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Guardate queste due belle foto:

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il sorriso stampato sui volti di questi due bambini dimostra che la vera felicità è partire. A contrastare l’universalità di questa affermazione c’è che, prima di qualsiasi viaggio, bisogna espletare un noiosissimo compito…

“Prepariamo le valige?”

La domanda  non è indirizzata a voi, care lettrici/cari lettori, ma è l’invito che mia moglie mi rivolge ogni qual volta si è in partenza per una vacanza, un weekend o un viaggio. La sua – sia chiaro – è una richiesta legittima, ma è assolutamente irricevibile dal sottoscritto.

Un attimo di pazienza e saprete perché.

Il prossimo 28 luglio ricorre il nostro 44° anniversario di matrimonio e, non essendo ancora completamente rimbambito, significa che mi sono sposato giovanissimo. In pratica, appena laureato, sono uscito dalle grinfie dei miei genitori (più che altro da quelle – fin troppo amorevoli – di mia madre), e sono caduto subito nell’altrettanto amoroso “trappolone” costruito per me dalla mia futura moglie. Non scandalizzatevi per la libertà con cui esprimo i miei pensieri più reconditi: mamma e papà sono in paradiso da parecchi anni e Chicca, la mia metà, non legge mai i miei post. Occhiolino

L’intervallo tra la mia uscita dalla casa paterna a Bologna e l’entrata in quella di Milano in cui abito tuttora fu, giorno più giorno meno, dell’ordine di un anno, cioè, all’epoca del “fattaccio”, pur disponendo di un buon stipendio, non ebbi nemmeno il tempo di godermi da “single”,  una vacanza in luoghi esotici. Da bambino le vacanze le facevo con la famiglia, ospite dei nonni in campagna e, da più grandicello, le finanze di casa mi permettevano, in estate, al massimo una settimana presso la riviera romagnola (Porto Corsini) in campeggi molto economici insieme ad amici della mia stessa età. Ricordo che dormivo in una tendina canadese presa a noleggio, dentro un sacco a pelo e con il minimo indispensabile di vestiario stipato alla bell’e meglio in una piccola tracolla di stoffa. Logico, dunque, che io non abbia mai imparato a preparare una valigia, quella “cosa” rettangolare di cuoio o di plastica dura, munita di cerniere, manico e (oggi) anche di rotelle, dove si depongono, piegati come si deve, tutto quello che occorre quando si parte per un viaggio e si sta via un po’ di giorni…

Nessuno me l’ha mai insegnato!

Da piccolo questo difficoltoso impegno se l’assumeva mia madre – lei era una maniaca del: “nelle valige tutto deve stare ben piegato e con un ordine logico”  e non permetteva alle mie manine di rovinare il suo lavoro di esperta donna di casa. Oltre questo, essendo l’erede maschio di una famiglia meridionale  tradizionalista, godevo di privilegi sconosciuti alla mia unica sorella (la figlia maggiore). Dunque per diritto di nascita avevo il permesso di stare alla larga dalle valige. Occhio, questo non vi autorizza affatto a pensare che fossi trattato come un principino! Al contrario, mia madre pretendeva da me l’impossibile: dovevo essere un modello per tutti i mocciosi del caseggiato. Non ridete! Vorrei vedere voi a rappresentare l’emblema della buona creanza, dell’igiene personale, dell’accuratezza nel vestire e nel parlare, mentre state giocando a calcio in un cortile di periferia. Le peggiori parolacce le ho imparate lì ma, per fortuna, non me n’è mai scappata una in presenza dei genitori. Sarebbero volati scapaccioni e altre ben più severe punizioni. In casa mi davano pochi lavoretti da sbrigare perché la  missione che mi era stata assegnata era quella di studiare sodo per ottenere il più in fretta possibile quel famoso pezzetto di carta da incorniciare.

Completata velocemente l’Università, avrei trovato di sicuro un buon impiego e così, col mio stipendio, avrei potuto partecipare  al ménage famigliare. Insomma, la mia vita di bambino e poi di ragazzo, sotto certi aspetti, è stata parecchio impegnativa.

