
Per un tempo indefinito e in silenzio li rimirò e accarezzò tutti, uno a uno, più e più volte.
Poi aprì la trousse, con mossa lenta vi ripose gli altri sei oggetti, la richiuse stringendo con forza il cordoncino azzurro e la depose al centro del tavolo, proprio sopra al foglio dove il giorno precedente aveva scritto il responso dell’oracolo. Infine si alzò con gran fatica dalla sedia, diede un’ultima lunga occhiata attorno a sé e, a passi decisi e senza più voltarsi indietro, uscì di casa.

Fuori era ancora buio.
L’aria era fredda e il tempo non prometteva niente di buono.
Narcisa quel giorno di fine inverno non prese come sempre la sua auto.

Fine

Crediti: le immagini le ho scaricate da Internet presupponendole prive di copyright. In caso contrario, prego gli autori degli scatti di farsi vivi in modo che io possa indicare i loro nomi nel post. Per approfondire meglio il discorso su I Ching vi consiglio di guardare su Internet la seguente Guida.

Care amiche e cari amici,

si avvicina l’estate e presto partirò per le vacanze. Purtroppo sono felice a metà. Da un lato sono contenta che la scuola sia finita, ma so che mi aspetta un nuovo ciclo scolastico di sicuro più pesante delle elementari dove, come sapete, ho avuto ottimi risultati. Da un altro lato, sono triste perché, forse, perderò di vista Marco, il mio filarino ufficiale, ma, (chi può dirlo?) l’estate potrebbe essere l’occasione per incontrare ragazzi nuovi e altrettanto carini…

Con questa puntata termina il racconto delle mie prime avventure, ma vi do appuntamento a settembre per riallacciare il nostro colloquio che, per quanto mi riguarda, è stato molto, molto interessante. Con parecchi di voi, infatti, si è accesa una bella amicizia e mi piacerebbe conservarla anche per il futuro.

Un grande bacio a tutti.

Betta

Striscia 61 - 2015

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Striscia 64 - 2015

Striscia 65 - 2015

Arrivederci a settembre!

Il Signor Giacomo, però, ci sarà ancora mercoledì prossimo. Lui vi aspetta numerosi perché ha una cosa da comunicare.

Baci, baci.

Betta