Riuscii a laurearmi nei tempi (quasi) canonici e due mesi dopo trovai lavoro a Milano. Contrariamente alle previsioni, aiutai ben poco i miei genitori, infatti un anno più tardi, dopo un fidanzamento lampo, mi sposai. I miei veri problemi esistenziali cominciarono al momento di partire per il viaggio di nozze. Alla domanda: “Allora, Nicola, prepariamo le valige?”, Chicca si trovò davanti agli occhi il sorriso ebete di uno che non aveva capito di cosa si stesse parlando. Ho dovuto ammettere, quel giorno, i tanti difetti strutturali che le avevo nascosto per timore di perdere la donna che reputavo la più giusta con cui formare una famiglia e progettare tre figli.

Quel giorno ho rischiato parecchio: le ho confessato anche che non mi piacevano le verdure cotte, il pesce lesso e altri cibi di cui lei andava matta e che la mia religiosità era all’acqua di rose, mentre lei era ed è una fervida credente. Chicca non mi lasciò al mio destino solo perché ero un giovanotto simpatico (!), intelligente (!) e un grande lavoratore.

Da quel momento lei si è spesa per farmi apprezzare minestre e pietanze della tradizione milanese che, da figlio orgoglioso di meridionali qual sono, trovavo incompatibili col mio delicato palato e, soprattutto con le mie abitudini alimentari pregresse. In 44 anni di convivenza lei ha vinto parecchie battaglie nei miei confronti, ma una in particolare non ha mai capito di averla irrimediabilmente persa: preparare le valige. Infatti ancora oggi, lei non molla l’osso e ogni volta, prima di partire per un viaggio, mi convoca in camera da letto, davanti al nostro grande guardaroba, e mi fa la stessa domanda.

Indovinate quale. A bocca aperta

Sinceramente mi secca che pensiate che io sia un incapace cronico e che non abbia mai tentato di imparare ad arrangiarmi da solo: il mio problema irrisolto e irrisolvibile è piegare bene le camicie e le giacche che stanno appese negli armadi. Uno dei miei primi tentativi portò a un risultato disastroso:

Valigia

I successivi tentativi, pur mettendoci la più buona volontà di questo mondo, non migliorarono di molto la faccenda, cosicché mia moglie e io stipulammo un patto che vale ancora oggi: lei studia e scrive la lista dell’abbigliamento e prepara le valige, in cambio, per tre giorni consecutivi, io faccio la spesa, preparo colazione pranzo e cena, apparecchio, sparecchio e faccio andare la lavastoviglie. Lo so, lo so: per un vero uomo questo è un patto capestro ma, alla fine della fiera, vista la mia conclamata inettitudine a trattare in modo corretto (e intelligente) qualsiasi capo di vestiario che non sia già piegato, mi è convenuto mandare giù l’amara pillola e sottoscriverlo.

Qualcuno si chiederà il perché di questo post su un argomento tanto futile: la risposta è semplice. Il 30 di aprile, mia moglie e io, andremo in Turchia con un gruppo organizzato e, mancando meno di dieci giorni alla partenza, in casa c’è già sentore di tragedia greca. Chicca è entrata in fibrillazione. L’atmosfera si sta saturando sia di domande a cui occorre dare immediata risposta, sia di affermazioni perentorie difficili da confutare. “Oddio, porteremo roba leggera o pesante? Invece di buttare via il tuo tempo col blog, guarda su Internet che clima c’è in primavera in quel paese! Devi provare i tuoi pantaloni, mi sa che sei ingrassato! Visto che viaggiamo con le stesse persone, dell’anno scorso ovvio che non possiamo indossare sempre gli stessi vecchi vestiti! Domani si esce a far compere, chiaro?”

Che altro potevo rispondere, dato che odio andare in giro per negozi?

Mi spieghi perché diavolo dovremmo rifarci il guardaroba per visitare la Turchia?”, ma mia moglie ha fatto finta di non sentire.

Ringraziando il cielo, sono ingrassato di pochissimo e, al limite, necessito di un pantalone di scorta. Fortuna vuole che lei abbia trovato nell’armadio almeno un paio di vestiti comprati e mai indossati e che le stanno ancora bene… Quindi l’operazione vestiario last minute durerà al massimo mezza giornata, così mi potrò finalmente concentrare sui menù e sul conseguente elenco di cibarie da acquistare per i tre giorni di corvè obbligatoria che mi attendono prima della partenza per la nostra breve vacanza all’estero.

Ma chi l’ha detto che la vera felicità è partire?!?! Mi rotolo per terra dalle risate

Alla prossima!

Nicola

P.S.

Solito avviso sulle immagini del post: non sono di mia proprietà e un grazie di cuore va ai due sconosciuti autori.